UN MARZIANI A ROMA - SESSUALITÀ PLASTICAMENTE ESIBITE, RITRATTI CHE EMANANO ODORI ALLA REMBRANDT, FETICISMI DI AMMALIANTE ELEGANZA. ROBERT MAPPLETORPHE E’ OGGI IL DAVID BOWIE DE “L’UOMO CHE CADDE SULLA TERRA”, UNA CREATURA ALIENA CHE SBARCA NEL CORTILE DI PALAZZO CORSINI CON LA SUA ASTRONAVE NEWYORKESE. ARRIVA DA UN LONTANO FUTURO, PARLA UN’ALTRA LINGUA MA SI FA CAPIRE...- VIDEO

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Gianluca Marziani per Dagospia

 

 

01 GalleriaCorsini Mapplethorpe Foto Alberto Novelli 01 GalleriaCorsini Mapplethorpe Foto Alberto Novelli

Varcare la soglia trasteverina di Palazzo Corsini, camminare tra due file di busti che ti accolgono marziali come pioppi padani, entrare dentro l’appartamento nobile, oggi museo per la collezione del Cardinale Neri Corsini che qui visse dal 1738 fino alla sua morte nel 1770. Tutto appare mirabilmente ieratico, quadrerie su quadrerie che disegnano l’autoritratto veritiero di un gusto ancora seicentesco, tra vanitas barocche, mitologie evocative e candori erotici.

robert mapplethorpe robert mapplethorpe

 

Un apparato iconografico che moltiplica sui muri le finestre del feticismo per dare geometria ritmica ai contenuti aristocratici del luogo. Eppure qualcosa non è più come prima, tracce improvvise spuntano e ci dicono che qualcuno ha cambiato le carte del tempo.

 

Robert Mapplethorpe (1946-1989) è l’ospite inatteso in casa Corsini, l’amico in bianconero che distilla tracce fotografiche lungo il percorso della Galleria. Entra oggi a passo silenzioso e riporta in alto il pathos emotivo delle quadrerie, riavvia le endorfine tra lusso e lussuria, stabilisce alti dosaggi di testosterone estetico, regalando alla pinacoteca un codice di spiazzamento silente, esplicito ma senza deflagrazioni o mollezze provocatorie.

robert mapplethorpe in mostra a napoli 2 robert mapplethorpe in mostra a napoli 2

02 Galleria Corsini Mapplethorpe Foto Alberto Novelli 02 Galleria Corsini Mapplethorpe Foto Alberto Novelli

 

Il fotografo americano si presta bene al cortocircuito con l’antico, in particolare con le saette pindariche del Barocco, con le strabilianti cromie del tardo Rinascimento e dei manierismi alla Rosso Fiorentino. Stabilisce traiettorie dialettiche con la pittura più distante - in apparenza - dal suo neoclassico fotografico, dai suoi still life gassosi eppur marmorei, dalle sospensioni di corpi tonici o fiori setosi su fondali monocromi.

 

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Sarebbe troppo facile legare Mapplethorpe ad Antonio Canova, le somiglianze mimetiche amalgamano e uccidono i dettagli identitari; al contrario, l’americano che incontra le ascensioni del Seicento ricorda la bellezza di una donna in abito rosso – un Valentino storico da gran soirée - che cammina in mezzo alla folla mattutina sulla Fifth Avenue. Quella donna in rosso calamita lo spirito del presente attorno a sé, mentre la folla e gli alti grattacieli hanno il valore traslato di un soffitto barocco tra corpi festaioli e putti volanti.

 

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L’abito spunta al centro del panorama, diventando cuore pulsante e fuga prospettica; così le opere di Mapplethorpe tra le quadrerie di Galleria Corsini, piccoli varchi che vibrano nelle modulazioni del bianco e del grigio, finestre sul Novecento fotografico per scovare il presente nel bianconero e il passato nel colore, in maniera opposta a come di solito leggiamo la palette cromatica.

 

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Robert Mapplethorpe è oggi il David Bowie de “L’uomo che cadde sulla terra”, una creatura aliena che in un ideale Settecento sbarca nel cortile di Palazzo Corsini con la sua astronave newyorkese. Arriva da un lontano futuro, parla un’altra lingua ma si fa capire. Mostra agli astanti le sue stampe fotografiche, ben conservate dentro una cartellina in pelle nera. Lo immagino infilarsi i guanti bianchi, tirare fuori le stampe e poggiarle sulle consolle dell’epoca, lasciando tutti a bocca aperta, occhi sgranati e sensi anfetaminici. Provate ad immaginare un raffinato collezionista del Settecento che si trova davanti queste opere fotografiche.

 

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Sessualità plasticamente esibite, posture che riportano il muscolo al suo archetipo greco, ritratti che emanano odori alla Rembrandt, feticismi di ammaliante eleganza, nature morte che somigliano a membrane del mondo perduto: sarà folgorante l’effetto su chi conosceva solamente pittura e scultura, insuperabile la rivelazione dentro lo sguardo, lo sgomento per qualcosa che evoca le chimere di un mondo ignoto. L’aristocrazia del chiaroscuro lascia terreno alla stampa su carta fotografica, così che l’opera possa compiere un viaggio del tempo al contrario, andando indietro oltre le sue radici linguistiche, tornando ai riferimenti iconografici che hanno esaltato la costruzione plastica dei grandi fotografi. Impossibile ragionare su Mapplethorpe senza ripensare ai disegni e alle sculture di Michelangelo, alle lucentezze di Guido Reni e Lorenzo Lotto, al buio muscolare di Caravaggio, ai maestri olandesi della velatura, al dinamismo plastico di Bernini…

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Lo disse bene Joan Didion quando affermò: “L’origine della sua potenza derivava non tanto dallo shock del nuovo ma dallo shock dell’antico, dalla rischiosa imposizione dell’ordine sul caos, del classico su immagini impensabili…” Sembra proprio che il Cardinale e Mapplethorpe abbiano trovato il loro esperanto linguistico, come se avessero allestito assieme le fotografie, scovando dialoghi tra corpi, empatie vegetali, al punto da inventarsi una zona rossa dove troviamo esposte solo fotografie. Stai a vedere che il Corsini aveva già intuito il feticismo moderno ad altezza sguardo; o che l’uomo dal futuro abbia suggerito al Cardinale di creare sale con pochi pezzi, spiegandogli in pratica come si sarebbe allestita una mostra due secoli dopo. Ma questa è un’altra storia, per adesso lasciamo passeggiare nel cortile i nostri due nuovi amici. Stanno parlando vicino alla navicella di Mapplethorpe, chissà cosa si raccontano…

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