UN MARZIANI IN RETE - DOPO IL IL WEB SI È TRASFORMATO NELLA CIAMBELLA DI SALVATAGGIO DELL’ARTE. NON STO IMMAGINANDO MOSTRE SUI CANALI SOCIAL AL POSTO DEI MUSEI, SEMMAI MUSEI DI RINNOVATA VISIONE CHE INGLOBERANNO GLI APPARATI DIGITALI - LA CULTURA DIGITALE SALVERÀ LA PITTURA E LA SCULTURA. IL WEB COME PIATTAFORMA ESPRESSIVA STABILISCE UNA PARTENZA DEMOCRATICA CHE MAI ERA ESISTITA TRA GLI ARTISTI. ANDATE SU INSTAGRAM E GUARDATE COSA FANNO...

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Gianluca Marziani per Dagospia

 

 

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Spostamenti tellurici nel luccicante hortus conclusus chiamato Arte Contemporanea. Tra un’accelerazione causa Covid e un cambiamento obbligato dai processi antropologici, un intero settore sta elaborando le sue strategie di sopravvivenza. Se ve lo dice un marziano atterrato a Roma potete crederci, nei prossimi anni vedremo la riscrittura di un Sistema che, oggi, perde pezzi nel vano adattamento ai nuovi habitat sociali e culturali.

 

Il rituale che pompava il global grand tour degli art-lovers si è bloccato a fine febbraio, quando un virus ha dissolto la ragnatela strategica che connetteva continenti e metropoli, dissolvendo le rotte aeree di un ciclo nevrotico, isterico e labilmente esclusivo. Tutti a casa, valigia nel soppalco, agende stravolte e calo rapido di adrenalina.

 

rogerkilimanjaro rogerkilimanjaro

L’arte come specchio di un mondo interconnesso ha trovato il muro di un tempo lento dentro gli spazi domestici, stabilendo gerarchie digitali che prima erano contorno narcisistico. Da marzo 2020 il web si è trasformato nella ciambella di salvataggio oceanico, dosaggio rapido di ventolin mercantile al posto di fiere sospese, musei e gallerie off limits, fondazioni incredule, artisti e operatori in arrampicata libera sulla parete della paura.

 

Web come ultima spiaggia, non capendo che il digitale sarà la nuova terra promessa in cui regolare strategie d’ingaggio, viaggio e atterraggio. Non sto immaginando mostre sui canali social al posto dei musei, semmai musei di rinnovata visione che ingloberanno gli apparati digitali nel loro DNA a doppia elica: una fisica che aggrega i migliori aspetti tangibili mentre si intreccia con l’elica elettronica, così da ripensare produzioni, perimetri del curatore, linee tematiche, modi della fruizione, combinazioni linguistiche, logistica, editoria, ruoli del pubblico, legami con la società reale.

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Chi perderà? Coloro che tenteranno un ritorno alle ultime origini, ripartendo dalla puntata di marzo 2020, da una narrazione che segna il “prima” di un cambiamento avvenuto per sempre. Impossibile, per fortuna, riprendere il filo interrotto degli eventi, quantomeno per chi non valuta la pandemia come occasione rara e avvertenza vera. Chi vincerà?

 

Coloro che partiranno dalla frattura epocale, ricostruendo nuove soluzioni con gli elementi esistenti, mescolando alcuni mattoni del passato con mattoni di nuova alchimia, edificando architetture più instabili ma anche più attraenti e desiderabili, più emozionanti e diffusive. Per un periodo si sbaglierà molto e in modi anche ingenui, ma è il contraltare d’obbligo quando plasmi in diretta la forma del nuovo dopo una crepa.

 

Si prova tenerezza cosmica per i “puristi” inconsapevoli del presente. Sono loro gli strenui difensori del vecchi fortino sbrindellato, granatieri senza bombe che sparano con la cerbottana o il fucile a piombini. Lanciano colpi a vuoto, provando a replicare i soliti schemi espositivi, le solite pippe mentali, i soliti rebus verbosi, la solita minestra di coolness in avaria. Il vantaggio di essere un alieno mi permette di valutare alla giusta distanza, dove i dettagli ricreano l’insieme panoramico:

 

hardmetacore hardmetacore

e allora vedo i cascami tellurici di un museo novecentesco in lenta asfissia, impelagato nei costi eccessivi della macchina burocratica; vedo musei che conservano bene ma non si integrano ai tessuti locali, dimenticando concetti come appartenenza, empatia, molteplicità, abitudini, fiducia; vedo musei che confondono il rigore con la mancanza di rinnovamento reale; vedo musei che se ne fregano del processo pedagogico, continuando a dividere il “buono” dal “cattivo” in modo ideologico e troppo strumentale.

 

Molti puristi ridono davanti ai giovani artisti che si esprimono dentro la forma (apparentemente) chiusa dei social network. Ne banalizzano lo spessore ideativo, i temi estetici, le citazioni evidenti, lo stile e la natura alternativa. La vecchia guardia agisce per preconcetti e modelli ideali, non capendo lo spostamento semantico che ridisegna grammatica e sintassi dei linguaggi.

 

Si sta disgregando la vecchia filiera di consenso che connetteva critici, gallerie, musei e collezionisti; oggi saltano passaggi, entrano figure ibride, alcune volte compiendo errori d’ingenuità o arroganza, altre volte intuendo la struttura filante di una filiera fluida, plasmabile su ogni specifica realtà. Il nuovo sistema delle arti sta cercando la sua coscienza dopo le vecchie ideologie, dopo la bomba finanziaria, dopo il feticismo per il tangibile, dopo un virus che ha devastato il visibile.

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La nuova coscienza è quella allenata al bug di sistema, all’eccezione al posto della regola, all’imprevisto come regola prevedibile: risiede qui l’anima del rinato antagonismo creativo, degli occhi da monitor, delle dita da tastiera… ed è qui che l’antica manualità conquista il suo spazio ibrido, la sua nuova natura, il suo margine di rinnovamento. La cultura digitale salverà la pittura e la scultura, così come sta dando spunti rivoluzionari al linguaggio fotografico. Perché l’umanità, finché cercherà una bocca da baciare e un corpo da amare, non dimenticherà il respiro del disegno, l’energia delle mani che inventano, la potenza del gesto che costruisce (ma sempre con un concetto da praticare). 

 

Il nodo riguarda la giusta selezione nel marasma dei nickname da social network. Troppa roba in giro, inutile negarlo, ma sono gli incerti dei passaggi epocali, un caos primordiale nei giorni della ridistribuzione di pesi e misure. Viviamo giornate storiche in cui la cultura solida si sta fondendo con la cultura liquida, plasmando i perimetri di ciò che James Lovelock definisce, con intuizione di genio, NOVACENE.

 

Di cosa si tratta? Del futuro già iniziato, un mondo tecnoetico in cui uomini e macchine entrano nell’era delle convivenze scambievoli, dell’empatia tra naturale e artificiale, delle macchine intelligenti per uomini ricettivi. L’arte del Novacene fa dialogare carne e acciaio, pelle e circuiti, apparenza e disintegrazione. E’ quella in cui Uomo e Robot restano se stessi mentre prendono il meglio dell’altro, uscendo dai confini del mondo binario, tracciando la geografia dell’arte nuova per un mondo (speriamo) migliore.

Gianluca Marziani Gianluca Marziani

 

Il Novacene stabilisce una partenza democratica che mai era esistita tra gli artisti. Il web come piattaforma espressiva mette tutti sulla stessa linea di partenza, dando strumenti d’accesso una volta impensabili. In questa bagarre emergono piccole realtà interessanti, alcune davvero notevoli,  altre disastrose per arroganza e confusione. Per adesso vi offro l’assaggio di un’arte che aderisce perfettamente al proprio tempo (piaccia o non piaccia le cose stanno così).

 

Nelle prossime settimane il vostro marziano entrerà nel cuore di alcuni nomi selezionati per voi. Per adesso andate su Instagram e guardate cosa fanno AIDAROBOT, EXTRAWEG, HARDMETACORE, LOTSALOTE, YEO INJUNE, ROGER KILIMANJARO, ALEX GAMSU JENKINS, JOAN CORNELLA’, JON NOORLANDER…

 

 

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