MAGIC (JOHNSON) MOMENT - L'EX CAMPIONE DELLA NBA CAVALCA L'ONDA DEL SUCCESSO DI "THE LAST DANCE" E PUBBLICA UN DOCUMENTARIO SULLA SUA VITA: "DOPO LA DIAGNOSI DI SIEROPOSITIVITÀ HO PERSO L’ASPETTO ATLETICO COMPETITIVO DELLA MIA VITA. SONO ANCORA VIVO DOPO 31 ANNI E SE CI PENSO E' UNA COSA INCREDIBILE." - "GLI ATLETI HANNO IL POTERE DI PROMUOVERE CAUSE FUORI DAL CAMPO SPORTIVO? CERTO, MI SEMBRA DI AVERLO DIMOSTRATO CON IL MIO ESEMPIO. PER ME ERA ED E' IMPORTANTE MOSTRARE AL MONDO CHE…" - VIDEO

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Roberto Croci per “il Venerdì di Repubblica”

 

magic johnson annuncia di essere sieropositivo magic johnson annuncia di essere sieropositivo

Sette novembre 1991. Forum di Inglewood, California, sede leggendaria di tante vittorie dei Lakers. Davanti a una folla di reporter e fan si presenta Earvin Magic Johnson, lo straordinario giocatore che ha portato la franchigia a vincere cinque campionati Nba. In questa occasione il 32enne playmaker non sfodera il classico sorriso, non indossa la classica divisa purple & gold ma un completo doppiopetto che lo aiuta a definire la serietà del momento.

 

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Dietro al microfono, con la moglie Cookie al suo fianco, Magic annuncia il proprio congedo dal mondo del basket mondiale dopo aver scoperto di essere sieropositivo. Le parole pronunciate da Magic sono uno shock, non solo per il mondo sportivo. Contrarre l’Hiv in quegli anni significava una quasi certa sentenza di morte, oltre che uno stigma sociale. Ma Johnson, quasi a voler confermare quel suo soprannome datogli al college, decide di tornare a giocare. Ancora per un po’, giusto il tempo di vincere l’oro alle Olimpiadi del 1992 con il Dream Team Usa e di tornare a vestire l’amata maglia numero 32.

 

MAGIC JOHNSON IN They Call Me Magic MAGIC JOHNSON IN They Call Me Magic

Oggi Magic ha una stella sulla Hollywood Walk of Fame, e diventato imprenditore (tra le altre cose, e tra i proprietari della società di baseball Los Angeles Dodgers e del Los Angeles Football Club), filantropo e ambasciatore a sostegno della lotta contro l’Aids. Con la sua Magic Johnson Foundation fornisce servizi alle comunità urbane svantaggiate e organizza programmi scolastici per studenti provenienti da situazioni difficili. La sua vita leggendaria oggi e raccontata nella serie in quattro puntate They Call Me Magic (dal 22 aprile su Apple Tv+) attraverso video inediti e interviste ad amici, familiari e celebrity.

 

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Perché ha deciso di raccontare la sua vita in una docuserie?

«Dopo l’uscita di The Last Dance, sulla carriera di Michael Jordan, tutte le persone che conosco hanno iniziato a chiedermi quando avrei raccontato la mia di vita, sconfitte e successi compresi. Ho riflettuto parecchio e ho pensato che sarebbe stato giusto raccontare la mia versione dei fatti. Apple era sinceramente interessata alla mia storia, a quello che mi e capitato prima del successo e a quello che mi e accaduto dopo aver appeso le scarpette al chiodo. In They Call Me Magic c’è tutto: l’Nba, gli amici, i miei trofei, la mia vita privata, l’amore».

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Com’e stato rivivere il passato?

«Ci sono stati tanti momenti tristi, ma anche importanti, come la scoperta della mia sieropositività o le ultime ore della vita di Jerry Buss (leggendario proprietario dei Lakers dal 1979, ndr) a cui ho assistito piangendo e stringendogli la mano. Ma ci sono anche momenti felici, come il Draft del 1979 in cui i Lakers mi scelsero per far parte della squadra, il primo titolo Nba, l’amicizia con il coach Pat Riley (suo allenatore dal 1981 al 1990, ndr), l’acquisto dei Dodgers».

 

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Dopo che le e stata diagnosticata l’infezione da Hiv come e cambiata la sua vita?

«Non ho mai accettato la sconfitta, perdere non fa per me. Voglio sempre vincere. Ho seguito le istruzioni dei medici, preso le medicine che mi hanno prescritto e ho pregato per mantenere una mentalità costruttiva che escludesse del tutto la negatività. Dopo la diagnosi ho perso l’aspetto atletico competitivo della mia vita, ma questo non mi ha impedito di continuare a coltivare le mie passioni e a scoprire nuove avventure. Ma se sono ancora qui lo devo solo a mia moglie Cookie, ai miei genitori, ai miei fratelli e sorelle, e ai miei figli. Sono ancora vivo dopo 31 anni e se ci penso e una cosa incredibile».

 

Da businessman quali sono stati i suoi mentori?

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«I primi a cui ho chiesto consiglio su come investire i miei guadagni sono stati il discografico Joe Smith, presidente della Elektra Records, e il produttore cinematografico Peter Guber, ai tempi presidente della Sony Pictures. Perche proprio loro? Li vedevo sempre seduti in prima fila quando giocavo! Anche Jerry Buss mi ha guidato con i primi investimenti e mi ha insegnato tanto a livello finanziario. E poi devo anche ringraziare Michael Ovitz, il fondatore della Creative Artists Agency, l’agenzia che rappresenta tutti gli attori, sportivi e celebrità più in vista degli ultimi 50anni.

 

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Lui mi ha fatto capire l’importanza socioeconomica del cinema (la Magic Johnson Enterprises e proprietaria dei multisala AMC Magic Johnson Theatres, ndr) e dimostrato che c’e una grossa fascia di pubblico interessata a sostenere i businesses degli afroamericani, guarda il successo di Black Panther e le produzioni di LeBron James e Kevin Durant».

 

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Secondo lei gli atleti hanno il potere e dovere di promuovere cause fuori dal campo sportivo?

«Certo, mi sembra di averlo dimostrato con il mio esempio. Per me era ed e importante mostrare al mondo che la carriera di un atleta non finisce quando smette di giocare. In più volevo essere da esempio nella comunità nera. Ho aiutato molti amici a iniziare i rispettivi business, Shaquille O’Neal, Dwyane Wade, Kobe Bryant, Grant Hill: sono venuti tutti da papa Magic a chiedere info. Fortunatamente gli atleti più giovani sanno quanto sia importante continuare ad avere interessi dopo la fine della carriera. In ogni caso, chiunque avesse bisogno di una mano per capire come espandere i propri orizzonti sa dove trovarmi».

 

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Parte del suo impegno di filantropo include il lavoro nelle comunità afroamericane a basso reddito. Cos’ha imparato?

«Che il mio successo non avrebbe senso se non investissi nel mondo da cui sono venuto, se non aiutassi la mia comunità. Il mio motto e You can do well and do good at the same time, ovvero, avere successo e fare del bene possono coesistere».

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In campo eravate acerrimi rivali, oggi com’e il suo rapporto con Larry Bird?

«Siamo amici. L’ho sentito proprio ieri su Zoom, ci siamo fatti quattro chiacchiere e un sacco di risate. Con lui mi diverto sempre. Sono molto contento che Dio abbia messo Larry Bird sul mio percorso, perché grazie a lui sono diventato un giocatore migliore, e anche un uomo più solido, di sani principi. E credo che per lui sia lo stesso. Se non mi sono mai riposato, se ho spinto al massino i miei limiti, e stato tutto merito suo, per non dargli la soddisfazione di sfottermi dopo una vittoria. Insieme abbiamo cambiato la faccia dell’Nba».

 

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Lei e molto amato dal pubblico perche e una persona onesta che mette tutti sullo stesso piano. Da chi ha preso questa qualita?

«Dai miei genitori, mio padre Earvin Sr. e mia madre Christine. Papà era un grande, ha sempre lavorato tantissimo per assicurarsi che avessi tutto quello di cui avevo bisogno per studiare. Non passa giorno in cui non lo ringrazio per avermi insegnato a non mollare mai. Da mamma invece ho ereditato la generosità d’animo, mi ha fatto capire quanto sia importante aiutare i vicini, gli amici, quelli meno fortunati di me, e condividere la mia fortuna con chi lo merita».

 

Che cosa pensa dei social media?

«Li uso, ma non mi consumano l’esistenza. Non so come sarebbe stata la mia carriera se fossero esistiti ai miei tempi. Coi telefonini puoi rovinare la vita di qualcuno in pochi. secondi, mettere tutti sotto costante scrutinio. Anche se rendono la vita più facile, vivere solo per quello può diventare pericoloso».

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