Irma D’aria per “la Repubblica”
Una persona su otto nel mondo convive con un disturbo mentale. Una stima che risale al 2019, quindi già prima della pandemia che, come sappiamo, non ha migliorato la situazione. "Rendere la salute mentale una priorità globale" è proprio lo slogan scelto quest' anno dall'Oms per la giornata mondiale dedicata alla salute mentale che si terrà, come ogni anno, il 10 ottobre. Se, da un lato, si è osservato un aumento dei disturbi d'ansia e depressivi, dall'altro lato, i servizi di salute mentale e i finanziamenti continuano a scarseggiare, soprattutto nei paesi a reddito medio-basso. «Il panorama della salute mentale oggi è sconfortante», ci racconta Peppe Dell'Acqua, psichiatra che nel 1971 ha iniziato a lavorare con Franco Basaglia e che per molti anni è stato il direttore del Dipartimento di salute mentale di Trieste.
«Fino a un decennio fa il nostro Paese è stato un luogo gioioso per partecipare alle varie iniziative della giornata mondiale, ma ora si osserva un evidente arretramento doloroso in tutte le regioni. I motivi sono tanti, ma ne vorrei sottolineare tre», prosegue lo psichiatra: «In primo luogo, la regionalizzazione del sistema sanitario che ha permesso alle politiche regionali di avere il sopravvento; in secondo luogo, le accademie che, sebbene con le dovute eccezioni, hanno sempre resistito al cambiamento alimentando una "psichiatria dei farmaci e delle diagnosi" e, infine, un settore privato sempre più aggressivo e non regolamentato».
Cosa si potrebbe fare dunque per smuovere le acque? «La parola chiave è comunità», afferma lo psichiatra. «La prevenzione nel campo della salute mentale non deve essere considerata una specialità da attribuire allo psicoterapeuta; pensiamo al bonus psicologo. La strada da percorrere - spiega - è un'altra: servono politiche di comunità per far crescere una cultura della salute mentale e una dimensione etica che funga da bussola per opporsi al ritorno delle cosiddette "psichiatrie della distanza e della pericolosità"».
Come spiegato nel testo, piangere attiva una serie di meccanismi fisiologici che, a partire dalla produzione nelle ghiandole lacrimali contenute nel cavo orbitale, sono indispensabili per la salute dell'occhio. A livello oculare le lacrime aiutano ad attuare una difesa chimica per il sistema visivo, il principale sistema sensoriale dell'uomo. Ci sono studi chimici che dimostrano come le lacrime reattive contengono enzimi, sostanze battericide e molecole che ci proteggono da agenti esterni come la polvere ma anche addirittura la tossina dell'antrace. Le lacrime, inoltre, sono un ottimo antibatterico grazie alla proteina lisozima in grado di distruggere le molecole dannose per la nostra salute.
Piangere non è un segno di debolezza, ma una terapia che fa bene e che si può fare ormai in gruppo, come testimonia la diffusione negli Stati Uniti, in Giappone e poi anche in Europa dei Crying Clubs, dove si può piangere accanto a dei perfetti sconosciuti, magari guardando un film strappalacrime o leggendo un libro triste. Nessuno si permette di giudicare e, soprattutto, nessuno tenta di consolare l'altro, perché piangere aiuta a stare meglio. E non è soltanto perché ci si sfoga e si liberano le emozioni represse.
I motivi per cui piangere fa bene alla salute sono tanti e diversi studi scientifici li hanno analizzati a partire da quello dello scienziato William Frey, professore all'Università del Minnesota, negli Stati Uniti, che nel suo libro Piangere: il mistero delle lacrime spiega che nove persone su dieci si sentono meglio dopo un bel pianto e dichiarano che il proprio umore migliora notevolmente dopo aver versato una buona quantità di lacrime. «Si piange di gioia, di rabbia, di dolore o tristezza, ma sin dalla nascita il pianto ha una sola e basilare funzione: preservare la sopravvivenza fisica e garantire l'equilibrio e il benessere psicologico», spiega la psicologa Paola Medde, consigliera dell'Ordine degli Psicologi del Lazio.
Già nella metà degli anni '60, lo psicoanalista John Bowlby comprese che il pianto, con frequenze e intensità diverse, ha la funzione di comunicare non solo bisogni fisici che devono essere soddisfatti (fame, sete, dolore, sonno), ma anche psicologici come quello di essere confortati e di ricevere cure e affetto. Crescendo, poi, il pianto assume altre funzioni e significati. «Quando piangiamo - prosegue la psicologa - entriamo in contatto con le nostre emozioni e consentiamo agli altri di comprendere meglio il nostro stato d'animo, facilitando la sintonizzazione con gli altri, cioè l'empatia». Ma i benefici del pianto riguardano anche il corpo, a partire dagli occhi attraverso cui escono le lacrime: «Piangere è fisiologico e necessario, ma le lacrime non sono tutte uguali», precisa Enrica Strettoi dell'Istituto di neuroscienze (In) del Cnr.
«Tutte nascono dalle ghiandole lacrimali annesse all'occhio, situate nella cavità orbitale, e raggiungono l'esterno attraverso i condotti lacrimali superiore e inferiore, ma appartengono a tre tipi distinti: basali, irritative, emotive. Le lacrime basali, in particolare, non vengono versate ma formano una pellicola, il film lacrimale, che serve a mantenere umida e lubrificata la superficie dell'occhio e delle palpebre, proteggendole dagli agenti atmosferici, dalla disidratazione e salvaguardando la trasparenza della cornea».
Ci sono poi le lacrime irritative, come quelle provocate dall'esposizione alla cipolla tagliata di fresco, oppure quelle emotive, cioè quelle che versiamo in condizioni di gioia o di dolore: «Solo queste lacrime - aggiunge la ricercatrice del Cnr - portano alla liberazione di un complesso di sostanze e ormoni, tra cui le endorfine, che aiutano l'organismo ad alleviare il dolore e a gestire meglio una situazione di emergenza. Pertanto, le lacrime non vanno represse, con esse si cerca aiuto negli altri, si favorisce il sonno e si produce una reazione empatica: pensiamo a una situazione in cui tutti stanno piangendo come a un matrimonio o a un funerale. Il pianto collettivo aumenta la vicinanza e allevia la tensione e può essere veramente liberatorio». Non tutti riescono, però, a piangere.
Ogni anno in media una donna piange 47 volte, mentre un uomo solamente 7, colpa anche dello stigma che collega il pianto a un segno di fragilità. Ma perché - indipendentemente dal sesso - alcune persone non riescono a piangere? «Sono numerose le ragioni per le quali alcune persone hanno difficoltà a esprimere le proprie emozioni attraverso il pianto», risponde la psicologa Medde: «Sappiamo che livelli più bassi di testosterone favoriscono l'espressione di emozioni, ma se fosse solo questa la ragione non riusciremmo a spiegare l'incapacità di trattenere le lacrime del pubblico maschile alla finale dei Mondiali di calcio.
Evidentemente altri fattori incidono come, per esempio, essere stati cresciuti in un sistema familiare e culturale che vede nel pianto una manifestazione di debolezza e fragilità inaccettabili. Abbiamo poi fattori individuali che, sopra ogni cosa, incidono fortemente, come la mancanza di connessione con il proprio mondo interiore, una sorta di esperienza dissociativa funzionale al contenimento di emozioni troppo forti per essere comprese e gestite». Nascono i Crying Clubs. Dove singhiozzare con degli sconosciuti. Perché fa bene alla salute. Mentale ma anche a quella degli occhi. Garantisce il nostro equilibrio psichico. Ci permette di liberare emozioni represse ed entrare in sintonia con gli altri.
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