“MANCINI È UN EROE” – ARRIGO SACCHI ESALTA IL CT AZZURRO CHE HA LIBERATO L’ITALIA DA CATENACCIO E CONTROPIEDE: IN UN CAMPIONATO CON IL 70% DI STRANIERI HA DATO UNO STILE DI GIOCO ALLA NAZIONALE, PORTANDOCI A VINCERE IN EUROPA – IL DUELLO SCUDETTO MILAN-NAPOLI, LA JUVE "CHE PUÒ RISALIRE PERCHÉ HA L’ORGANICO MIGLIORE”, LE BORDATE A GIANNI BRERA: "ALLA VIGILIA DELLA FINALE DI COPPA CAMPIONI CON LA STEAUA SUGGERÌ DI "ASPETTARLI E UCCELLARLI", GULLIT MI DISSE…

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Antonio Barillà per "la Stampa"

 

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La classifica di Serie A come la DeLorean del film "Ritorno al Futuro": un viaggio nel tempo, nella seconda metà degli anni Ottanta, quando Napoli e Milan si contendevano lo scudetto. Arrigo Sacchi, tecnico rossonero dell'epoca, l'uomo che ha rivoluzionato il nostro calcio, si volta indietro e rivede Maradona e Van Basten, sfoglia ricordi vividi, incornicia quelli del campionato 1987-'88:

 

«A San Siro finì 4-1: capimmo la nostra forza perché non vincemmo semplicemente, ma li affossammo. E al ritorno, dopo aver fatto nostra una partita-spareggio, uscimmo tra gli applausi del pubblico, cosa rarissima».

 

Meno dolce la memoria del 1989-'90, primato azzurro e polemiche feroci sugli arbitri: «Sa cosa diceva Enzo Ferrari? Gli italiani perdonano tutto ma non il successo».

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Sacchi, come vede il Napoli di oggi?

«Contro il Bologna mi ha fatto una grande impressione, a Salerno mi è piaciuto meno. Per vincere un campionato devi avere una normalità di rendimento e di impegno: se il Napoli l'avrà, lotterà fino in fondo perché ha bravi giovani, buona esperienza, una rosa ampia e di qualità».

 

Il Milan?

«Sulla carta non è la più forte, ma gioca il calcio più vicino all'internazionalità, inoltre è squadra nello spirito e questo l'aiuta a esserlo nel gioco. Accanto ai giovani, interessanti, ci sono due o tre elementi maturi che però conservano entusiasmo e generosità. Hanno subito diversi infortuni, può capitare ma speriamo che la sfortuna non si accanisca: Pioli ne risentirebbe, non ha una rosa come quella del Napoli».

 

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Nonostante un calcio a suo giudizio internazionale, la Champions rossonera è avara «Significa che la crescita non è completa, ma va anche detto che il cammino non è stato agevole: oltre ad Atletico Madrid e Liverpool, nel girone c'è il Porto che non casualmente, un anno fa, ha eliminato la Juventus. I portoghesi giocano in undici, sono polivalenti, si muovono senza pensare perché hanno automatizzato i movimenti».

 

Il calcio a sua immagine.

«Per rimanere sport attrattivo, deve essere così. E intrecciare modestia, entusiasmo, altruismo, passione e intelligenza. Bisogna sapere sempre cosa fare, se giocare corto o lungo, a destra o sinistra. Oggi portabandiera dell'Italia è l'Atalanta, dove tutti partecipano alla manovra, altro che sprecare giocatori per la sola fase difensiva. Così capita che la squadra di Gasperini sfiori la vittoria con il Manchester United che si permette di tirar fuori dalla panchina Cavani, Van der Beek oppure Sancho pagato 85 milioni».

 

Il Milan ha un valore aggiunto: Ibrahimovic.

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«Dio gli ha dato tantissimo e non sempre ne ha approfittato perché pensava gli bastasse, oggi però gioca per la squadra ed è recuperato al collettivo. È straordinario, forse nel derby poteva essere cercato un po' di più. Difficile, in generale, trovare un calciatore d'esperienza che sappia essere generoso e intelligente: io a Rimini avevo Frosio, un passato in A che non faceva pesare, una volta venne ad allenarsi con 39 di febbre».

 

Maldini dirigente è una sorpresa?

«Solo per chi non lo conosce: è bravissimo, non bravo. Positivo, propositivo, ha cultura e conoscenza. Ed è ben supportato da Massara».

 

Ci parli di Spalletti e di Pioli.

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«Spalletti è sempre stato un buon allenatore, solo dava la sensazione di non riuscire a esprimersi totalmente. Pioli adesso imprime uno stile suo: prima non si vedeva, potevano essere squadre di tutti.

 

Deve portarlo avanti fino in fondo, però: con l'Atletico Madrid, rimasti in dieci, è tornato un allenatore "italiano", fuori gli attaccati e tutti difensori e centrocampisti. Io credo di non aver mai perso in dieci contro undici, nemmeno al Mondiale. E ho sempre difeso lo stile: non lo avessi fatto, avessi cercato compromessi, avessi ascoltato i giocatori che al tramonto di partite bloccate chiedevano di lanciare i palloni in area per sfruttare il gioco aereo, il mio Milan non avrebbe ricevuto tanti riconoscimenti prestigiosi».

 

Napoli e Milan in vetta. Affare a due, o per lo scudetto c'è anche l'Inter?

«C'è di sicuro. Non ha il coraggio del Milan, ma come qualità individuale è superiore». Juve in clamoroso ritardo. Che succede?

«Allegri non ha ritrovato tutti i suoi giocatori, tra le sue gestioni ne sono arrivati altri e forse alcuni sono funzionali alle sue idee. Può risalire perché l'organico resta uno dei migliori, se non il migliore».

 

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In generale, il calcio italiano sta cambiando: da Juric a Italiano c'è una generazione di allenatori che studia e osa, l'atteggiamento offensivo ha quasi estinto gli zero a zero.

«È la prima volta. Ed è una soddisfazione. Nel 2014, guardando l'Under 21 contro la Danimarca, meno forte ma ben organizzata, Costacurta mi disse: "Mister ci hanno copiato ovunque tranne che in Italia". Risposi che siamo fatti così, che cerchiamo di vivere di furbate, ma adesso, finalmente, qualcosa è cambiato».

 

Tudor, uno dei simboli del nuovo corso, sostiene che i tifosi sono sempre più esigenti e non vogliono vedere squadre che stanno dietro e subiscono. Aggiunge però che il suo calcio sarebbe difficile da proporre a Ronaldo: lei come si approcciò con i fuoriclasse?

«I miei non erano ancora ancora esplosi, io li volevo così. Quando arrivarono Rush alla Juve e Van Basten da noi, il campione affermato era il gallese».

 

Lei è stato un antesignano del bel gioco.

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«Soffrivo quando i clienti stranieri dei calzaturifici di mio papà, a Fusignano, ci bollavano, chiacchierando, come difensivisti. D'altro canto nel dizionario del calcio c'erano due sole parole italiane: catenaccio e libero. E non capivo la tesi di un illustre giornalista secondo cui dovevamo difenderci e colpire, non attaccare, perché mangiavamo polenta e non carne.

 

Perché, allora, nell'atletica o nella boxe ci imponevamo? Quando nell'89, dopo aver fatto 5 gol al Real Madrid, alla vigilia della finale di Coppa dei Campioni con la Steaua Bucarest suggerì di "aspettarli e uccellarli", Gullit mi disse: "Noi li attacchiamo dal primo secondo finché stiamo in piedi". E così fu».

 

Un simbolo della metamorfosi è la Nazionale di Mancini, vincitrice dell'Europeo senza sospetti di difensivismo. «Mancini è un eroe: in un campionato con il 70% di stranieri ha selezionato un ottimo gruppo e dato uno stile di gioco, portandoci a vincere in Europa dopo anni di nulla. Venerdì avrà uno snodo importante con la Svizzera: spero che la squadra arrivi in forma».

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