LO RICONOSCETE? E’ STATO UN DIFENSORE "ZAPPATORE" E FUORI DA OGNI CLICHET: ANDAVA ALL’ALLENAMENTO CON LA PANDA ROSSA, PORTAVA LA BARBA LUNGA. POI HA FATTO L’ASSESSORE. OGGI VIVE IN SICILIA, LEGGE PIRANDELLO E FA L’ AGRICOLTORE: “MI ALZO ALLE 4 DEL MATTINO E…’ – POI PARLA DELL’OMOSESSUALITA’ NEL CALCIO. DI CHI SI TRATTA?

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Simone Lo Giudice per www.ilposticipo.it

 

Ci sono calciatori nati per vivere una “vita militare dorata” e calciatori che non sono disposti a qualsiasi cosa pur di fare carriera. Fabio Rustico è stato un difensore alla rovescia sotto molti aspetti. È cresciuto nel vivaio dell’Atalanta, dopo un paio di prestiti si è ritagliato un posto in prima squadra con Emiliano Mondonico nella stagione 1996-97: fin qui niente di sorprendente.

fabio rustico fabio rustico

 

Dopo nove stagioni però, a soli 28 anni, Fabio ha detto basta col calcio e ha scelto di dedicarsi alla politica nella sua Bergamo, prima del grande salto in Sicilia raggiunta dopo aver compiuto il percorso opposto a quello fatto dai suoi genitori. Rustico è stato un difensore e un assessore. Oggi fa l’agricoltore nell’assolata Mazara del Vallo, dove si sveglia presto, si sporca le braccia e si sente libero tra i suoi trattori e le sue buone letture.

 

Fabio, che cosa fa oggi nella sua vita?

Faccio l’agricoltore. Sono nato e cresciuto a Bergamo, ma i miei genitori sono originari di Mazara del Vallo. Io ho sempre avuto questo amore per la Sicilia e per la terra e mi sono trasferito qui. Mi trovo tra Mazara e Castelvetrano, ho anche terreni a Selinunte e pure un po’ di terra a Pantelleria. Stiamo costruendo l’identità dell’azienda agricola piano piano e mattone dopo mattone. I tempi per realizzare un progetto in campagna sono lunghi e serve pazienza.

 

 

Come si svolge la sua giornata tipo?

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Mi sveglio alle quattro e mezza del mattino e comunque per le sei sono già in giro. D’estate mi alzo prima perché alle sei si comincia sui campi visto il caldo. Mi occupo del lavoro manuale, ma coordino anche le persone e penso alla burocrazia. La cosa più bella è stare sul trattore in campagna e occuparsi della parte agronomica. Penso che l’agricoltura sia stimolante anche intellettualmente. Io sono un amante del biologico e del biodinamico. Vogliamo costruire un’azienda che abbia la dimensione della fattoria, animali compresi.

 

Producete anche vino ed olio?

Al momento solo olio, il vino lo faremo più avanti: ci siamo impegnati per acquistare le terre e rimetterle in sesto. Dobbiamo completare ancora gli uliveti e i vigneti. Fare vino significa ributtarsi nel gioco dell’economia e del commercio. Mi piacerebbe produrre vino naturale, non filtrato e senza solfiti e soprattutto vorrei farlo in piccolo.

 

 

Lei ha detto ironicamente di aver fatto lo “zappatore” anche da giocatore. Le ha mai dato fastidio il fatto di essere considerato un calciatore un po’ rude?

Io non sono stato un calciatore di grandi qualità e lo dico in maniera obiettiva. Però ho capito quasi subito che cosa fare grazie ad Aldo Cantarutti, che faceva il dirigente all’Atalanta dopo essere stato un centravanti. Una volta mi ha detto che avrei dovuto fare di grinta, determinazione e  forza le mie doti perché non avevo le stesse qualità dei miei colleghi. Qualcuno sottolineava il mio stile ruvido, ma non l’ho mai presa male. Non sono mai stato un difensore cattivo. Alcune situazioni di tensione agonistica sono state dovute a un eccesso di attenzione: cercavo l’anticipo e tenevo il fiato sul collo dell’attaccante. Questo è stato il mio marchio di fabbrica. Mi davano dello zappatore e del ruvido, anziché offendermi l’ho preso come un consiglio per la mia seconda o terza vita.

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Lei ha sfidato grandi campioni: Ronaldo il Fenomeno, Del Piero e Batistuta. Ci sono ancora giocatori così forti? Lei segue il calcio di oggi?

Non ero appassionato al mestiere che facevo e quando ho smesso di giocare non ho più seguito il calcio perché sono stato preso da altri interessi. Da quel poco che conosco, penso di poter dire che è il calcio è cambiato molto. Anche quelli con cui giocavo pensavano che il calcio degli Anni ’80 fosse migliore. È un po’ una logica che si ripropone: che si riproponga sempre in peggio forse è vero, ma il mondo va avanti. Ai miei tempi c’era maggiore identità delle squadre e le differenze tra i campionati e i giocatori erano più percepibili.

 

Per chi è appassionato di calcio ed è un tifoso in passato c’erano punti di riferimento più stabili, oggi è tutto più liquido e più cangiante. Ai tifosi di oggi sfuggono di mano i punti di riferimento della Serie A o della Champions League oppure della propria squadra.

 

Che idea si è fatto dell’Atalanta di oggi?

Percassi le ha fatto fare un salto di qualità, ma aveva fatto il presidente già 25 anni fa e aveva messo qualche base: era stato lui ad affidare il settore giovanile a Mino Favini. Percassi ha pagato la retrocessione in B del 1993-94 dopo una stagione sfortunata con Guidolin in panchina.

 

La società ha investito di nuovo nel settore giovanile. Se vuoi far crescere una società non basta comprare i migliori giocatori, ma va fatto un investimento a 360 gradi: dai campi di gioco alla palestra fino al centro di riabilitazione. Parlo di assetto societario, organigramma, mentalità e attenzione nei confronti dell’opinione pubblica: Percassi ha fatto tutto questo e i risultati gli danno ragione. Nella sua storia l’Atalanta ha fatto campionati molti buoni poi però ritornava sempre nella sua dimensione di provinciale: 4 o 5 anni in Serie A, poi una stagione in B e quindi ritornava in A. C’è stata una crescita complessiva. Il nuovo stadio è la ciliegina sulla torta, nonché l’investimento infrastrutturale più importante per dare stabilità.

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È più tornato a vedere l’Atalanta?

Da quando ho smesso di giocare non ancora. Ormai sono sempre in Sicilia e torno a Bergamo ogni tanto solo per pochi giorni. Ho incontrato alcuni compagni che adesso allenano nel settore giovanile, Gianpaolo Bellini e Stefano Lorenzi, ma ad oggi non mi è capitato di ritornare allo stadio.

 

L’Atalanta può vincere il campionato in futuro?

A volte i sogni impossibili si sono avverati: Ranieri col Leicester in Inghilterra oppure il Verona in Italia. L’Atalanta sta facendo un buon lavoro e potrebbe dare soddisfazioni più grandi di quelle che tutti si stanno togliendo. Il tifoso ha questo sogno nel cassetto ed è giusto che sia così. L’entusiasmo della piazza aiuta moltissimo la squadra.

 

Lei è stato un calciatore un po’ diverso dai suoi colleghi: andava all’allenamento con una panda rossa, portava la barba lunga. Le hanno fatto qualche battute per queste sue abitudini?

Ho sempre avuto bisogno di libertà e quindi prendevo decisioni con una certa autonomia. Mi sono corazzato così per affrontare chi mi criticava. Quando una persona si crea il suo mondo interiore prova a perseguirlo. In qualsiasi ambiente non sono viste bene espressioni che prescindono dall’ambiente stesso. Il mondo del calcio in Italia è molto esasperato e fare il calciatore è un lavoro molto stressante: si guadagna bene, ma ciò che gira attorno crea tensione.

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Chi gioca a calcio è assorbito a 360 gradi da questo mestiere. Io ho avuto la fortuna di restare a Bergamo: mentre giocavo per qualche anno ho frequentato l’Università, facevo Economia e Commercio. Finito l’allenamento tornavo a fare la mia vita con le mie abitudini. In un altro posto forse sarei stato assorbito dalla vita del calciatore a 360 gradi.

 

 

Il calcio è pieno di tabù?

Il calcio è un po’ come la politica: sono entrambi mondi popolari che esasperano le dinamiche della vita di tutti i giorni e che enfatizzano tutto. La vita del calciatore è una sorta di vita militare dorata: hai grandi soddisfazioni professionali, ma vivi in maniera molto irreggimentata. È come se ti dicessero: giochi a calcio, guadagni bene, quindi non puoi pretendere altro, ad esempio pensarla diversamente. Quando c’era la guerra in Iraq io entravo in campo con la bandiera della pace sulle spalle e la mettevo al centro del terreno di gioco, ma questa cosa ha creato casino. Volevano che lasciassi fuori certe cose e che pensassi solo a fare il mio mestiere.

 

Molte volte vengono presi in giro i giocatori che rilasciano interviste e dicono frasi fatte che non dicono niente, chi esprime un’opinione in modo più netto però sa di tirarsi addosso polemiche. Quando ero giovane ho commentato un derby perso dopo una guerriglia urbana: il lunedì mattina mi hanno chiesto che cosa ne pensassi, io 18enne ho detto che condannavo la violenza e che chi la aveva commessa non sarebbe più dovuto tornare allo stadio. Quella frase ha creato casini con la tifoseria.

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L’omosessualità è un altro tabù del calcio?

Il tabù c’è, ma tutto è frenato da un aspetto motivazionale alla base. Un calciatore si chiede: perché devo fare outing? Perché devo andarmi a creare una destabilizzazione nella mia vita e nel mio mestiere? Potremmo trovare qualcuno che fa outing perché vuole raggiungere un obiettivo che va al di là di una testimonianza personale, ma se non sei armato di questa volontà non lo fai.  Il tabù c’è perché non è mai esistito qualcuno che lo ha rotto. Se qualcuno lo dovesse dire, gestire le reazioni e la destabilizzazione sarebbe meno difficile di quello che pensiamo.

 

Lei è sempre stato un amante dei libri: i calciatori che leggono sono un unicum?

Alla mia epoca imperava la Playstation, non so se è ancora così. Il calcio è un mondo che tende ad omologare moltissimo perché il tuo obiettivo è fare strada e allora fai tutto ciò che può contribuire ad essere accettato nello spogliatoio, consciamente o inconsciamente tendi a percorrere le stesse strade dei tuoi compagni soprattutto se non hai grossi interessi. Io percepivo che quello che prescindeva dal mondo del calcio non veniva visto di buon occhio.

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Quali sono le sue letture preferite? C’è un libro in particolare?

Mi è sempre piaciuta la saggistica legata alla filosofia delle religioni: per esempio ho scoperto la biodinamica leggendo alcuni testi di Rudolf Steiner sull’antroposofia. Essendo figlio di due mondi, di Bergamo e della Sicilia, mi ha sempre appassionato la letteratura siciliana: Sciascia e su tutti Pirandello, anche se è un autore un po’ più globale. Il mio libro è il “Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, ho riletto molte volte il dialogo tra il sabaudo Chevalley e il Principe di Salina che rinuncia di andare a fare il senatore perché uomo a cavallo tra i due mondi, troppo compromesso con il vecchio per entrare nel nuovo.

 

Lì inizia una descrizione culturale e antropologica della Sicilia e dei Siciliani: può sembrare una chiave di lettura romanzata, ma è estremamente lucida e attuale. È un paradigma che rappresenta l’Italia intera perché, come diceva Goethe nel “Viaggio in Sicilia”, chi non ha visto la Sicilia non può dire di aver visto l’essenza dell’Italia. La Sicilia è il paradigma esasperato dell’Italia stessa.

 

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