Luigi Grassia per "www.lastampa.it"
Se guardate una carta geografica, a Nord Ovest del Madagascar scoprite l’isoletta di Nosy Be, e non distante un’altra che si chiama Nosy Iranja; si tratta di due paradisi tropicali, ma oggi anziché guardare verso le spiagge, le palme e la terraferma puntiamo il radar sul tratto di mare fra le due Nosy, che nella stagione giusta è una zona di intenso transito delle balene.
Noi ci siamo stati nel settembre di qualche anno fa, e di balene che saltavano fuori dall’acqua (con vigorose prestazioni ginniche, rumorosissime spanciate e altissimi spruzzi) ne abbiamo viste a gogò. Anche il prossimo settembre sarà periodo di migrazione dei cetacei, per quanto sia improbabile che molti italiani ne vogliano o possano approfittare, in questo 2020 traumatizzato dal coronavirus.
Ma facciamo la cronaca dei tempi normali, quelli che sono stati e che certamente torneranno a essere. Nella zona degli incontri con le balene si arriva, come abbiamo fatto noi, a bordo di un piccolo motoscafo veloce, che si muove fra Nosy Be e Nosy Iranja in un’ora e mezza.
Avvicinarsi alle balene è un po’ avventuroso, ma non pericoloso se non si va proprio loro addosso; in effetti, più che delle balene c’è più da preoccuparsi del pilota, che fa apposta a cavalcare le onde più alte a tutto motore e poi a planare nel modo più violento possibile sulla superficie del mare. Che botte, speriamo bene per la schiena. Per fortuna l’intrepido si dà una calmata in prossimità di un numeroso branco di balene. E ci permette di ammirarle con agio.
Non c’è bisogno di andare a stuzzicarle da vicinissimo, perché grandi e grosse come sono risultano ben visibili anche a distanza di sicurezza. Già quando sono tranquille e discrete si fanno ammirare per gli altissimi zampilli d’acqua che spruzzano dagli sfiatatoi dorsali, formando archi liquidi molto eleganti;
ma quando poi le balene sono vivaci e si sentono davvero in vena di esibizioni, ne fanno proprio di tutti i colori: il loro repertorio comprende, in crescendo, il colpo di coda sulla superficie delle onde con grande effetto «splash», oppure l’uscita di slancio dall’acqua in verticale, per metà o due terzi della lunghezza del corpo, oppure (massimo della spettacolarità) un’acrobazia che a cui ci hanno abituato, negli acquari come quelli di Genova, di Miami e di San Diego, i piccoli e leggeri delfini, ma che non avremmo immaginato possibile per pachidermi del mare come le balene: il salto fuori dall’acqua con tutto o quasi tutto il corpaccione in volo, e la ricaduta finale col botto di pancia, di fianco, oppure (il top per chi guarda) di schiena.
Perché le balene fanno così? I motivi sono vari. Tanto per cominciare, queste prestazioni ginniche sono fra i mezzi con cui i maschi impressionano le femmine e le convincono all’accoppiamento; la seduzione non è visiva, dato che mentre una balena salta fuori dall’acqua, tutte le altre (in linea di massima) sono sotto la superficie, e perciò non vedono niente; l’effetto destinato a fare davvero impressione è quello sonoro, cioè il botto (come un colpo di cannone) che risulta tanto più forte quanto più deciso è stato lo slancio fuori dall’acqua, a testimoniare la potenza del maschio autore dell’impresa. Sei forte papà.
Tuttavia, la riproduzione non spiega tutto: le balene saltano anche quando non è stagione degli amori. Forse nel loro comportamento c’è un libero elemento di gioco - e questo è tipico degli animali più intelligenti, che non si comportano come robot ma si dilettano anche in attività ludiche. Si ipotizza pure che i pesanti impatti sull’acqua disturbino i parassiti della pelle delle balene e che lo choc costringa questi fastidiosi esserini a mollare la presa. E di certo il rumore dei boati si può sentire a decine di chilometri di distanza (si sa che sott’acqua le onde sonore si propagano persino meglio che nell’aria) e questo aiuta i branchi di balene a riunirsi quando le tempeste li disperdono su grandi tratti di mare; è come se l’autore del salto mandasse il messaggio “venite tutte qui, adunata”. Comunque nel giorno della nostra esplorazione fra Nosy Be e Nosy Iranja il tempo era splendido, niente tempeste. Eppure le balene saltavano a più non posso.
Non resistiamo alla tentazione di dedicare un paragrafo a Nosy Iranja, dove c’è il mare più bello del mondo. Una lingua di sabbia bianchissima unisce le due porzioni di terra che compongono l’isola, poi col passare delle ore l’oceano si alza di 4 metri e mezzo e sommerge, fino a farlo sparire, questo candido ponticello naturale (come a Mont Saint-Michel in Normandia). Per centinaia di metri, ai due lati del passaggio, si distende un fondale bianco di conchiglie sbriciolate nei millenni, che riflette una luce turchese.
Chi nuota in queste acque ha l’impressione di stare in una mega-piscina illuminata dal basso. Arrivano le onde color turchese acceso, e l’incredulità e la meraviglia si rinnovano a ogni istante; se siete in coppia, come ci è capitato, incrocerete tante volte lo sguardo l’uno dell’altra dicendo “non ci posso credere!” o vi guarderete senza bisogno di dirlo. Nel frattempo, grandi tartarughe d’acqua nuotano lì attorno a pochi metri.
A Nosy Be si gusta anche un po’ di storia: vi si può visitare l’antico centro di Marodoka, con alcuni resti monumentali indiani, islamici e locali. La cultura del Madagascar ha subìto meno colpi di quella di altri Paesi colonizzati, perché la colonizzazione è stata tardiva e breve. A parte un paio di presidi militari, l’isola è stata annessa dalla Francia molto tardi, solo alla fine dell’Ottocento. Questo ha lasciato respiro alle popolazioni locali, ma ha avuto anche una conseguenza paradossale: le coste del Madagascar, non essendo presidiate da guarnigioni regolari, sono diventate terra di nessuno, e così si sono trasformate (per generazioni) in un ricettacolo di pirati europei e americani.
Quando l’abbiamo visitata qualche anno fa, non sapevamo niente di tutto questo, e solo in seguito abbiamo appreso che attorno al 1720 il Madagascar ha rischiato di diventare uno dei regni dei Savoia. I pirati locali proposero a Vittorio Amedeo II, già re di Sardegna, di proclamarsi anche re del Madagascar, garantendogli un’entusiastica obbedienza, e chiedendogli in cambio una sola cosa, cioè che re Vittorio Amedeo li elevasse al rango di suoi corsari; così lui avrebbe guadagnato un vasto possedimento, senza spese (perché alla difesa avrebbero provveduto i corsari) mentre i corsari, non più pirati, sarebbero stati trattati secondo le leggi di guerra se fossero stati catturati da nemici, e non avrebbero più rischiato l’impiccagione come volgari predoni del mare.
Alla fine l’occasione sfumò, ma questa storia ci ha così intrigato che ne abbiamo scritto un libro, documentato con carte degli Archivi di Stato di Torino e di Cagliari, “Savoia corsari e re del Madagascar”, appena pubblicato da Mimesis. Le balene, nel frattempo, hanno continuato le loro evoluzioni di sempre.