IL PROBLEMA DEL PNRR? TROPPI SOLDI – IL NODO INTORNO AL PIANO DERIVA DALLA BULIMIA DI GIUSEPPE CONTE, CHE CHIESE A BRUXELLES UNA QUANTITÀ SPOPOSITATA DI FONDI: 191 MILIARDI, 122 DEI QUALI A PRESTITO – UN GROVIGLIO EREDITATO PRIMA DA DRAGHI E POI DA MELONI, ALLA QUALE TOCCA ORA FAR QUADRARE IL CERCHIO – ALTRO PROBLEMA PER LA “DUCETTA”: ALCUNE CANCELLERIE EUROPEE PUNTANO A BLOCCARE LA NASCITA DI UN NUOVO EQUILIBRIO POLITICO SULL'ASSE PPE-ERC, GUIDATO DA MELONI…

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Estratto dell’articolo di Francesco Verderami per il “Corriere della sera”

 

Pnrr Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza Pnrr Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza

Il problema principale del Pnrr? Sono troppi soldi. Non è una tesi nata con il governo Meloni, è un’analisi svolta ai tempi del governo Draghi. Quando l’ex presidente della Bce arrivò a Palazzo Chigi, volle immediatamente studiare con il suo staff gli elementi di criticità del Piano: era la priorità dell’esecutivo di larghe intese, che aveva poco tempo a disposizione per cambiare il lacunoso progetto varato da Conte e trattare con l’Europa le modifiche.

 

Draghi intendeva capire quale fosse il nodo attorno a cui si aggrovigliava la matassa e al termine dell’esame tutti furono concordi nel ritenere che la difficoltà maggiore fosse costituita dalla quantità di fondi chiesti dall’Italia: 191,5 miliardi di euro. Un record per distacco rispetto ad altri Paesi europei come la Spagna (69,5 miliardi), la Francia (39,4 miliardi) e la Germania (25,6 miliardi).

 

GIUSEPPE CONTE E MARIO DRAGHI GIUSEPPE CONTE E MARIO DRAGHI

Con un’ulteriore differenza, non marginale: mentre Madrid, Parigi e Berlino si erano limitate ad acquisire i sussidi, Roma aveva chiesto anche i soldi a prestito, per un ammontare di 122,6 miliardi.

 

La bulimia del premier grillino era motivata dalla volontà politica di mostrare all’opinione pubblica come fosse stato capace di ottenere tanti soldi da Bruxelles.

 

[…]

 

Ecco il baco, ereditato oggi dal gabinetto di centrodestra insieme ad altri problemi che l’esecutivo di unità nazionale non poté correggere, sia per la ristrettezza dei tempi sia perché Draghi non poteva completamente sconfessare Conte, siccome M5S era il partito di maggioranza relativa in Parlamento.

 

pnrr pnrr

Ma adesso tocca a Meloni far quadrare il cerchio. Dovendo affrontare una difficoltà supplementare, accennata poco più di un mese fa dalla premier a margine di un Consiglio dei ministri. In quell’occasione si discuteva delle trattative in atto con la Ue per le richieste di modifica al Pnrr, e Meloni aveva confidato che «l’atteggiamento verso l’Italia è cambiato» rispetto al precedente governo.

 

«Certo, i problemi maggiori venivano e vengono dalle strutture tecnocratiche comunitarie — rivela uno dei ministri presenti al colloquio a Palazzo Chigi — ma lei ha detto che se ci fosse un intervento politico sui burocrati, quei problemi potrebbero essere affrontati e superati con più celerità».

 

GIUSEPPE CONTE E MARIO DRAGHI GIUSEPPE CONTE E MARIO DRAGHI

Raccontano che allora Meloni avesse chiuso la discussione chiedendo di fare «attenzione alle trappole» che si celano nel ginepraio di stanze a Bruxelles. Concludendo con un’ultima avvertenza: «Andiamo avanti, ma senza attaccare Draghi». Con il suo predecessore la premier ha avuto (e continua ad avere) modo di discutere sul percorso a ostacoli del Pnrr. Tra i due il rapporto è positivo e i contatti non sono mai cessati.

 

[…]  Così la premier ha davanti a sé tre fronti aperti tra Roma e Bruxelles. Il primo fronte è all’interno del governo, dove si contrappongono due linee: quella della Lega — con Giorgetti e il Mef a far da capofila — secondo cui l’Italia non riuscirebbe a spendere tutti i soldi del Pnrr nemmeno se li lanciasse dagli elicotteri; e quella di FdI — incarnata da Fitto — che mira a rinegoziare tempi e modalità di spesa con l’Unione, anche per evitare che la perdita di risorse possa minare la credibilità di «Giorgia».

 

MARIO DRAGHI E GIORGIA MELONI MARIO DRAGHI E GIORGIA MELONI

[…] Il fattore più importante è legato piuttosto all’atteggiamento di quelle cancellerie che (legittimamente) intendono contrastare l’ambizioso disegno della leader italiana di costruire in Europa un nuovo equilibrio politico sull’asse Ppe-Ecr, che Meloni guida.

 

Per questo Palazzo Chigi ha deciso di anticipare i tempi, annunciando «l’operazione verità» sul Pnrr, preparando la redazione di un dossier sui progetti irrealizzabili e cercando di chiudere la trattativa con Bruxelles. Perché Meloni non vuole pagare il conto dei «sogni di Conte».

GIANCARLO GIORGETTI E GIORGIA MELONI GIANCARLO GIORGETTI E GIORGIA MELONI

 

giorgia meloni giancarlo giorgetti giorgia meloni giancarlo giorgetti

 

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