gio ponti

UN MARZIANI A ROMA - AL MAXXI UNA GRANDE RETROSPETTIVA DEDICATA ALL’ARCHITETTO MILANESE - “GIO PONTI È COME UN VOCABOLARIO DI LATINO NEL TEMPO DELLA VIRTÙ TECNOLOGICA: IMPRESCINDIBILE E RIGENERATIVO. FORSE AVREI MESSO LE FOTOGRAFIE AD ALTEZZA OCCHIO, AVREI ALLESTITO QUALCHE DISEGNO IN MENO A FAVORE DI PEZZI D’ARTE E SPUNTI TECNOLOGICI PER UN PUBBLICO NON SPECIALISTICO. FORSE DOVREBBERO ALLESTIRE LE MOSTRE D’ARCHITETTURA I CURATORI D’ARTE E VICEVERSA…”

Gianluca Marziani per Dagospia

 

 

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Roma chiama Milano, oggi con note di sana invidia vista la forbice arcuata tra le crepe capitoline e i fasti meneghini ad alta evoluzione urbanistica. Il nuovo raccordo tra le due città, oltre al Frecciarossa 1000, si chiama Gio Ponti, nomen omen per un ponte di memorie e spunti che sbarca al Maxxi, in quella Sala 5 che tanto somiglia al ponte di comando dei transatlantici oceanici.

 

E’ una Milano storica quella ancorata nell’attico del museo, una Milano borghese e lucidamente laica, culla morbida del design industriale che ha aggettivato la vita domestica, città di editoria specialistica per palati maestosi, architrave finanziaria che da tempo ha intrapreso la via europeista senza remore edilizie.

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Gio Ponti (1891-1979) resta sintesi funzionale e nota poetica sulle pianure del capoluogo lombardo, compositore estetico che dava genius loci ed estro iconografico al razionalismo di scuola piacentiniana. Maestro in vita, maestro post mortem, archetipo del genio inclusivo ed eclettico, sperimentatore di nuovi dialoghi, artefice di forme a rilascio prolungato, Ponti contiene il continuo presente in una chiave ormai globale, offrendoci il lato futuristico della memoria secolare, la versione leonardesca del ritratto umano, la replica mai seriale di una geometria euclidea. 

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Cammino a zigzag tra le isole eleganti di un allestimento filologico, perfezionato nei piedini pontiani che sostengono i pannelli con il loro bel pantone da boutique Prada.

 

GIO PONTI AMARE L’ARCHITETTURA (a cura di Maristella Casciato e Fulvio Irace) ha una giusta visione d’insieme, un prologo d’impatto con le frasi a muro, un bel catalogo e un ottimo font grafico (applauso al progetto editoriale di FORMA). In compenso avrei messo le fotografie ad altezza occhio, avrei sfruttato la produzione storica per Richard Ginori, avrei allestito qualche disegno in meno a favore di pezzi d’arte e spunti tecnologici per un pubblico non specialistico. Forse dovrebbero allestire le mostre d’architettura i curatori d’arte e viceversa, così da creare nuovi angoli di visione, estroflessi come lo sguardo archeopittorico di Ponti. Chissà come avrebbe montato la sua mostra dentro lo spazio in salita del Maxxi, una sala che provoca vertigini da grande altezza, quasi fossimo sul tetto di una delle sue ville a Caracas…

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Lassù su Marte studiamo la vostra ragione architettonica, ci interessa l’evoluzione degli edifici pubblici e privati, il modo in cui avete creato una polis metodica e accogliente. Per noi alieni Gio Ponti esemplifica ragione e sentimento, sintesi e lampo poetico, sostantivo e aggettivo del costruire.

 

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Il suo grattacielo Pirelli, sottile come un albero cosmico, è ancora il più sartoriale tra i grattacieli in cemento armato. Il Denver Art Museum, quarantasette anni d’età, sembra un padre atletico che accoglie il figliol prodigo Daniel Libeskind. Il grande magazzino de Bijenkorf di Eindhoven, inaugurato nel 1968, è un monolite di luce mediterranea coi ritmi di un pentagramma per John Cage, uno smeraldo di luce assoluta con la sua pelle anfibia in ceramica verde.

 

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La Concattedrale di Taranto, datata 1971, svetta come un veliero del sincretismo religioso, meccanica celeste che ingloba la metafisica nella sua luce greca. Hotel Parco dei Principi a Sorrento, declinazione in ceramica modulare di bianco e azzurro, si carica di metafora marina per volare da fermo: è il disegno di una stagione abitabile, con quella quadreria che ingloba una finestra orizzontale, aprendosi al blu come una mongolfiera di terrazzi e mattonelle figurative.

 

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Gio Ponti sentiva subito dove mancava l’artista, dove non bastava edificare quando serviva immaginare, volando così oltre il cemento, verso gli intrighi dell’olio su tela, verso quel senso di affresco che nel Rinascimento era il polmone di architetture nobiliari e religiose. Ha chiamato a corte(o) grandi artisti del suo tempo, Massimo Campigli su tutti ma anche Fausto Melotti, Mario Sironi, Gino Severini, Achille Funi, Carlo Carrà, Giorgio de Chirico, Arturo Martini, Felice Casorati… con loro ha ribaltato il tema decorativo, inglobando l’opera nel pensiero iniziale, dentro la struttura d’ordine e sviluppo, similmente al petalo per una rosa o alla virgola per un poeta. La conferma del connubio con l’arte era ovunque: nel modo creativo di dirigere la rivista Domus, nel genio italico che imprimeva sulle amate porcellane, nelle intuizioni d’arredo per i transatlantici da gran turismo, nei dettagli cromatici e geometrici di molte palazzine milanesi, nel modernismo colto delle ville sudamericane, nel rendere il grattacielo un soggetto sensoriale oltre l’oggetto geometrico.      

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Quanti palazzi di edilizia residenziale e pubblica nella sua biografia, tutti riusciti per ideazione e soluzioni, un caso raro di aderenza esclusiva tra progetto e forma finale. Quante ville di estro e ragione ingegneristica, come Villa Planchart a Caracas, un tempio alieno nel verde tropicale. Quante visioni utopiche ma plausibili e razionali, come i progetti urbanistici per il Pakistan, le centrali elettriche alpine, le commissioni in Brasile, le sedi universitarie, gli edifici industriali, le chiese, gli istituti di cultura…

 

Quanti oggetti che uscivano dal suo talento bulimico, tutti durevoli per natura, dotati di un’attualità che impressiona nell’era odierna del “costa poco e dura meno”. La sedia “Superleggera” ingloba l’eterno futuro con un semplice movimento diagonale dello scheletro posteriore, fondendo per sempre la cucina rustica con i complementi da città. La maniglia “Anello”, che ricorda le alette del flipper, definisce la funzione ovvia nel suo bello imprescindibile. I sanitari per Ideal Standard restano perfetti nel disegnare l’archetipo stesso del bagno, l’essenza moderna dentro le radici collettive. E poi le vetrate artistiche per Venini, le posate, la macchina orizzontale per il caffè da bar, la piastrella modulare per Marazzi…  

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Gio Ponti è come un vocabolario di Latino nel tempo della virtù tecnologica: imprescindibile e rigenerativo, rappresenta la radice e il suo sviluppo etimologico, il seme della modernità, lo slittamento continuo tra sapere e vita, l’indicazione di nuovi mondi attraverso la memoria di chi ci ha lasciato gli strumenti del pensare, del dire, del fare…

 

 

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Gianluca Marziani

 

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