giuseppe conte luigi di maio beppe grillo

UBI DI MAIO, CONTE CESSAT - LA PARTITA DELLA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA SI È GIOCATA FUORI DA PALAZZO CHIGI, TUTTA INTERNA AI 5STELLE - DAGO: CHI HA SISTEMATO LE VELLEITA' DI CONTE E' STATO DI MAIO CHE PRIMA SI E' PARATO IL CULO CHIAMANDO BEPPE GRILLO PER AVERE IL SUO APPOGGIO E QUINDI HA AFFRONTATO CONTE: NON PUOI ANDARE OLTRE O USCIAMO DAL GOVERNO. INTANTO, DALL'ALTRA PARTE, GIORGETTI HA SEDATO LEGA E FORZA ITALIA...

Francesco Verderami per il "Corriere della Sera"

 

MARIO DRAGHI GIANCARLO GIORGETTI

Quando Giorgetti ha detto che Conte stava «iniziando la guerra di logoramento contro il governo», sul volto di Draghi è comparso un sorriso assai eloquente. Quell'espressione valeva più di un discorso e Draghi voleva che i ministri la notassero.

 

L'hanno notata. Ieri la «spazzacorrotti» è stata spazzata via. Approvata dal primo governo Conte, è stata di fatto cancellata dall'ex presidente della Bce con il voto dei ministri grillini. La riforma della giustizia è (per ora) il più eclatante segno di discontinuità rispetto al passato, approvata al termine di una giornata faticosa durante la quale - racconta un esponente di governo - «in Consiglio non c'è stata alcuna trattativa sui contenuti del testo».

 

marta cartabia mario draghi.

È fuori da Palazzo Chigi che è andata in scena l'ennesima pochade. In mattinata la Cartabia aveva presentato il nuovo testo, compromesso del compromesso precedente. Le delegazioni dei partiti si erano riservate di decidere dopo averlo visionato. E siccome tutti avevano ottenuto qualcosa, tutti erano pronti a dare il loro assenso.

ALFONSO BONAFEDE GIUSEPPE CONTE

 

A quel punto i grillini hanno provato ad alzare la posta, annunciando che non sarebbero entrati in Consiglio per non doversi poi astenere. Temevano di essere sacrificati da Conte come i responsabili dell'intesa e di venire additati alla base del Movimento. Questo era il vero problema.

 

Lo si è capito appena Di Maio - come mai accaduto prima - si è messo a fare il minaccioso: «Vorrei ricordare che sulla giustizia è caduto il nostro primo governo». Ma il copione non reggeva, dato che nel frattempo i ministri grillini avevano inondato di chiamate i loro colleghi con toni accorati: «Capiteci», «comprendeteci».

giuseppe conte e luigi di maio con la card del reddito di cittadinanza

 

Al grido di dolore avevano risposto Orlando e Speranza: «Bisogna andargli incontro, sono in difficoltà». In realtà ad essere in mezzo ai guai era il Pd, legato mani e piedi all'alleato, come ha ammesso un ministro dem in quel frangente: «È che senza M5S non potremmo stare al governo».

 

Abituato a ben altre trattative quando stava a Francoforte, Draghi prendeva nota del doppio gioco del Pd mentre misurava l'inaffidabilità dei cinquestelle. Come racconta uno dei testimoni, il premier «ha avuto la pazienza di non mandarli a quel paese», derubricando quanto stava accadendo a «rumore di fondo».

valeria ciarambino luigi di maio giuseppe conte gaetano manfredi da michele

 

 

Non si contano gli aggiustamenti chiesti ieri dal Movimento (con l'appoggio dei democratici) che il presidente del Consiglio ha rispedito al mittente. E dopo aver mostrato di accogliere certi suggerimenti provenienti dal Colle, al dunque ha ribadito che quanto c'era da cambiare era stato di fatto cambiato.

 

In questo senso Draghi ha potuto contare sulla sponda di Giorgetti e sull'asse tra il ministro leghista e quelli di Forza Italia e Iv. La Gelmini si è spesa per dire che la riforma andava approvata «anche perché è necessaria ad ottenere i fondi del Pnrr». E come lei la Bonetti, sebbene fosse «disgustata da certi atteggiamenti».

ROBERTO SPERANZA MARIO DRAGHI

 

C'era da portare a casa il provvedimento, questa era la priorità, superando i problemi di timing: perché per far approvare il testo alla Camera entro inizio agosto si dovevano fare i conti con i regolamenti parlamentari, che erano un freno all'obiettivo politico. Un giorno andrà chiarito chi consigliò la Guardasigilli di scegliere la strada degli emendamenti allo «spazzacorrotti» invece di presentare un proprio disegno di legge.

 

Perché quello che era un gesto di distensione politica verso M5S, proprio per effetto dei regolamenti parlamentari si stava rivelando una trappola. E ieri nella maggioranza, esponenti del Pd e della Lega puntavano l'indice verso le strutture apicali del dicastero della Giustizia «gestito dai magistrati».

 

GIANCARLO GIORGETTI E MARIO DRAGHI LEGGONO DAGOSPIA

Gli stessi che due settimane fa per un «errore» stavano per mandare in tilt la riforma. Ma alla fine, il muro contro muretto ha avuto l'esito voluto da Draghi. Che si è gustato la sfuriata di Giorgetti: «... Perché è vero che noi della Lega ci siamo astenuti in Consiglio sul decreto anti-Covid, e lo rivendico come atto politico. Ma nel frattempo siamo andati avanti appoggiando con lealtà l'azione di governo senza mai cedere a logiche ricattatorie. Altrimenti non si potrebbe andare avanti».

 

Così ha avvisato il premier che Conte stava iniziando «l'azione di logoramento del governo». E in quel momento Draghi ha mostrato il suo sorriso programmatico. «È stato un passaggio delicato che ha portato a una conclusione straordinaria», ha commentato infine il premier: «Grazie a tutti per l'impegno». E avanti un altro.

ROBERTO SPERANZA E MARIO DRAGHIgiuseppe conte alfonso bonafede

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