attilio fontana luca zaia giuseppe conte

TUTTO COME A MARZO: GOVERNATORI E SINDACI DEL NORD NON VOGLIONO LE ZONE ROSSE. SOPRATTUTTO, NON VOGLIONO LA RESPONSABILITÀ DI DECIDERLE, PREFERISCONO CHE IL GOVERNO SI ACCOLLI LA ROGNA DI IMPORRE RESTRIZIONI NAZIONALI - LOMBARDIA E PIEMONTE HANNO UN INDICE RT, CHE MISURA LA VELOCITÀ DI TRASMISSIONE DEL VIRUS, SUPERIORE A 2. E QUINDI SI TROVANO GIÀ NELLO SCENARIO 4, QUELLO CHE PREVEDE ANCHE LE ZONE ROSSE ''PER ALMENO TRE SETTIMANE''

1 - GOVERNATORI DEL NORD: «NO ALLE ZONE ROSSE» COPRIFUOCO ANTICIPATO

Marco Conti Mauro Evangelisti per “il Messaggero

 

ZAIA E ATTILIO FONTANA

Il braccio di ferro di Giuseppe Conte con i presidenti di regione continua e alimenta la confusione nel governo dove si intrecciano linee e proposte l' una contro l' altra armata. Un frullatore di idee e richieste avviato nella mattinata di ieri e che proseguirà oggi con l' ennesimo incontro governo-regioni e poi un nuovo giro con i capidelegazione. Tempi stretti, ma solo sulla carta, visto che alle 12 il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha promesso di recarsi alla Camera per raccontare cosa intende mettere nel dpcm prima di firmarlo. Un cambio di passo che avrebbe dovuto accompagnare la nascita di quella «cabina di regia» nella quale maggioranza e opposizione si sarebbero dovuti confrontare se non fosse che il centrodestra ha respinto al mittente l' invito.

 

maria stella gelmini foto di bacco (1)

CONFRONTO

 «Non saremmo noi a togliere le castagne dal fuoco a Conte». La capogruppo di FI Maria Stella Gelmini non è però l' unica a pensare che il premier sia ora in difficoltà, stretto tra un allarmato ministro della Salute, i distinguo dei partiti di maggioranza e ben 14 presidenti di regione del centrodestra che non hanno certo intenzione di abbassare la testa. E così le riunioni con i governatori diventano una sorta di lungo sfogatoio durante le quali i ministri Boccia e Speranza ascoltano e negli appunti riportano anche l' idea di Liguria, Lombardia e Piemonte di mettere sotto chiave i settantenni.

 

Malgrado le pressioni, Conte non freme dalla voglia di firmare un nuovo dpcm e, con ogni probabilità, si prenderà anche la giornata di oggi per ponderare le misure che a suo giudizio devono essere calibrate territorio per territorio. I presidenti di regione però non ci stanno ad assumersi la responsabilità di chiudere o l' intera regione o a realizzare zone rosse. E non a caso a tarda notte il tavolo di confronto è ripreso.

 

La proposta che il governo potrebbe avanzare oggi è quella di rendere obbligatoria la chiusura di singole zone qualora l' indice Rt, la percentuale di positivi sui tamponi e la percentuale di occupazione dei posti letto dovesse superare una certa soglia come previsto dal piano con i quattro scenari del Ministero. Il giro di vite dovrebbe anche riguardare la chiusura alle 18 (come chiede il Cts) alle 20 o alle 21 di tutte le attività. Una sorta di coprifuoco in tutta Italia: senza un valido motivo legato al lavoro o a ragioni di salute non si potrà uscire di casa. Su questo i renziani continuano a resistere, così come Leu contesta la didattica a distanza per tutti i licei e le terze classe di medie. La «chiusura dei musei» è annunciata in tv dallo stesso ministro Franceschini, mentre il blocco alla mobilità tra regioni lo ufficializza Franco Locatelli, presidente dell' Istituto di sanità.

roberto speranza francesco boccia

 

CRITERI

Ma il nodo vero è legato al principio di fondo che Conte e Speranza vogliono sancire con le Regioni, con criteri scientifici che portino alle chiusure in automatico, senza discrezionalità.

 

Più nel dettaglio: l' altro giorno, nel report della cabina di regia sull' andamento dei dati, c' era scritto che ci sono già 11 regioni ad alto rischio. Quella valutazione mette insieme una serie di fattori che non riguardano solo l' Rt (che in Lombardia e Piemonte è già sopra 2), ma anche i posti letto occupato e la capacità di tracciare i positivi. Inoltre, per fare scattare l' obbligo di chiusure regionali sarà necessario ritrovarsi in questa condizione di alto rischio per tre settimane successive. Fissando dei criteri scientifici, che erano già stati in realtà condivisi con le Regioni, quando fu scritto il documento, fa sì che i governatori interessati non possano tirarsi indietro.

 

Dove il virus corre - appunto Piemonte, Lombardia, Calabria, Valle d' Aosta, Bolzano per fare l' esempio dei territori con l' Rt a 2 ma ci sono difficoltà anche in Liguria - sarà automatica la chiusura di negozi, bar e ristoranti per tutto il giorno, il ricorso allo smartworking nell' amministrazione pubblica: di fatto una sorta lockdown regionale. I dati di ieri, sempre influenzati da una basso numero di tamponi caratteristico del fine settimana, non lasciano tranquilli: diminuiscono i nuovi contagi, 29.907, ma su un numero inferiore rispetto al giorno precedente di test, 183.457. Ormai la percentuale di positivi è altissima, al 16,3 per cento e questo è un campanello d' allarme. Cresce costantemente il numero dei posti di terapia intensiva occupati, ieri altri 96, mentre i decessi sono stati 208.

 

conte zaia

 

2 - REGIONI, LA BABELE DELLE ORDINANZE

Lorenzo Salvia per il “Corriere della Sera

 

Milano, Torino, Napoli , Roma. Ma anche Varese, Como, Caserta, e comuni più piccoli come Aversa e Maddaloni, in Campania. Si aggiorna di ora in ora la lista teorica dei possibili lockdown locali da seconda ondata. Ma se il tema non è più un tabù, la prudenza è ancora tanta. Qualsiasi sarà il punto di caduta del decreto in arrivo dal governo, le Regioni potranno fare scelte più severe. Sulla scuola, sui trasporti, sul coprifuoco. E anche sulle chiusure vere e proprie che poi dovrebbero essere decise dai sindaci. Con il rischio di una seconda ondata anche per quella babele di ordinanze locali che abbiamo già visto.

 

Le Regioni chiedono al governo la linea dura. Chi più, chi meno, ma soprattutto Lombardia e Piemonte che hanno un indice Rt, che misura la velocità di trasmissione del virus, superiore a 2. E quindi si trovano già nello scenario 4, quello che prevede anche le zone rosse «per almeno tre settimane». Se tutti i governatori sono in pressing, non è solo perché ritengono che la situazione sia seria . Ma anche per non essere loro a doversi assume la responsabilità di scelte dolorose sul piano economico e sociale, con le piazze già calde. Ma al di là del gioco a nascondino sulla responsabilità, cosa potrebbe succedere nei prossimi giorni?

 

BEPPE SALA E GIUSEPPE CONTE CON LA PALA

Al di là delle voci che si rincorrono da giorni, al momento la linea è quella di non chiedere la zona rossa per Milano. Una posizione che, per una volta, trova d'accordo il governatore Fontana e il sindaco Giuseppe Sala. L'idea è che prima sia necessario valutare gli effetti dell'ultima stretta decisa a livello locale, a partire dal coprifuoco dopo le 10 di sera. E in ogni caso si farà di tutto per evitare una seconda chiusura che darebbe un altro colpo a una città già ferita. Proprio per questo si spinge per interventi diversi. Cose che in Lombardia sono già state fatte e che potrebbero essere estese a tutto il territorio nazionale, come la didattica a distanza al 100% per le superiori o la chiusura dei centri commerciali nei fine settimana.

 

verbale del comitato tecnico scientifico sulla zona rossa ad alzano e nembro

Ma anche l'obbligo per i medici, in alcune circostanze, di eseguire i temponi a domicilio. Anche su Torino da giorni si rincorrono voci di lockdown . E ieri alle voci si è aggiunta la richiesta formale dell'ordine provinciale dei medici, che chiede di chiudere subito perché «è in gioco la stessa tenuta del sistema sanitario». Ma anche per il capoluogo piemontese, al momento, si frena. In tutta la regione si vogliono evitare zone rosse più o meno estese, puntando come altrove su misure mirate per fascie d'età. Non solo sugli anziani, con la proposta che tanto ha fatto discutere avanzata insieme a Lombardia e Liguria. Ma anche sui giovani, al di fuori dell'orario scolastico.

 

Sempre per evitare il lockdown , non solo a Torino ma anche in altre città, la Regione si prepara ad aiutare i singoli comuni a decidere cosa fare ma scegliendo sempre l'approccio della gradualità. La chiusura come ultima scelta, insomma. A Napoli e Caserta la situazione è più difficile che nel resto della regione. Anche se, come specifica l'Istituto superiore di sanità nel suo ultimo report, il «ritardo nella notifica dei casi rende non pienamente affidabile il trend». Ma anche qui di zona rossa locale, almeno per il momento, non si vuole parlare. Si preferisce mantenere, non solo nel capoluogo ma in tutta la regione la linea dura sulla scuola.

 

mondragone proteste per zona rossa

Con la chiusura di tutti gli istituti, dalla materna alle università, al momento fino al 14 novembre ma con una proroga che al momento appare più che probabile. Dal 24 settembre, giorno di apertura delle scuole, a fine ottobre, il numero dei contagi a livello generale è triplicato. Mentre nelle scuole si è moltiplicato invece di nove volte. La Regione vuole estendere il blocco a tutto il territorio nazionale, proprio per contenere il contagio ed evitare chiusure che avrebbero effetti disastrosi sull'economia. Non è un caso che la prima protesta di piazza contro la chiusura anticipata di bar e ristoranti ci sia stata proprio a Napoli.

 

Al momento nel Lazio la situazione è meno grave che altrove. La regione è seconda per numero di tamponi ma terz' ultima per la percentuale di positivi. Tuttavia la concentrazione di movimenti che anche in questi giorni a scartamento ridotto vive una città come Roma può far impennare la curva in qualsiasi momento. L'attenzione c'è ma per ora, al di là delle voci, di lockdown nella capitale non se ne parla. Con l'intenzione, sulla scuola, di non prendere provvedimenti più restrittivi di quelli in arrivo a livello nazionale. E considerando che la didattica a distanza è già al 50% alle superiori e al 75% alle università.

 

 

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