CARMELO BENE - IN GINOCCHIO DA TE
Giancarlo Dotto - "In ginocchio da te", Gog Editore, raccolta inedita degli scritti pubblicati sul Messaggero e altrove di Carmelo Bene e dei suoi miti sportivi pubblicato da Dagospia
In ginocchio da te, a cura di Luca Buoncristiano (Ed. Gog, collana Contrasti) è l’imperdibile, inedita testimonianza del Carmelo forse meno appreso dalle masse. Lui, un autentico mito vivente, assediato come una rockstar dalla devozione della gente, che si confessa in pubblico e più che mai in privato come un morboso, inguaribile mitomane. Soprattutto sportivi gli idoli della sua eterna infanzia per cui avvampava d’amore. Delle vere e proprie cotte estetiche, benedette dalla sua ben nota propensione al delirio.
Ero lì con lui quel giorno, a casa sua, in via Aventina. L’ho visto con i miei occhi cadere in ginocchio ai piedi di Michel Platinì, davanti a una sua punizione irreale (una qualunque amichevole Italia Francia di secoli fa). Ed io, genuflesso accanto a lui. Entrambi folgorati. Come due pellegrini beati e storpi ai piedi della Vergine Nera. Una traiettoria impossibile. La sua, di Platinì, sul campo e la nostra sul pavimento di casa. Il genio che chiama la devozione. Il genio (replica anni dopo da Diego Armando Maradona) che, solo lui, poteva tradurre quella cosa morta in un fatto così eclatante.
La palla, ferma, che s’impenna e scende a foglia più morta che mai in fondo al sacco, al cospetto di compagni, avversari e tifosi attoniti. Non esultò più di tanto Michel Platini. Io mi ritrovai genuflesso a due metri dal Sony 50 pollici. Mi volto. Alla mia destra, riconoscibile, Carmelo Bene, il mio mito, dentro una tuta fucsia, genuflesso anche lui. Genuflessi all’unisono, come marionette spezzate e certamente agite. Un’orgia transitiva di miti e di mitomani. Il mio mito che s’inginocchiava al suo mito che, a sua volta, il francese, se ne fregava di essere un mito.
Sempre stato un mitomane Carmelo, da quando bambino alzava le sottane della Maria Vergine, trovando e toccando con mano, scioccato, solo tralicci di legno. I suoi miti erano soprattutto sportivi. Ne sfornava a bizzeffe. Incontinente, come in tutte le sue cose. Maestà del calcio, della boxe, del tennis, ma anche del basket, non disdegnando qua e là di delirare per il salto con l’asta e lo sci di fondo, se transitava nella sua mente febbrile il soggetto che si prestava alle sue potenti trasfigurazioni, il Bubka di turno, lo zar volante che saltava sei metri, “gigante in un mondo di storpi”, o Bjorn Daehlie, il norvegese furioso dello sci di fondo che sveniva all’arrivo e vinceva lo stesso per una manciata di secondi.
diego armando maradona e michel platini
Stenmark era il Batman delle nevi. Edberg era un gigante alto due metri. Carmelo aveva un debole per i superuomini del decathlon, Daley Thompson il suo eroe perfetto, storie perfette per il suo pantheon. Detestava il pattinaggio artistico e non fece in tempo a detestare il nuoto sincronizzato. L’appuntamento mancato? Roger Federer. Sarebbe andato fuori di testa, Carmelo, per il suo tennis mai imbrattato dal sudore in assenza di gravità. Solo Roger Federer lo avrebbe distolto dal lutto per la perdita precoce di Marco Van Basten, il suo Achille dalle caviglie simili a petali.
Carmelo Bene e Giancarlo Dotto
Mi aspettava, il pomeriggio o la sera, Carmelo, con la sua tuta azzurro turchino e gli zoccoli neri, nella casa di via Aventina a Roma, il suo bunker inaccessibile, oscurato anche di giorno, impregnato dell’odore aspro e allo stesso tempo dolce delle sue Gitanes senza filtro. Il suo odore. Mi aspettava con i suoi occhi da saraceno e le sue enormi scodelle di caffè nero dove bagnava tozzi di pane duro. Non vedeva l’ora di spartire con qualcuno i suoi stupori, la sua felicità bambina. Quel qualcuno ero io. Un altro strafatto mitomane. C’era, probabilmente tra noi, un patto segreto. Mai formulato e per questo più prezioso. Approfittare l’uno dell’altro, le comuni passioni e perversioni, per concedersi fantastiche ricreazioni dove liberare l’intelletto nel lusso sfrenato del gioco. Era questo patto non detto di complicità che ci legava, questo mi manca, insieme alle gioiose digressioni sulle attitudini del Barone Von Masoch, le patologie da manuale e il vertiginoso depensamento della donna.
Mi aspettava ansioso di mimarmi le gesta dei suoi eroi, i miti sportivi che la notte prima erano sfilati nel suo Mitsubishi 42 pollici e poi nel suo Sony 50, ingigantiti e declamati nella sua testa di mitomane. Dentro la sua tuta turchina, il colore della fata, le movenze di un Pinocchio rimasto legno come le Madonne della sua infanzia, mi replicava l’ultima rovesciata di Marco Van Basten, la volée di Stefan Edberg, le schivate di Ray Sugar Leonard, il montante destro di Thomas Hearns. Non potendo essere il mito di se stesso, puntava la sua golosissima torcia sulle dismisure delle imprese altrui.
In ginocchio da te è tra l’altro la raccolta fedele e preziosa di uno scandalo mai raccontato prima. Curato con dedizione certosina e maniacale da Luca Buoncristiano, beniano della prima ora e detentore del più grande archivio cartaceo e non solo di Carmelo, con la collaborazione di Salomè, la figlia di Bene e dei giovani editori di Gog, appassionati e quanto mai inattuali rabdomanti del lusso più segreto o dimenticato che transita nella scrittura. Lo scandalo.
“Ripensandoci Bene”, la rubrica settimana che uscì per qualche tempo nelle pagine sportive del “Messaggero” allora dirette dall’illuminato Gianni Melidoni, cantore della “zona celeste” applicata al pallone. Una rubrica che più aristocratica non si può nel quotidiano che più popolare non si poteva. Impensabile oggi, a ripensarci bene. Proposi l’assurda idea a Melidoni convinto che Carmelo sarebbe stato felice di dare sfogo alla sua turbolenza mitopoietica. Così fu.
giancarlo dotto e carmelo bene
Iniziammo il 26 ottobre 1982. Carmelo mi telefonava a notte fonda e mi rovesciava i suoi deliri sempre sostenuti da una logica ferrea sul mondo del pallone. Io davo forma al caos e la mattina dopo consegnavo il tutto al giornale. Già questo surreale abbastanza di suo. L’incredibile è che quei testi venivano passati e pubblicati. Senza mai correggere una virgola. A rischio di essere linciati, editore, direttore e scriventi, nella pubblica piazza.
Come quando Carmelo a pochi mesi dal mondiale vinto in Spagna, sentì il dovere estetico di riconoscere “che l’alloro è finto, la corona di carta, un re di stracci e toppe. Ci si disfi della coppa con una dignitosa visita al Monte di Pietà…”. La fortuna di Carmelo era quella d’essere accolto e liquidato ovunque per il genio che era, dunque libero di straparlare.
Non fu linciato nemmeno quando al Processo di Aldo Biscardi, a una settimana dall’Heysel, spiegò che quella mattanza era la conseguenza naturale delle accozzaglie di barbari che si radunano negli stadi, strano non accadesse ogni domenica, e che i tifosi erano roba da psicopatologia di massa.
Fu, invece, sfidato a duello da Giancarlo Antognoni, mezz’ala della Fiorentina, per aver definito “ovvio” il suo talento, concetto in realtà sfuggito alla mia tastiera. Licenze che ogni tanto mi autorizzavo nel mio sentirmi all’unisono con il Maestro, per cui Carmelo rischiò di doversi prendere a pistolettate con uno sconosciuto, per una provocazione non uscita dal suo sacco. A distanza di anni, il dubbio mi resta. Quasi una certezza. La storia del duello fu un’invenzione, l’ennesima, della sua fertilissima testa?
Il linciaggio vero lo rischiammo l’estate prima a Forte dei Marmi. Quando, nei novanta minuti di Italia-Brasile, fu chiaro che nella villa di Carmelo Bene si stava consumando un reato di vilipendio alla patria. Uno schiamazzo blasfemo. Un covo di mascalzoni che tifavano apertamente per Zico e compagni. Il fatto è che, a prescindere da Falcao e della sua testa “vertiginosamente alta”, “il visionario senza palla che indovina gli spazi dove il pallone onesto cagnolino va a parare…”. “Il Brasile gioca in cielo dove ci si disfa della palla per dominarla, tutto il resto è calcio”, scriveva Carmelo che a tal punto amava la “zona celeste” da diffondere una lettera di sfida a Gianni Brera, “teorico dell’attentato a uomo”, definendo la marcatura a uomo come “retaggio delle tribù antropofaghe”.
“Ripensandoci Bene”. I suoi ritagli cartacei sforbiciati alla buona, perle autentiche, finiti da anni e abbastanza dimenticati in un polveroso cassetto del mio armadio. Aspettavano che qualcuno si accorgesse di loro. È accaduto. Buon per noi, buon per tutti.
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CARMELO BENE - IN GINOCCHIO DA TE