OSSOFF DURO PER TRUMP – IL DEMOCRATICO JON OSSOFF RIVENDICA LA VITTORIA DEL SECONDO BALLOTTAGGIO IN GEORGIA CONTRO DAVID PERDUE – QUESTO SIGNIFICA CHE ENTRAMBI I SEGGI ANDRANNO AI DEMOCRATICI E IL SENATO SARÀ DIVISO EQUAMENTE CON I REPUBBLICANI, CON KAMALA HARRIS CHE IN QUANTO VICE PRESIDENTE AVRÀ IL VOTO DECISIVO PER APPROVARE LE NOMINE E LE DECISIONI PIÙ IMPORTANTI

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jon ossoff raphael warnock joe biden jon ossoff raphael warnock joe biden

 

 

Usa: il dem Ossoff dichiara vittoria in Georgia

(ANSA) - WASHINGTON, JAN 6 - Il democratico Jon Ossoff ha rivendicato la vittoria nel secondo ballottaggio in Georgia per il Senato, quando con il 98% delle schede scrutinate è avanti 50,2% contro il 49,8% del repubblicano Devid Perdue. (ANSA).

 

jon ossoff jon ossoff

Kamala Harris, la vicepresidente sarà l’ago della bilancia in caso di pareggio al Senato

Viviana Mazza per www.corriere.it

 

biden kamala harris biden kamala harris

Se i democratici vincono entrambe le elezioni di ieri in Georgia, il Senato sarà diviso equamente tra i due partiti: 50 seggi ai democratici e 50 ai repubblicani. Diventa decisivo per rompere il pareggio il voto del vice presidente, cioè di Kamala Harris.

 

I precedenti

È già successo in passato, ma solo tre volte, l’ultima nel 2001. Nel 1881 il Senato rimase spaccato a metà per pochi mesi. Nel 2001 da gennaio a giugno.

 

Il vicepresidente

donald trump 2 donald trump 2

In base alla Costituzione, il vicepresidente degli Stati Uniti presiede il Senato, con il potere di esprimere il voto decisivo in caso di pareggio. Nei primi giorni del 2001, l’ago della bilancia fu il vicepresidente democratico Al Gore, ma dopo l’insediamento del presidente repubblicano George W. Bush, il voto decisivo spettò al suo vice Dick Cheney. Questo ruolo ora spetterà a Kamala Harris.

 

Compromessi

Per due volte in passato — nel 1881 e 2001 — i democratici e i repubblicani trovandosi in una situazione di pareggio al Senato hanno raggiunto un accordo per la divisione del potere, come ricorda oggi il Washington Post. In entrambi i casi il partito che non poteva contare sull’appoggio del vicepresidente acquisì comunque un peso maggiore di quello che di solito ha il partito in minoranza.

 

donald trump kelly loeffler donald trump kelly loeffler

Nel 2001, per esempio, i due partiti si sono accordati per dividersi equamente i membri delle commissioni del Senato, anziché riempirli come di solito accade con senatori del partito che ha ottenuto la maggioranza. Hanno cambiato anche le regole, in modo che se una commissione non riusciva a prendere una decisione su un disegno di legge, quest’ultimo potesse essere comunque votato al Senato.

 

Compromessi del genere servono ad impedire una battaglia continua e quotidiana tra i due partiti che spesso condurrebbe allo stallo del processo legislativo. Nel 2001, l’accordo durò sei mesi: poi i democratici convinsero il senatore repubblicano Jim Jeffords del Vermont a passare dalla loro parte, raggiungendo così una maggioranza di 51 contro 49.

 

raphael warnock raphael warnock

Un simile compromesso è possibile anche quest’anno, ma il Congresso in questi anni è cambiato ed è diventato più polarizzato e meno disposto alla cooperazione bipartisan. Né i repubblicani né i democratici hanno indicato come intendono procedere in caso di pareggio.

 

Con 51 voti

Basta la maggioranza semplice di 51 voti al Senato per approvare le nomine di Biden per la sua Amministrazione, come pure per nominare giudici federali e — se si liberasse — per un giudice della Corte Suprema. È possibile anche approvare alcune leggi che riguardano il bilancio o le spese federali attraverso un meccanismo legislativo chiamato «riconciliazione», che fu usato dai democratici per approvare la riforma sanitaria di Obama nel 2009 e che i repubblicani cercarono di usare per annullarla.

 

david perdue david perdue

Ma per approvare le leggi che non sono legate al bilancio serve una maggioranza di 60 voti (a prova di filibuster). Il Senato potrebbe teoricamente cambiare le regole ma al momento sembra improbabile — sottolinea il Washington Post —perché richiederebbe l’apppoggio di tutti i senatori democratici e almeno uno (Joe Manchin III della West Virginia) si è già detto contrario.

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