pensioni

STRANO, MA VERO – SULLE PENSIONI CI SONO DELLE STRANE CONVERGENZE "SOTTERRANEE" TRA DESTRA E SINISTRA SULLE DUE MISURE CHIAVE PER IL FUTURO: QUOTA 41 E L'AUMENTO DEGLI ASSEGNI MINIMI A MILLE EURO AL MESE – LA POSSIBILITÀ DI USCIRE ALLA MATURAZIONE DI 41 ANNI DI VERSAMENTI CONTRIBUTIVI È NEL PROGRAMMA DELLA LEGA, MA È QUANTO VOGLIONO SINDACATI, FRATOIANNI E BONELLI. E L'AUMENTO DEGLI ASSEGNI MINIMI AD ALMENO MILLE EURO NON È UN CAVALLO DI BATTAGLIA DEL SOLO BERLUSCONI, MA…

Marco Rogari per "il Sole 24 ore"

MATTEO SALVINI MEME

 

Mancano ormai solo quattro mesi alla conclusione dell'esperienza annuale di Quota 102. E l'eventualità per le pensioni di un ritorno alla legge Fornero in versione integrale, che sarebbe automatico dal 1° gennaio 2023 nel caso in cui non venissero adottati nuovi interventi prima della fine dell'anno, continua a infiammare la campagna elettorale.

Ieri Matteo Salvini, che spinge forte su Quota 41, è tornato ad attaccare pesantemente proprio l'ex ministro del Lavoro nel governo Monti: «Andare in pensione a 67 anni è una follia, la Fornero ha detto in tv che 41 anni non sono sufficienti. Forse parla così perché non ha mai lavorato in vita sua». Giorgia Meloni, pur sostenendo la necessità di introdurre forme di flessibilità pensionistica in uscita, sembra essere più prudente.

 

PENSIONE

A frenare è il Pd, che propone uscite a 63 anni ma vincolate al metodo contributivo e senza smontare la riforma Fornero. Ma quelle che appaiono come nette divisioni tra gli schieramenti sul delicato terreno della previdenza vengono di fatto ridimensionate da convergenze "sotterranee" tra destra e sinistra su due misure chiave per il futuro assetto pensionistico: appunto Quota 41, ma anche l'aumento degli assegni minimi a mille euro al mese.

In entrambi i casi emergono assi trasversali, anche impensabili, tra le proposte di Fdi, Lega e Fi da una parte e quelle di sinistra italiana-Verdi e sindacati dall'altra.

 

GIORGIA MELONI 1

La possibilità di uscire alla maturazione di 41 anni di versamenti contributivi, a prescindere dall'età anagrafica, che è uno delle proposte prioritarie del Carroccio, non è espressamente citata nel programma comune del centrodestra, ma fa parte delle indicazioni programmatiche delle formazioni politiche guidate da Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli (che ieri si è sposato). Il programma di Sinistra italiana-Verdi parla chiaro: «Noi proponiamo che si possa uscire dal lavoro con 62 anni o con 41 anni di contributi».

 

pensione 3

Una ricetta sostanzialmente identica a quella dei sindacati, ai quali piace molto l'idea salviniana di Quota 41, come ha affermato chiaramente il leader della Cisl, Luigi Sbarra, e che su questo punto hanno già aperto canali di comunicazione con la Lega. Ma anche l'aumento degli assegni minimi ad almeno mille euro non è un cavallo di battaglia del solo Silvio Berlusconi, che vorrebbe garantire questa soglia anche alle casalinghe. Nel programma comune del centrodestra viene citato l'innalzamento delle pensioni minime, sociali e di invalidità senza indicare cifre.

 

SILVIO BERLUSCONI

Ma Giorgia Meloni ha già fatto capire che l'obiettivo finale dovrebbe essere proprio quello dei mille euro. Che, anche in questo caso, sono indicati senza possibilità di altre interpretazioni nel programma di Sinistra italiana-Verdi: «La pensione minima non dovrebbe essere inferiore a mille euro». Una doppia operazione che potrebbe costare solo il primo anno dai 10 ai 35 miliardi (a secondo della gradualità e delle platee di partenza interessate), in netto contrasto con la cosiddetta agenda Draghi, alla quale guarda il Pd e che è la stella polare del programma di Azione-Iv.

 

pensione 1

Queste misure, tra l'altro, potrebbero finire subito nel mirino di Bruxelles, che vigila con attenzione sulla spesa previdenziale italiana, già destinata a crescere nel 2023 di oltre lo 0,7% del Pil sotto la spinta dell'inflazione.

pensionepensionepensioneSILVIO BERLUSCONI GIORGIA MELONIpensione

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni ignazio la russa matteo salvini antonio tajani

DAGOREPORT – LE REGIONALI SONO ANDATE A FINIRE COME NON VOLEVA, SALTELLANDO FUNICULÌ-FUNICULÀ, GIORGIA MELONI: LA "STATISTA DELLA SGARBATELLA", CHE RISCHIA DI NON TORNARE A PALAZZO CHIGI TRA DUE ANNI, ACCELERA SULLA DOPPIETTA PREMIERATO-LEGGE ELETTORALE, MA NON TUTTO FILA LISCIO A PALAZZO CHIGI: SALVINI E TAJANI SPUTERANNO SANGUE PUR DI OPPORSI ALL’INDICAZIONE DEL NOME DEL PREMIER SULLA SCHEDA ELETTORALE, CHE FINIREBBE PER CANNIBALIZZARLI - LA LEGA È CONTRARISSIMA ANCHE AL PREMIO DI MAGGIORANZA ALLA COALIZIONE (CON LA SOGLIA AL 40%, LA LEGA DIVENTEREBBE SACRIFICABILE) – ALTRA ROGNA: IGNAZIO LA RUSSA SCENDE IN CAMPO IN MODALITÀ SCASSA-MELONI: HA RINFOCOLATO LA POLEMICA SU GAROFANI E SE NE FOTTE DEI DIKTAT DELLA DUCETTA (FIDANZA SINDACO DI MILANO? NO, MEJO LUPI; PRANDINI GOVERNATORE DELLA LOMBARDIA? NO, QUELLA È ROBA MIA)

francesco de tommasi marcello viola daniela santanche ignazio leonardo apache la russa davide lacerenza pazzali

DAGOREPORT - CHE FINE HANNO FATTO LE INCHIESTE MILANESI SULLA SANTANCHE', SUL VISPO FIGLIO DI LA RUSSA, SUL BORDELLO DELLA "GINTONERIA" AFFOLLATA DI POLITICI, IMPRENDITORI E MAGISTRATI, OPPURE SULL'OSCURA VENDITA DELLA QUOTA DI MPS DA PARTE DEL GOVERNO A CALTAGIRONE E COMPAGNI? - A TALI ESPLOSIVE INDAGINI, LE CUI SENTENZE DI CONDANNA AVREBBERO AVUTO UN IMMEDIATO E DEVASTANTE RIMBALZO NEI PALAZZI DEL POTERE ROMANO, ORA SI AGGIUNGE IL CASO DEL PM FRANCESCO DE TOMMASI, BOCCIATO DAL CONSIGLIO GIUDIZIARIO MILANESE PER “DIFETTO DEL PREREQUISITO DELL’EQUILIBRIO” NELL’INDAGINE SUL CASO DI ALESSIA PIFFERI – MA GUARDA IL CASO! DE TOMMASI È IL PM DELL’INCHIESTA SUI DOSSIERAGGI DELL’AGENZIA EQUALIZE DI ENRICO PAZZALI, DELICATISSIMA ANCHE PER I RAPPORTI DI PAZZALI CON VERTICI GDF, DIRIGENTI DEL PALAZZO DI GIUSTIZIA MILANESE E 007 DI ROMA - SE IL CSM SPOSASSE IL PARERE NEGATIVO DEL CONSIGLIO GIUDIZIARIO, LA CARRIERA DEL PM SAREBBE FINITA E LE SUE INDAGINI SUGLI SPIONI FINIREBBERO NEL CESTINO - LA PROCURA DI MILANO RETTA DA MARCELLO VIOLA, CON L'ARRIVO DELL'ARMATA BRANCA-MELONI, E' DIVENTATA IL NUOVO ''PORTO DELLE NEBBIE''?

giorgia meloni regionali de luca zaia salvini conte stefani decaro fico

DAGOREPORT: COME SI CAMBIA IN 5 ANNI - PER CAPIRE COME SIA ANDATA DAVVERO, OCCORRE ANALIZZARE I VOTI ASSOLUTI RIMEDIATI DAI PRINCIPALI PARTITI, RISPETTO ALLE REGIONALI DEL 2022 - LA LEGA HA BRUCIATO IL 52% DEI VOTI IN VENETO. NEL 2020 LISTA ZAIA E CARROCCIO AVEVANO OTTENUTO 1,2 MILIONI DI PREFERENZE, QUESTA VOLTA SOLO 607MILA. CONSIDERANDO LE TRE LE REGIONI AL VOTO, SALVINI HA PERSO 732MILA VOTI, IL 47% - TONFO ANCHE PER I 5STELLE: NEL TOTALE DELLE TRE REGIONI HANNO VISTO SFUMARE IL 34% DELLE PREFERENZE OTTENUTE 5 ANNI FA – IL PD TIENE (+8%), FORZA ITALIA IN FORTE CRESCITA (+28,3%), FDI FA BOOM (MA LA TENDENZA IN ASCESA SI È STOPPATA) – I DATI PUBBLICATI DA LUIGI MARATTIN....

luca zaia matteo salvini alberto stefani

DAGOREPORT – DOPO LA VITTORIA DEL CENTRODESTRA IN VENETO, SALVINI NON CITA QUASI MAI LUCA ZAIA NEL SUO DISCORSO - IL “DOGE” SFERZA VANNACCI (“IL GENERALE? IO HO FATTO L'OBIETTORE DI COSCIENZA”) E PROMETTE VENDETTA: “DA OGGI SONO RICANDIDABILE” – I RAS LEGHISTI IN LOMBARDIA S’AGITANO PER L’ACCORDO CON FRATELLI D’ITALIA PER CANDIDARE UN MELONIANO AL PIRELLONE NEL 2028 - RICICCIA CON PREPOTENZA LA “SCISSIONE” SUL MODELLO TEDESCO CDU-CSU: UN PARTITO “DEL TERRITORIO”, PRAGMATICO E MODERATO, E UNO NAZIONALE, ESTREMISTA E VANNACCIZZATO…

luca zaia roberto vannacci matteo salvini

NON HA VINTO SALVINI, HA STRAVINTO ZAIA – IL 36,38% DELLA LEGA IN VENETO È STATO TRAINATO DA OLTRE 200 MILA PREFERENZE PER IL “DOGE”. MA IL CARROCCIO DA SOLO NON AVREBBE COMUNQUE VINTO, COME INVECE CINQUE ANNI FA: ALLE PRECEDENTI REGIONALI LA LISTA ZAIA PRESE DA SOLA IL 44,57% E IL CARROCCIO IL 16,9% - SE SALVINI PIANGE, MELONI NON RIDE: NON È RIUSCITA A PRENDERE PIÙ VOTI DELLA LEGA IN VENETO E IN CAMPANIA È TALLONATA DA FORZA ITALIA (11,93-10,72%). PER SALVINI E TAJANI SARÀ DIFFICILE CONTRASTARE LA RIFORMA ELETTORALE - PER I RIFORMISTI DEL PD SARÀ DURA DARE UN CALCIO A ELLY SCHLEIN, AZZERATE LE AMBIZIONI DI GIUSEPPE CONTE COME CANDIDATO PREMIER - "LA STAMPA": "IL VOTO È LA RIVINCITA DELLA ‘LEGA NORD’ SU QUELLA SOVRANISTA E VANNACCIANA: LA SFIDA IDEOLOGICA DA DESTRA A MELONI NON FUNZIONA. IL PARTITO DEL NORD COSTRINGERÀ SALVINI AD ESSERE MENO ARRENDEVOLE SUI TAVOLI DELLE CANDIDATURE. SUL RESTO È LECITO AVERE DUBBI…”