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I TRUMPIANI SI SO' DATI ALLA MACCHIA - C’ERA GRANDE ATTESA PER LA MANIFESTAZIONE A WASHINGTON IN FAVORE DEI 610 INCRIMINATI (60 DEI QUALI ANCORA DETENUTI) PER L'INSURREZIONE DEL 6 GENNAIO A CAPITOL HILL: ALLA FINE PERÒ SONO ARRIVATE NON PIÙ DI 4-500 PERSONE, ALMENO PER LA METÀ REPORTER - L'ORGANIZZATORE MATT BRAYNARD, CHE NEL 2016 AVEVA LAVORATO PER LA CAMPAGNA DI TRUMP: “DOBBIAMO CANALIZZARE LA FRUSTRAZIONE VERSO UNA MOBILITAZIONE PACIFICA…” (PERÒ INTANTO IERI È STATO ARRESTATO UN ESAGITATO CON LA PISTOLA)

1 - RITORNO A CAPITOL HILL

Paolo Mastrolilli per “La Stampa

 

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Ci sono più giornalisti che manifestanti, alla protesta davanti a Capitol Hill. E alla fine sarà pacifica, a parte l'arresto di un esagitato con la pistola. Le apparenze però non devono ingannare, perché lo scopo era proprio questo: farsi pubblicità e costruire carriere politiche, sfruttando la rabbia che ancora brucia negli animi più ingenui e ignoranti. E così vincere le elezioni midterm del prossimo anno, o le presidenziali del 2024, che sono l'unico vero mezzo per tornare al potere, visto che l'insurrezione è fallita.

 

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«Justice for J6» è stata convocata a Union Square, con vista sul Congresso, proprio per sfruttare l'impatto mediatico del ritorno sul luogo del delitto. E ha funzionato, perché noi siamo qui, insieme ad un esercito di giornalisti.

 

La polizia del resto ha preso sul serio la manifestazione, rialzando le barricate e chiedendo al Pentagono cento soldati della Guardia Nazionale. In teoria lo scopo è chiedere giustizia per i circa 700 incriminati per l'assalto del 6 gennaio al Parlamento, dipinti come prigionieri politici, anche se l'Ap rivela che in carcere ne sono rimasti solo 63, in attesa di processo per reati violenti.

 

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Però l'organizzatore Matt Braynard, che nel 2016 aveva lavorato per la campagna di Trump, ha bisogno di alimentare una narrazione alternativa: «Ho le mie idee sulle elezioni del 2020, ma non sono qui per parlarne. Questa manifestazione non riguarda Trump, Biden o la legalità del voto. Non è un'insurrezione e non difende i violenti. Assaltare il Congresso è stata una mossa stupida e l'ho condannata. Chi ha violato la legge va processato, e se verrà riconosciuto colpevole dovrà andare in prigione. Ciò però non significa rinunciare alla libertà di espressione, o al trattamento equo di tutti i cittadini davanti alla legge. Di questo stiamo parlando qui, e della necessità di canalizzare la frustrazione verso una mobilitazione pacifica, per raggiungere scopi politici più utili».

 

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Sul palco sale la pugile/telecronista/attivista politica italo-cinese Cara Castronuova, per leggere la lettera di una madre anonima che denuncia il trattamento del figlio: «Sta nel gulag di Washington, e sono sette mesi che non gli consentono di tagliare barba e capelli».

 

Quindi recita il messaggio di Nicole, moglie del detenuto Guy Reffitt, che doveva partecipare alla manifestazione ma è stata arrestata dall'Fbi all'aeroporto: «Mio marito è un perseguitato politico, venuto a Washington per esprimere pacificamente le sue idee».

 

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Peccato che nella realtà Guy sia stato denunciato all'Fbi dal figlio Jackson, che l'aveva sentito vantarsi di reati violenti al Congresso: «Devi scegliere una parte o morire». Poi sul podio vanno anche due candidati alle elezioni midterm del prossimo anno, rendendo esplicita la strategia.

 

La verità è che i manifestanti, tipo Phil Jordan del Kentucky, non sono proprio allineati con Braynard: «La polizia ci aveva invitati ad assalire il Congresso e ha sparato ad Ashely Babbitt, per poterci accusare di essere insurrezionali sanguinari. Fosse per me, rifarei l'assalto oggi. Le elezioni sono state rubate e Biden non è il presidente legittimo. Il nostro Paese è nato da una rivoluzione, certe volte la violenza è indispensabile per salvare la democrazia».

 

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Lo sente Eric Lamar, ex pompiere venuto a testimoniare contro i manifestanti, che commenta: «Visto? Altro che protesta politica pacifica. Sono tutti assassini, o come minimo apologeti del terrorismo domestico. Hanno violato la legge, è giusto che paghino».

 

Trump all'inizio aveva appoggiato «Justice for J6», esprimendo solidarietà ai detenuti, perseguitati per aver espresso la loro opinione sulle «elezioni truccate». Poi invece ha abbracciato la versione cospirativa dei gruppi più estremisti tipo i Proud Boys, che hanno ordinato ai seguaci di non partecipare alla manifestazione perché era una trappola: «Se sarete pochi, diranno che il nostro spirito è finito. Se sarete tanti, vi accuseranno di insurrezione violenta».

 

Queste però sono solo le rivalità interne dei gruppi che si contendono il consenso dell'estremismo, in attesa che Trump lo riunifichi candidandosi alle presidenziali del 2024.

 

2 - WASHINGTON, FALLISCE LA MARCIA DEGLI ULTRÀ DI TRUMP

Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera

 

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Washington in stato d'assedio, il Campidoglio isolato dietro una barriera di reticolati e filo spinato, centinaia di poliziotti della capitale mobilitati, 1.600 agenti di rinforzo da altre città, 100 militari della Guardia nazionale. E centinaia di giornalisti venuti a raccontare la protesta organizzata da un ex collaboratore delle campagne elettorali di Trump.

 

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Si temevano nuove violenze, ma al dunque nel prato della manifestazione «Justice for J6», in favore dei 610 incriminati per l'insurrezione del 6 gennaio (60 dei quali ancora detenuti) sono arrivati non più di 4-500 persone, almeno per la metà reporter. È l'esito che in molti si attendevano visto che, a differenza del 6 gennaio, quando ci fu il tentativo di bloccare la proclamazione della vittoria elettorale di Joe Biden, con lo stesso Mike Pence vice di Trump alla Casa Bianca, costretto a rifugiarsi negli scantinati per sfuggire alla furia del fan dell'allora presidente, stavolta il Congresso era deserto alla fine di una settimana senza lavori parlamentari in calendario.

 

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Reazione eccessiva di un apparato di sicurezza ancora sotto choc per essersi fatto cogliere di sorpresa a gennaio? Probabilmente sì, ma bisogna tenere conto di quanto profondamente è cambiato lo scenario politico e dell'ordine pubblico in un Paese nel quale la maggioranza degli elettori repubblicani crede che Trump sia stato privato fraudolentemente della sua vittoria elettorale.

 

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E nel quale, secondo un sondaggio dell'università di Chicago, un americano su 10 ritiene legittimo tentare di restituire lo scettro del comando a Trump, anche con l'uso della forza. Sondaggio da non prendere per oro colato (è stato usato un campione piuttosto limitato) ma significativo. Per le forze di sicurezza quella di ieri è stata un'occasione di addestramento: prepararsi ad affrontare un rischio - quello di improvvisi eventi insurrezionali interni - mai preso in considerazione in passato e per il quale 8 mesi fa la polizia del Congresso e quella della città si erano dimostrate completamente impreparate.

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Mentre anche la Guardia nazionale, una volta richiesto il suo intervento, era scesa in campo in ritardo. Anche stavolta nell'organizzazione non tutto è filato liscio. Una nuova richiesta di intervento della Guardia Nazionale da parte della polizia è stata contestata e poi ritirata e sostituita con quella di schierare un numero limitato di militari armati solo di sfollagente per sorvegliare gli ingressi degli edifici pubblici.

 

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E l'organizzazione della difesa del Congresso è stata rimessa in discussione da un comitato del quale fa parte anche un architetto che, si è scoperto, ha voce in capitolo. In piazza, comunque, tutto è filato liscio: gli organizzatori hanno precisato che chiedono la liberazione e il proscioglimento solo di chi è semplicemente entrato in Congresso senza commettere atti violenti.

 

Secondo loro la repressione nei confronti della protesta di estrema destra del 6 gennaio è stata molto più dura di quella di altri disordini alimentati dalla sinistra radicale, come quelli contro la nomina del giudice Brett Kavanaugh alla Corte Suprema. Un'equivalenza difficile da sostenere, visto che nelle altre proteste non si era mai arrivati a invadere l'edifico che è il cuore della democrazia americana.

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