QUANDO “DJOCOVID” DISSE: “NON MI VACCINERO’ PER GIOCARE” - CONTRARIO AI VACCINI, "ECCITATO" DALLA PANDEMIA, DJOKOVIC HA CONTRATTO IL CORONAVIRUS, E ADESSO DOVRÀ STARE IN ISOLAMENTO PER 14 GIORNI. ANCHE L'ADRIA TOUR, CHE ERA STATO AUTORIZZATO DAI GOVERNI DI SERBIA E CROAZIA, AVREBBE DOVUTO ESSERE ORGANIZZATO DIVERSAMENTE, DATI I TEMPI COSÌ DELICATI. E INVECE PORTE APERTE AL PUBBLICO, FESTE E… - VIDEO

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Gaia Piccardi per il Corriere della Sera

 

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Ora che il contrappasso trafigge il numero uno del tennis mondiale Novak Djokovic come un passante in controtempo - positivo al coronavirus insieme alla moglie Jelena (negativi i figli, Stefan di 5 anni e Tara di 3) dopo due tappe dell'Adria Tour, scellerato torneo itinerante nei Balcani organizzato senza alcun distanziamento sociale - sarebbe ingiusto avallare acriticamente il tribunale dei social, che ha subito ribattezzato il campione dei 17 titoli Slam «NoVax DjoCovid», con spietata ma geniale sintesi.

 

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Qualcosa però, nell'agiografia del serbo nato umile a Belgrado 33 anni fa, svezzato dal forno a legna della pizzeria di famiglia sulle montagne di Kopaonik e cresciuto sotto le bombe della Nato durante la guerra civile in Jugoslavia, si è improvvisamente inceppato durante la pandemia.

 

Lasciato solo nel lockdown, senza ufficio stampa, lontano dal protocollo delle conferenze post match, Djokovic si è sentito di condividere riflessioni sull'epidemia e sul virus attirandosi critiche da ogni angolo, come se la ferrea disciplina con cui da sempre insegue i due grandi rivali in fuga, Roger Federer e Rafael Nadal, fuori dal perimetro del campo si fosse improvvisamente concessa una libertà eccessiva e mal gestita, forse per inesperienza, che si è ritorta contro al Djoker come un boomerang.

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Prima di mettere in piedi le esibizioni di Belgrado e Zara che hanno acceso il focolaio di contagi (oltre al serbo positivi i colleghi Dimitrov, Coric, Troicki, la moglie incinta di quest' ultimo, il preparatore atletico di Novak, l'italiano Marco Panichi, e Christian Groh, coach di Dimitrov),

 

Djokovic si era lanciato in dissertazioni contro il vaccino («sono contrario: se si rendesse necessario per tornare a giocare, dovrei pensarci»), in lunghe dirette Instagram con Chervin Jafarieh, discusso maitre-à-penser con cui il re del tennis condivide teorie sul potere dell'acqua («le molecole reagiscono alle nostre emozioni») e un'opinabile concezione della pandemia («un periodo eccitante»). Argomenti da maneggiare con cura, soprattutto nel ruolo di Djokovic, seguito da milioni di tifosi e follower (8,7 su Twitter, 7,3 su Instagram), e invece trattati con colpevole superficialità.

 

Anche l'Adria Tour, che nasceva con le migliori intenzioni («Diffondere un messaggio di solidarietà» secondo il tennista) ed era stato autorizzato dai governi di Serbia e Croazia, avrebbe dovuto essere organizzato diversamente, dati i tempi così delicati.

 

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E invece niente distanziamento né mascherine, bambini addosso ai campioni per l'autografo, una festa in discoteca a Belgrado le cui immagini, riviste oggi, mostrano un gruppo di miliardari dello sport su di giri, troppo immaturi per essere veri. «È come quando dici ai tuoi figli che imparano ad andare in bicicletta che devono mettere il casco. E loro si rifiutano.

 

Poi cadono e finalmente lo indossano» la strigliata a Djokovic (senza mai nominarlo) di Andrea Gaudenzi, il chairman dell'Atp Tour che sta faticosamente cercando di rimettersi in moto con regole rigidissime, giudicate «eccessive» proprio dal nostro eroe sbugiardato dalla storia.

 

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Se il campione capace di inserirsi nella diarchia Federer-Nadal, simpatico o antipatico che sia, non offre il fianco a critiche, il ragazzino attempato che negli ultimi tre mesi ha giocato con argomenti più grandi di lui si è dimostrato un leader non all'altezza. «Sono profondamente dispiaciuto, ho sbagliato» ha ammesso ieri sera Djokovic annunciando una quarantena di 14 giorni. Pochi social e molto sano silenzio contrito, speriamo.

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