LA VERSIONE DI MUGHINI – "DI UNA BELLEZZA INAUDITA LA SERIE NETFLIX “THE LAST DANCE” DEDICATA AL PIÙ GRANDE ATLETA DEL '900, IL GIOCATORE AMERICANO DI BASKET MICHAEL JORDAN - SCENE LETTERARIE A TEMPESTA. PIPPEN, RODMAN, STEVE KERR. GENTE DA FAVOLA, PAZZI, COCCIUTI, OSTINATISSIMI, SUCCUBI DI JORDAN MA COPROTAGONISTI DELLE SUE VITTORIE. DIO CHE MERAVIGLIA LA SCENA TEATRALE DEL BASKET AMERICANO. CENTO VOLTE PIU’ AVVINCENTE DI QUALSIASI ALTRO SPORT…" - VIDEO

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Giampiero Mughini per Dagospia

 

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Caro Dago, avrei voluto scriverti per filo e per segno di questa meravigliosa serie Netflix  - “The Last Dance” - dedicata al più grande atleta del Novecento, il giocatore americano di basket Michael Jordan, quello di cui hanno scritto che nessuno in nessuno sport abbia mai giocato meglio di come Jordan ha giocato a pallacanestro nella squadra della città americana detta Chicago. Mai nessuno, nella pallavolo, a calcio, nel football americano, nel rugby ha giocato come lui. Mai nessuno al mondo.

 

jordan rodman pippen phil jackson jordan rodman pippen phil jackson

Ne parlo con dolore, perché non mi intendo a sufficienza di questo spettacolo inaudito che è il basket americano, una ridda mostruosa di armadi bianchi e neri alti ciascuno attorno ai due metri che si fronteggiano per la vita e la morte, gente che scatta, finta, passa la palla da una mano all’altra, si torce, svetta, e mentre vola in aria scansa le mani e le spalle dell’armadio da due metri che ha di fronte per poi imbucare la palla nel cesto magari da tre metri di distanza. Una distanza lunare, la palla che si impenna, vola, si affloscia, scende giù, penetra al centimetro dentro il cesto, il pubblico a decine di migliaia che smania e esplode ben oltre il parossismo.

 

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Un pubblico talmente partecipe che al confronto il pubblico del calcio è moscio e insicuro, e questo perché nel basket ciascun gesto atletico è più perentorio e più drammatico, ciascun giocatore ci mette molta più parte del suo corpo che non nel calcio, ciascun confronto petto a petto tra i giocatori avversari è più spasmodico.

 

Dio mio, io che amo lo sport non ho mai visto in nessun altro sport gli attacchi di un atleta alla maniera di quelli di Jordan. Il suo gioco di gambe fulmineo, la palla che scorre da una mano all’altro, l’avvio del salto di un armadio alto 1,98, le sue torsioni per aria, la palla che scorre da una mano all’altra, la sospensione in cielo al momento del tiro, le dita e le mani e le spalle che indirizzano la traiettoria della palla e magari è un tiro che a venti secondi della fine della decide una partita combattuta quanto la Seconda guerra mondiale.

 

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La serie Netflix di cui vi sto dicendo è di una bellezza inaudita. Michael Jordan di una bellezza incredibile e quando attende le partite decisive, e quando sa che deve confrontarsi con rivali mostruosi e idolatrati, e quando vince magari con una giocata monstre fatta nell’ultimo minuto della partita e le poche volte che perde, e tutte le volte che è in tensione con i suoi compagni di squadra o con il suo allenatore di una vita o con il diabolico general manager dei “Chicago Bulls”, Jerry Krause.

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Scene letterarie a tempesta in questa serie, altro che i finalisti del Premio Strega, e come sapeva benissimo Carmelo Bene quando mi disse che non c’era paragone alcuno tra il calcio e il teatro, nel senso che il calcio era uno spettacolo teatrale cento volte più avvincente. Così come cento volte più avvincente che qualsiasi altro sport è il basket americano, quello sport da semidei, e corrono, e intercettano, e si avventano e sbattono l’uno contro l’altro, e io allibisco che alcuni dei compagni di squadra di Jordan, Scottie Pippen, Dennis Rodman, Steve Kerr (l’uomo cui venne data la palla tre secondi prima della fine e lui tirò e segnò e i “Chicago Bulls” vinsero il gran torneo americano) non siano divenuti protagonisti di serie o fiction televisive. Gente da favola, pazzi, cocciuti, ostinatissimi, fisicamente lunari, succubi di Jordan ma coprotagonisti delle sue vittorie.

 

E palle intercettate, e tiri da 3 metri, e assist decisivisi. E le loro facce, e quei corpi da due metri che sobbalzano dopo ciascun punto vinto e perso. Dio che meraviglia la scena teatrale del basket americano.  

 

 

GIAMPIERO MUGHINI

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