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RIVERA, RESTA PURE A ROMA - FAVOLA ALESSANDRIA, IL TECNICO GREGUCCI: “NON VIVIAMO PIU’ DI SOLO PASSATO” - I TIFOSI CONTRO L'ALESSANDRINO "SNOB” RIVERA - L’UOMO DELLA STORIA, BOCALON, SCHERZA: “SIAMO COME IL BARCELLONA. L’ANNO PROSSIMO IN EUROPA LEAGUE…”

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Emanuele Gamba per “la Repubblica”

 

C’è un sole incongruo che sfavilla su Alessandria rendendo scintillante il grigio delle sciarpe al collo, dei berretti in testa, degli orsetti in vetrina. Non è il solito grigio nebbioso, è un grigio acceso, vivo.

 

Sembra che si muova, come questa città al traino di una squadra che si prepara a una semifinale con una trasferta a San Siro (dove giocò l’ultima volta nel 1975, perdendo con la Reggiana lo spareggio per rimanere in B) e a una partita “in casa” all’Olimpico di Torino, dove dovrà emigrare perché il friabile Moccagatta non ha tornelli e goal line technology.

 

Il sindaco sta provando a organizzare dei treni speciali per il capoluogo, la città si sta preparando a traslocare in massa. «Quanti saranno gli alessandrini che si ricordano dell’ultima volta col Milan? Il 10, il 15 per cento? Bene, adesso un ricordo l’avranno tutti», dice l’allenatore Angelo Gregucci.

 

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«La Coppa Italia l’abbiamo presa come un dovere di testimonianza: ci siamo detti che dovevamo rappresentare questa città e questa storia, che sarà anche remota ma è pur sempre nobile. E l’abbiamo fatto con i comportamenti, con gli atteggiamenti, con la tecnica e soprattutto con il senso di appartenenza, che è il valore che più manca al calcio italiano. Nessuno più rappresenta, nessuno appartiene».

 

Gregucci arrivò ad Alessandria da ragazzo, ci rimase per quattro anni prima di andare alla Lazio. Veniva da Taranto, aveva i capelli ossigenati. Qui è diventato uomo, qui sta tornando allenatore. «Sono stato un calciatore modesto che si è arrampicato fino alla nazionale, poi sono diventato un allenatore sottostimato ».

 

Ieri guidava la sua squadra nella luce viva dei campi persi nella zona industriale, di fianco allo stabilimento della Michelin (che li presta in cambio di qualche spazio pubblicitario), scalpicciati da giocatori pesti di sonno perché al rientro da Spezia hanno fatto festa al Moccagatta fino alle tre del mattino. «Ho giocato in A e nell’Under 21, ma quello cha accade qui è bello, bello, bello. È diverso», ripete Nicola Loviso, il regista.

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I giocatori hanno voglia di raccontare, di condividere, di continuare: «Siamo come il Barcellona: puntiamo al grande slam. E l’anno prossimo in Europa League… », scherza (scherza?) Riccardo Bocalon, quello della doppietta, un anno nella Primavera dell’Inter al fianco di Mattia Destro e una carriera decollata solo di recente e proprio adesso che i nerazzurri, dopo averlo smistato in prestito in sette squadre diverse, lo hanno ceduto a titolo definitivo per 300 mila euro. «Ma siccome sono tifoso interista, quello col Milan resta un derby. A San Siro ci sono stato una volta sola, per un Inter-Catania».

 

Adesso sarà lui a farsi vedere: «Questa è una cosa che ci resterà dentro per sempre, che ci cambierà la vita e credo la carriera. Anche perché abbiamo capito di non essere poi così più scarsi degli altri. Con il Milan ce la giochiamo, come con l’Altovicentino», la squadra contro la quale tutto cominciò, in un pomeriggio d’agosto pieno di zanzare.

 

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Il senso è costruire ricordi nuovi, e rimuovere quell’iconografia rimasta fissa alla figura di Rivera, che qui considerano quasi un intruso: per l’Alessandria non ha mai speso gesti né parole, rifiutando anche l’invito alla festa del centenario.

 

Gli ultras stano pensando di esporre uno striscione, nel derby di sabato con il Cuneo, affinché non salti sul carro: Gianni, resta a Roma anche stavolta. «Spiace dirlo, ma è un alessandrino tipo: un po’ snob e molto freddo», dice Sonia Garuzzo, bottega di frutta e verdura in piazza Marconi, anima del tifo grigio: è lei che organizza le trasferte ed una delle animatrici dell’associazione Orgoglio Grigio, che raduna i tifosi non ultrà: «Eravamo una specie di ministero della difesa del club, quando la società passava da un avventuriero all’altro. Ma adesso il nostro compito è esaurito: di Di Masi ci fidiamo».

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Con l’imprenditore torinese, i conti sono in ordine e i programmi chiari. «Lavorare qui è una fortuna: ci sono solidità, prosperità, e stabilità», dice il diesse Giuseppe Magalini. I soldi che porterà la Coppa magari accelereranno la crescita. «Ma organizza la Lega di serie A, la torta è loro, non so che fetta ci lasceranno. A Palermo gli incassi non hanno coperto neanche i costi della trasferta: ci abbiamo rimesso 7000 euro».

 

Non chiamateli Davide, Lilliput, Cenerentola. «Queste partite non le abbiamo vinte e basta. Le abbiamo giocate» s’inorgoglisce Gregucci, e la differenza non è sottile: è quella che passa tra la coincidenza e la perseveranza, tra il miracolo e l’impresa. «Ci sono molti motivi per cui siamo arrivati fin qui, uno di questo è che siamo una squadra che ha moralità ». E in questo non c’è grigiore.

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