VE LO RICORDATE? E’ STATA UNA METEORA ROCK DELLA SERIE A. SFANCULO’ ZEMAN CHE LO RITENEVA NON ADATTO AL NOSTRO CAMPIONATO, DUETTO’ CON LUCA BARBAROSSA AL COSTANZO SHOW SULLE NOTE DI SPRINGSTEEN E SCOLPI’ UNA MASSIMA STRACULT: “ABBIAMO PERSO? PAZIENZA. TORNO A CASA, SUONO CHITARRA, SCOPO CON MIA RAGAZZA E POI RICOMINCIA TUTTO COME PRIMA” – OGGI DICE: “DURANTE QUESTO PERIODO DIFFICILE STO PENSANDO AI MIEI AMICI IN ITALIA. SPERO CHE...” – VIDEO

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LALAS

Da zonacesarini.net

Luglio 1994: il Generale Custer conquista Padova. Ma al posto delle divise nordiste lanciate a cavallo alla difesa di Gettysburg, l’istantanea è da sostituire con un pennellone solitario di 192 centimetri, vestito con una camicia di flanella a scacchi, che ricorda da vicino i padri putativi del grunge a stelle e strisce. Perché quel ragazzo dall’aria stralunata ma genuina è Alexi Lalas, tra le ultime icone di un calcio anni ’90 ancora a dimensione umana.

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Alexi Lalas è anzitutto un musicista che, fra un tour con la sua garage band e qualche ballad rock rivisitata in chiave personale, coltiva l’hobby del calcio. Uno scanzonato passatempo che nasce per caso durante il periodo del college: tra Spring Break accompagnati dal sound di REM e Smashing Pumpkins e qualche birra in confraternita, Lalas decide di iscriversi alla squadra di calcio della Rutgers University del New Jersey. Una decisione inattesa, presa con leggerezza e con quella patina di anticonformismo che si trascina dietro, perché mai Alexi aveva calcato un campo da calcio.

 

 

Alexi Lalas in versione Generale Custer

È il 1990, e la parabola di Lalas è appena all’inizio. Quella di musicista, ovviamente. Perché è proprio nel periodo dell’Università che lo spilungone originario del Michigan tira su la prima formazione rock di una carriera agli albori. Ma è anche durante il triennio di studi da fuori sede che Alexi mostra capacità calcistiche rare nella terra natia di Bruce Springsteen: diventa il calciatore dell’anno a livello universitario. Sarà per la sua presenza scenica che è impossibile da dimenticare, ma quel ragazzo del Midwest con il sorriso perennemente stampato in faccia sembra fuori categoria rispetto ai suoi compagni.

 

Per inciso: la scena calcistica yankee dei primi anni ’90 potrebbe equivalere quella australiana, si tratta di dilettantismo puro, ma considerando che Lalas ha alle spalle tre soli anni di calcio giovanile, si dimostra un prospetto sorprendente per un paese che vede avvicinarsi lo storico appuntamento del Mondiale casalingo. Ed è proprio il Mondiale di USA ’94 a sancire la definitiva consacrazione su scala internazionale del songwriter del Midwest. È durante quel mondiale che si afferma come personaggio tra i più folkloristici di tutta la rassegna. È letteralmente impossibile non notarlo: fisico da corazziere, leve lunghissime, cesto riccioluto color carota e folto pizzetto caprino. Uno spettacolo nello spettacolo.

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Ma Lalas, oltre all’impatto visivo straripante, gioca un Mondiale su discreti livelli mettendosi in evidenza nel girone eliminatorio, dove segnerebbe pure alla Colombia di Marturana, ma si vede ingiustamente annullare il gol. E ovviamente ci ride su. Perché Lalas resta soprattutto questo, anche durante il più importante evento sportivo globale: spensieratezza, abnegazione e voglia di divertirsi. Insomma, chiunque abbia avuto a che fare con quello show teletrasmesso ad orari improbabili ha impresso nella mente quel numero 22 degli USA che salta da una parte all’altra del campo, spazza di testa e si getta istintivamente in tackle durante delicati sviluppi dell’azione nel mezzo dell’area. È un concentrato di voglia, impeto infantile e ruvidità tecnica. Ma proprio per questo fa breccia negli occhi dei telespettatori sparsi nel mondo: buca lo schermo e, insieme all’orco bulgaro Trifon Ivanov, è il difensore più caratteristico di tutta la rassegna.

 

Infatti il centrale del Michigan non sfugge neanche agli occhi di qualche osservatore della Serie A: la neopromossa Padova è rimasta folgorata dall’estetica e dalle prestazioni di Alexi. Ed è così che, in un periodo storico in cui l’Italia detta legge in ogni risvolto economico-agonistico del pallone, arrivano i biancoscudati e versano la miseria di 350 milioni di Lire per il cartellino dell’americano. Un puro colpo di marketing, si sussurra.

 

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La sua avventura da beniamino casalingo termina con una storica qualificazione agli ottavi, dove si arrende al solidissimo Brasile di Parreira. Ma questo è soltanto un dettaglio buono per gli almanacchi perché il centrale di Birmingham è ormai con due piedi e una chitarra nella Mecca del calcio. Appena sbarcato a Padova viene ribattezzato Generale Custer, grazie ad una somiglianza che ha dell’incredibile con il celebre militare nordista. È già un personaggio. Un character da commedia hollywoodiana: è il tizio un po’ naif dall’aria trasognata e dal sorriso contagioso che sogna un mondo più rilassato suonando la sua chitarra acustica; il compagno di stanza del College che ogni tanto si concede della marijuana ascoltando qualche disco grunge dei Pearl Jam.

 

Atterra a Padova con due LP – “Woodland” e “Jet Lag” – incisi con la sua band, i Gypsis. È, insomma, il primo calciatore americano a colonizzare l’immaginario collettivo degli italiani. Potrebbe essere fuoriuscito dalla confraternita Delta di Animal House al fianco di John Belushi, oppure potrebbe duettare in show comici di culto insieme a Johnny Glamour e Mr. Flanagan. Cosa che puntualmente avviene.

 

 

 

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Perché prima di Lalas, in Serie A, erano passati soltanto due yankee, entrambi di origine italiana, negli anni ’30. Un’era dopo si materializza il Generale Custer. Ed è quello che tutti si immaginano che sia, o come vorremmo che fosse, l’americano prestato al calcio. Fuori contesto, bizzarro, più che discutibile in campo, allegro e con un’innata nonchalance di fondo abbinata ad una parlata maccheronica ed irresistibile. La versione speculare del Nando Mericoni di Alberto Sordi. E infatti, dopo poche settimane di permanenza, dalla curva dell’Euganeo sale immediato un coro in suo onore:

 

“Vecchio scarpone quanto tempo è passato, quante illusioni fai rivivere tu…”

 

Con quel centrale in campo a Padova è divertimento in curva. Ma se l’atmosfera è scanzonata, la stagione è delicata e si gioca sul filo del rasoio di una difficile salvezza. E Lalas, nonostante evidenti carenze tattiche e tecniche di base, gioca un discreto campionato scendendo sempre in campo da titolare ed evidenziandosi per il suo encomiabile impegno sul prato dell’Euganeo. Certo, siamo difronte ad un calciatore con evidenti limiti. Però, considerando l’elevatissimo livello del torneo e il fatto che il Generale Custer è una sorta di marziano col plettro in tasca, si disimpegna da mestierante di categoria, risultando perfino decisivo in un paio di circostanze.

 

Perché se alla fine dell’anno quel Padova riesce a conservare la A, è anche merito di Alexi; che segna due gol, di cui uno proprio nella prima vittoria casalinga davanti al Milan di Capello. Un secco 2-0 con una rete che più o meno tutti ancora ricordano: fa il pari con l’iconico “Clamoroso al Cibali” degli anni ’60. Stavolta, il collegamento radio di Tutto il Calcio Minuto per Minuto irrompe prepotente da Padova con un impensabile: “Padova in vantaggio: ha segnato Alexi Lalas!”.

 

 

 

Lalas? Quello che scrive canzoni e duetta con Luca Barbarossa al Maurizio Costanzo Show su un pezzo di Springsteen? Quello che sveglia i vicini di casa perché prende a pallonate il bandone del suo garage immaginandosi partite di fantasia come i bambini in cortile? Proprio lui. Per lunghi secondi lascia attonita un’Italia ancora all’ascolto della voce di Bruno Gentili; Lalas non può aver segnato al Milan: è un americano.

 

Gli yankee non segnano. Perché come avrebbe apostrofato un altro celebre cantante in quel periodo storico: “fondamentalmente agli americani non importa dei Mondiali di Calcio, americani”. Hanno colonizzato ogni angolo dell’immaginario pop occidentale, ma non il calcio. Non ancora, non in Serie A, non contro la squadra campione d’Europa che ha disintegrato il Barcellona di Crujiff pochi mesi prima. E invece è tutto vero. Alexi l’ha appoggiata dentro da opportunista, andando a scavalcare la cartellonistica per ricevere l’abbraccio della curva che vive una sensazione contrastante: sospesa a metà fra estasi ed incredulità.

 

Dopo un’annata di discreto livello, coronata con la salvezza dei biancoscudati, Lalas comincia la seconda stagione in Serie A. Ma pare più un Erasmus con American Express alla mano che un campionato da protagonista: fatica molto, si rompe il rapporto con parte dello spogliatoio e l’entusiasmo naif da alieno sbarcato sulla Terra è ormai scemato. Si normalizza. L’americano a Padova non è più l’attrazione circense dell’anno precedente: è ormai un peso di cui disfarsi.

 

 

 

Se ne va in silenzio, senza che la sua vita venga toccata dal peso di un addio anticipato e un po’ traumatico. Anzi, si narra che un pomeriggio fu trovato a bordo strada, nei pressi del campo di allenamento del Padova, mentre vagava vestito soltanto di mutande e scarpe da calcio, intento a tornare a casa a piedi sotto un sole cocente. Insomma, è l’outcast prestato ad un gioco fin troppo serio per essere davvero un professionista.

 

“Il pullman che ci portava a scuola lo guidava un uomo che aveva la barba fino alle ginocchia, era grande e grosso. Era un tipo calmo, sembrava un filosofo. Io mi ispiro a lui.” (A. Lalas)

 

Di quell’annata da matricola in Italia, rimane però in eredità un aneddoto che forse più di tutti suggella il singolare rapporto tra l’americano e l’Italia pallonara. Zeman, dopo qualche settimana di campionato e con la consueta schiettezza, lo apostrofa come “non adatto alla Serie A”; Alexi non commenta, ma durante un’intervista viene chiamato in causa sul gelido virgolettato del boemo e se ne esce con un surreale: “Zeman è uno vafanculo.”

 

 

 

Probabilmente tra le dieci migliori frasi del decennio calcistico italiano. Con l’espressione disarmante di una matricola al gran ballo delle debuttanti, Lalas è appena diventato un cult teletrasmesso in diretta nazionale. In un periodo in cui parolacce e volgarità in trasmissioni tv non erano ancora al livello odierno, c’era ancora spazio per imprevisti ed imbarazzo serpeggiante. Ma Lalas, come sempre, la butta un po’ sull’ironia e un po’ su quell’allure da rocker che gigioneggia nel backstage, senza neanche prendersi troppo sul serio.

 

Ha da sempre dimostrato una tendenza a smarcarsi dalla corrente principale, in cerca di una strada alternativa, di un futuro personale e self-made. Del rosso del Michigan rimarrà per sempre quest’attitudine a metà fra grottesco e leggerezza, fra parodia e sorpresa. Una semplicità spontanea e naturale, che riporta il carrozzone mediatico e la macchina del business-calcio ad una dimensione trascurabile, quasi superflua.

 

 

 

Lalas ci ricorda che il calcio è anzitutto un gioco. Un vezzo da coltivare con passione, tra una sei corde ed un riverbero à-la Billy Corgan, tra una comparsata al fianco di Dave Mustaine dei Megadeth agli Mtv Europe Music Awards e un outfit degno di un taglialegna dell’Oregon in diretta su Rai Due. Alexi Lalas è espressione diretta di un calcio che non ha conosciuto sviluppo, che è rimasto un fenomeno ludico legato al puro divertimento

 

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