THIS TIME FOR AFRICA – RIELLO: “KEHINDE WILEY È IL CANDIDATO IDEALE PER APRIRE QUESTA NUOVA STAGIONE “AFRICANA” ALLA NATIONAL GALLERY DI LONDRA PERCHE’ LA SUA SPECIALITA’ STA PROPRIO NEL RILEGGERE I MAESTRI DEL PASSATO IN CHIAVE ETNICA. IL PROGETTO APPENA INAUGURATO SI INTITOLA THE PRELUDE E SI COMPONE DI ALCUNE GRANDI TELE E DI UN IMPONENTE VIDEO REALIZZATO APPOSITAMENTE" - "NEI SUOI LAVORI SI SENTE UN GIOIOSO TRASPORTO CHE NON LASCIA MAI INDIFFERENTI, MA E’ ANCHE VERO CHE L’OSSESSIONE ALL-BLACK A 360 GRADI CHE NON RIESCE A SUGGERIRE UNA VISIONE PROPRIAMENTE INCLUSIVA DELLA SOCIETA’" - VIDEO

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KEHINDE WILEY

THE PRELUDE

National Gallery, Trafalgar Square, WC2N 5DN Londra

fino al 18 Aprile 2022

 

 

Antonio Riello per Dagospia

antonio riello antonio riello

 

Il direttore della National Gallery Gabriele Finaldi nel 2020 aveva promesso che ci sarebbe stato finalmente spazio per gli artisti africani nelle illustri sale del museo, dato che nella Storia dell’Arte occidentale questa parte del mondo non ha avuto che delle sporadiche e occasionali presenze.

 

Kehinde Wiley e’ un artista Afro-Americano nato a Los Angeles (1977) che ha avuto una notevole notorieta’ globale grazie ad un suo celebre ritratto di Barak Obama del 2017.

 

La rivista TIME l’ha pure inserito nel 2018 tra le 100 persone piu’ influenti del mondo. Influente o meno che sia, Kehinde Wiley e’ comunque davvero una figura di spicco tra gli artisti americani di colore.

 

 

gabriele finaldi gabriele finaldi

Sa maneggiare con consumata esperienza pittura, scultura e media tecnologici, e’ un artista completo che, quando serve, sa reinventarsi con energetico coraggio.

 

Le sue opere sono rappresentate dalla Stephen Friedman Gallery di Londra e dalla Galerie Templon di Parigi.

 

E’ stato il candidato ideale per aprire questa nuova stagione “africana” alla NG perche’ la sua specialita’ sta proprio nel rileggere i maestri del passato in chiave etnica.

 

Si ispira a quadri noti e li rifa’ a modo suo mettendo al posto dei personaggi (il re, il principe o il cardinale di turno…) donne e uomini della sua cultura.

 

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Ha utilizzato anche il celebre ritratto di Napoleone sulle Alpi di Jacques-Louis David dove ha sostituito l’imperatore con un quasi-sosia di Michael Jackson.

 

Anche i fondali cambiano: molto spesso una cascata di colori vivaci trasforma gli aulici sfondi aristocratici nei tipici mercati che si incontrano nelle strade di Dakar o di Lagos (suo padre e’ di origine Nigeriana).

 

Nei suoi lavori si sente un gioioso trasporto che non lascia mai indifferenti, qualsiasi possa essere il rapporto tra lo spettatore e la realta’ africana di oggi. La rappresentazione del potere e del privilegio (in termini etnici e non solo) sono il nodo centrale della sua pratica artistica.

kehinde wiley michael jackson kehinde wiley michael jackson

 

Il suo stile e’ di una qualita’ fotorealistica implacabile, si direbbe di stampo quasi cinematografico. Un suo lavoro quasi michelangiolesco, “GO”, e’ in bella vista dal 2021 nella rinnovata Penn Station di New York, dove attualmente vive l’artista.

 

Una particolare attenzione e’ sempre dedicata all’abbigliamento dei personaggi ritratti. Stoffe e motivi decorativi abbondano e sono un potente efficace strumento di seduzione visiva.

 

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Non e’ affatto estraneo al gusto e ai capricci del fashion business, anzi li sa tradurre in pittura. Atmosfere Rococo’, elementi etnico-tribali, invenzioni legate alla street-fashion e all’immaginario rapper, colori prepotenti. Non manca proprio niente, sembra sempre pronto per la copertina di Vogue.

 

Ha avuto qualche anno fa anche una discussa parentesi cinese: aveva spostato lo studio in Cina attrezzando una factory low-cost. Ora la faccenda sembra chiusa. O almeno messa sotto silenzio.

 

Il progetto qui appena inaugurato si intitola THE PRELUDE (che e’ anche il titolo di una delle poesia piu’ amate del primo romanticismo britannico, scritta da William Wordsworth) e si compone di alcune grandi tele e di un imponente video realizzato appositamente.

kehinde wiley headshot kwaku alston kehinde wiley headshot kwaku alston

Un primo quadro gigante (ricorda le dimensioni dello schermo di un cinema) si rimanda alla “Nave dei Folli” di Jeronimus Bosch.

 

Quest’opera piu’ epica che retorica e’ probabilmente una delle icone piu’ belle e riuscite della attuale dispora che vede centinaia di migliaia di Africani lasciare ogni anno disperati i loro paesi d’origine. Diventa eclatante il drammatico ricordo de “La zattera della Medusa” di Theodore Gericault che si trova al Louvre.

 

Una altra tela enorme riprende invece un famoso quadro di Caspar David Friedrich, “Il viandante sul mare di nebbia” dove Wiley africanizza radicalmente il canone romantico europeo. Spettacolare e magistralmente dipinto. Quasi un’avvincente reclame di possibili nuove prospettive umane. Avventure dello spirito.

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Il pezzo forte e’ un imponente video realizzato nel 2021 proprio per la mostra, dura circa trenta minuti ed e’ proiettato su ben 6 schermi differenti. La musica e’ stata composta apposta da Niles Luther e vi e’ mescolata una voce che recita (ovviamente) dei versi di Wordsworth, ma anche poesie di Ralph Waldo Emerson e Henry David Thoreau. E’ un opera sicuramente ambiziosa e grandiosa che lavora sui paesaggi naturali estremi e pittoreschi che hanno sempre affascinano la cultura Anglo Sassone, in particolare quella americana.

 

E’ stata girato sulle montagne innevate della Norvegia e le persone che sfidano le vette e il freddo sono tutte di colore, reclutate a Londra nelle vie di Soho. Il netto contrasto tra “bianco” e “nero” e,’ non solo evidente, ma anche essenziale. E’ piaciuto a molti, compreso l’esigente critico del Times, Waldemar Januszczak. A dire tutta la verita’ comunque le immagini super patinate e l’aspetto iper-modaiolo delle persone coinvolte lo fanno sembrare, in certi momenti, quasi l’imitazione di una sfilata della Moncler.

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Alla fine, si potrebbe dire che Kehinde Wiley e’ professionalmente cosi’ sicuro di se’ che le tempestose e roboanti note della Cancel Culture sembrano, almeno in apparenza, solo sfioralo. Ma e’ anche vero che l’ossessione all-black a 360 gradi che infonde tutto il suo lavoro non riesce a suggerire, come forse immaginato dalla lettura di qualche curatore/critico, una visione propriamente inclusiva della societa’. L’artista parrebbe piuttosto elaborare e concepire una situazione in qualche modo conflittuale. Un atteggiamento sottilmente ma decisamente esclusivo. Una specie di sfida etnica. Interessante, ma non di buon auspicio.

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