Valentina Santarpia per roma.corriere.it
Sono state indagini chiuse in modo «sbrigativo», quelle sulla morte di Matilde Lorenzi, la sciatrice azzurra morta mentre si allenava sulla pista Grawand G1 del ghiacciaio della Val Senales.
Ne è convinto il consigliere del Consiglio superiore della magistratura, Ernesto Carbone, che ha depositato la richiesta per l'apertura pratica allo scopo di fare chiarezza sulla correttezza e sulla completezza delle indagini svolte dalla Procura di Bolzano. L'obiettivo è accertare «eventuali profili di responsabilità in capo ai magistrati titolari delle indagini».
«La Procura di Bolzano - scrive Carbone nella sua richiesta - ha provveduto a chiudere le indagini in modo sbrigativo, nel giro di poche ore, non ravvisando alcuna responsabilità penale nella vicenda, che, invece, come si apprende da fonti di stampa, presenta numerosi aspetti poco chiari.
Innanzi tutto, le indagini sono state chiuse sulla base di un rapporto dei carabinieri nel quale si dichiara che la pista era dotata di protezioni: tuttavia, da fotografie scattate dall'alto immediatamente dopo l'incidente, è facilmente riscontrabile che, nel luogo in cui la sciatrice si trovava adagiata nel dirupo a seguito della caduta, mancavano reti di protezione a dividere la pista di allenamento dal fuori pista non battuto».
Il consigliere del Csm segnala che «tra le porte pit esterne e il bordo pista la distanza era minima e che le condizioni di sicurezza erano del tutto inadeguate per l'allenamento degli atleti.
Perché la Procura non ha condotto alcun accertamento in merito a responsabilità legate alla posizione e alle caratteristiche del tracciato sul quale gli atleti si stavano allenando?», chiede Carbone sottolineando che «sul corpo della ragazza non è stata eseguita l'autopsia, per indagare su quali siano state, veramente, le cause del decesso» e «non è stato accertato se l'atleta sia morta a causa della caduta sulla pista, oppure per la caduta dopo il conseguente volo fuori pista».
Infine Carbone segnala che «la pista non è stata chiusa e posta sotto sequestro, al fine di espletare le indagini del caso e per la messa in sicurezza, ma é stata lasciata aperta e fruibile agli sciatori, col pericolo che potessero verificarsi altri incidenti».
Carbone non è il primo a mettere in dubbio le procedure con cui è stata archiviata la morte della ragazza. Paolo De Chiesa e Piero Gros, ex della Valanga Azzurra, sono pronti a presentare un esposto affinché la vicenda sia riaperta e ridiscussa. Nonostante il caso sia stato archiviato, le zone d’ombra e le perplessità rimangono.
La chiusura delle indagini, prima di tutto, si basa su un rapporto dei carabinieri nel quale si dichiara che c’erano delle protezioni. Però ci sono delle foto inequivocabili, dall’alto dove si vede Matilde adagiata sulla neve nel dirupo, con i soccorritori vicino a lei e l’elicottero poco distante: è molto chiaro che dove la pista di allenamento finisce e inizia il fuori pista non battuto — con un 2-3 metri il dislivello — non ci sono reti.
Si è poi sostenuto che Matilde sia morta in pista: perché allora non verificarlo con l’autopsia? Infine, viene messa in discussione la tracciatura. Sui ghiacciai il traffico è ormai imponente: si creano vari percorsi paralleli, ci si deve alternare negli start per non ostacolarsi. Forse si sta esagerando. La squadra azzurra stava usando proprio il tracciato numero 1, quello più vicino al confine con il «rough».
Domanda semplice: gli allenatori che hanno tracciato così a ridosso del bordo pista, senza la possibilità di vie di fuga, non potevano rifiutarsi di farlo? L'ultimo aspetto messo sotto osservazione è che quel giorno sul ghiacciaio hanno continuato a sciare: in altri casi non sarebbe successo. E tutti questi aspetti potrebbero essere chiariti da una nuova indagine, se la richiesta del consigliere Carboni sarà accolta.
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