NELLA VITA CI VUOLE FEGATO (MAGRO) - UN ITALIANO SU TRE HA IL FEGATO GRASSO E NON SI RENDE CONTO DI COSA RISCHIA: UNA DIETA O UNO STILE DI VITA ERRATO PORTANO PRIMA ALLA STEATOSI EPATICA, CHE PUÒ RIMANERE STABILE O EVOLVERE IN FORME PIÙ GRAVI, RISCHIANDO CIRROSI, TUMORE EPATICO, PATOLOGIE CARDIOVASCOLARI COME INFARTO E ICTUS – ATTENZIONE AGLI INDIZI CHIAVE E IN PARTICOLARE ALL’ACCUMULO DI GRASSO NEL…

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Elena Meli per "www.corriere.it"

 

Un italiano su tre

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Dimagrire è spesso nella lista dei buoni propositi per l’autunno. Ma in genere non si va oltre l’immagine che ci rimanda lo specchio: vorremmo togliere i «rotolini» che abbiamo sempre sotto gli occhi, niente di più. Se però potessimo guardare sotto la pelle ci accorgeremmo che spesso gli accumuli di grasso li abbiamo pure dove non si vedono. A cominciare dal fegato.

 

La steatosi epatica, la condizione in cui il fegato è infarcito di grasso è un problema che, secondo le stime, riguarda dal 25 al 30% della popolazione. Quasi un italiano su tre, indipendentemente dall’età, ha il fegato grasso e il nostro è uno dei Paesi in cui il rischio di un’impennata di questa condizione è più consistente: lo ha rivelato l’ultimo Hepahealth Project Report, un documento dell’European Association for the Study of the Liver (Easl) in cui si è fatto il punto sulla diffusione delle malattie epatiche in 35 Paesi di area europea.

 

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Il rischio di steatoepatite non alcolica («Nash»)

Di fegato grasso (o steatosi epatica) si parla a Milano, in un congresso organizzato dal Gis-Nash, il Gruppo italiano di studio della Nash nelle malattie infettive, sotto l’egida della Società Italiana di Malattie Infettive (Simit).

 

«Secondo gli ultimi dati della letteratura internazionale, circa il 30-40% dei pazienti con steatosi epatica sviluppa la Nash (non alcoholic steato-hepatitis, steatoepatite non alcolica), con un rischio di progressione verso un quadro di fibrosi che si aggira intorno al 40-50% - spiega Carlo Filice, professore di Malattie infettive all’Università di Pavia e direttore della struttura di ecografia di malattie infettive del Policlinico San Matteo -. Le epatiti virali B e C, grazie ai vaccini e ai nuovi farmaci, stanno gradualmente diminuendo e si può auspicare la loro scomparsa.

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La Nash diventa così la causa principale per trapianto di fegato, perché si innescano processi che portano a cirrosi e poi al trapianto». Negli Stati Uniti, nella popolazione adulta, la steatoepatite non alcolica rappresenta già la causa principale di cirrosi e la seconda causa di trapianto epatico. E si candida ad essere la malattia più diffusa al mondo. «Nel 2020 avremo tre miliardi di persone che soffriranno di questo tipo di dismetabolismo - sottolinea Filice -. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha già individuato la Nash come una delle patologie più importanti da affrontare a causa delle difficoltà di diagnosi e per le conseguenze che può avere».

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Nella grande maggioranza dei casi, chi soffre di Nash apparentemente sta bene. Per diagnosticarla servono una biopsia o una risonanza magnetica e la maggior parte dei casi resta sommersa.

 

La steatoepatite non alcolica può sorgere per complicanze di malattie infettive, negli ex epatitici o nei soggetti con Hiv; per il diabete; per l’abuso di farmaci e per le relative interazioni tra loro (in Italia più del 60% di chi ha oltre i 60 anni prende più di 5 farmaci); può derivare da una dieta errata o dallo stile di vita. Queste situazioni portano prima al fegato grasso, che può rimanere stabile o evolvere in forme più gravi.

 

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Chi è affetto da Nash rischia cirrosi, tumore epatico, patologie cardiovascolari come infarto e ictus. «Ad oggi non esistono terapie - conclude Filice -. Può essere utile avere un corretto stile di vita, a partire dall’alimentazione con la dieta mediterranea. È poi indispensabile una riduzione delle calorie nel caso in cui il soggetto sia sovrappeso ed è sempre necessaria una regolare attività fisica. Tuttavia, farmaci ad hoc ancora non ci sono. Stiamo lavorando nella ricerca e l’auspicio e che si possano realizzare farmaci attivi nell’arco dei prossimi due anni».

 

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Epidemia di obesità

L’Italia è un sorvegliato speciale perché la diffusione dell’obesità è in aumento, soprattutto fra bambini e ragazzi e la steatosi epatica è legata a doppio filo proprio con i chili in eccesso. Per ora da noi la mortalità da fegato malato è più bassa rispetto a Paesi come il Regno Unito o l’Ungheria, ma se l’epidemia di obesità non sarà arginata gli esperti temono un boom di decessi per le nostre future generazioni.

 

«Per ogni incremento di un’unità dell’indice di massa corporea il rischio di andare incontro a steatosi epatica non alcolica (non associata al consumo di alcol, ndr) cresce dal 13 al 38%, per ogni centimetro di girovita in più la probabilità sale del 3-10%» si legge nel documento.

 

Sindrome metabolica

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Se non invertiamo la rotta, quindi, ci ritroveremo con fegati sempre più «fuori misura». E non è una buona notizia, come spiega Silvia Fargion, direttrice dell’unità di Medicina Interna ad Indirizzo Metabolico - Fondazione Irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore di Milano: «Purtroppo molti pensano che avere il fegato grasso sia un problema di poco conto o un disturbo isolato. In realtà è vero il contrario: si tratta innanzitutto di una malattia da non sottovalutare, perché l’accumulo di grasso può progredire provocando un’infiammazione dell’organo (steatoepatite, ndr) e poi ancora peggiorare verso la fibrosi e la cirrosi, che danneggia irrimediabilmente il fegato e apre la strada allo sviluppo del tumore epatico. Il quale, peraltro, in un elevato numero di questi pazienti può insorgere anche in assenza di cirrosi.

 

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Inoltre, il fegato grasso è un problema che va a braccetto con molti altri perché è una delle manifestazioni della sindrome metabolica». Questa condizione, diffusissima, si diagnostica quando sono presenti tre o più fattori di rischio fra sovrappeso od obesità, glicemia alta, pressione elevata, dislipidemia con valori sballati di colesterolo e trigliceridi; è indirettamente una delle prime cause di morte perché porta al diabete e alle complicanze dell’ipertensione.

 

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Campanello d’allarme

La steatosi epatica è di fatto la manifestazione di questa sindrome a livello del fegato, anche se molti non lo sanno, ma è anche un campanello d’allarme che può precederla. «Se il grasso si accumula nel fegato viene per esempio favorita la comparsa di una resistenza all’insulina e quindi di diabete - puntualizza Anna Ludovica Fracanzani, docente di medicina interna dell’Università degli Studi di Milano -. Cresce anche il rischio di calcificazione delle coronarie e quindi di infarti e coronaropatie: nei pazienti con steatosi la prima causa di morte è un evento cardiovascolare come infarto o ictus, al secondo posto ci sono i tumori, al terzo cause epatiche».

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Girovita, l’indizio-chiave

«Attenzione però, anche chi è magro può non essere indenne dall’accumulo di grasso nel fegato: il 15-20% di chi ha steatosi epatica ha un indice di massa corporea normale - precisa Fargion -. In questi casi spesso è il girovita l’indizio-chiave: se è ampio è probabile che si sia accumulato grasso sul fegato. Nelle donne il pericolo inizia a salire dopo gli 80 cm e diventa elevato sopra gli 88, negli uomini l’allerta inizia a 94 cm ed è massima oltre i 102.

 

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Il girovita allargato riflette il deposito di grasso non solo nel fegato ma anche a livello viscerale, sugli altri organi: è l’accumulo più temibile, perciò si ritiene che la circonferenza addominale indichi l’eccesso di grasso meglio dell’indice di massa corporea. Chi ha il girovita largo o uno qualsiasi degli elementi della sindrome metabolica dovrebbe sottoporsi a un’ecografia al fegato, test semplice ma indispensabile per la diagnosi; anche i diabetici dovrebbero sempre farla, perché spesso hanno gli esami degli enzimi epatici nella norma ma l’organo è già in sofferenza.

 

Purtroppo la consapevolezza dei danni da grasso accumulato sul fegato è scarsa, in più la steatosi epatica non dà sintomi: il fegato “soffre in silenzio” e si fa sentire soltanto quando è molto compromesso, così molti ignorano di avere problemi per troppo tempo», conclude Silvia Fargion.

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Obiettivo: dimagrire

Per curare il fegato grasso non ci sono ancora medicine miracolose: l’unica terapia è dimagrire. «Il danno epatico può risolversi se chi è in sovrappeso perde il 7% del peso - sottolinea Silvia Fargion -. C’è una relazione di causa-effetto fra accumulo di chili e steatosi epatica, per cui l’unica cura e l’unica prevenzione passano attraverso dieta e attività fisica». Muoversi ogni giorno a sufficienza, quindi, e mangiare meglio: non solo per perdere peso ma per mantenere il peso forma, perciò senza diete drastiche ma attraverso un’alimentazione che sia possibile seguire sempre.

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Ridurre i carboidrati

La chiave, secondo una ricerca pubblicata su Cell Metabolism, potrebbe essere non tanto la riduzione delle calorie complessive quanto della quota di carboidrati, a favore delle proteine: i partecipanti allo studio infatti non sono dimagriti in maniera visibile, ma il loro fegato sì.

 

La dieta a basso tenore di carboidrati agirebbe sul metabolismo e sulla flora batterica intestinale: per esempio, gli autori hanno verificato che riduce l’espressione di geni coinvolti nella sintesi di grassi a livello del fegato mentre sale quella di geni connessi alla produzione di acido folico e all’ossidazione dei grassi. In carenza di carboidrati, insomma, il fegato inizia a bruciare grasso anziché produrlo (e accumularlo), con un effetto immediato visto che fin dal primo giorno il metabolismo si modifica. La dieta povera di carboidrati favorisce inoltre modifiche nella composizione della flora intestinale, che sembra svolgere un ruolo chiave anche nella steatosi.

 

obeso obeso

Attenzione al fruttosio

«Lo studio è piccolo e le diete vanno sempre tagliate su misura per ciascuno, tuttavia i dati sembrano suggerire che con l’alimentazione si possa incidere direttamente sul grasso epatico, a prescindere dal peso» dice Jan Boren dell’università svedese di Göteborg, autore dell’indagine. Anna Ludovica Fracanzani, docente di medicina interna dell’Università degli Studi di Milano, precisa che «il problema maggiore è l’introito di fruttosio.

 

obiettivo dimagrire obiettivo dimagrire

Nei pazienti magri con steatosi vediamo spesso un eccesso nel consumo di questo zucchero, che si trova in abbondanza nelle bevande dolcificate e in molti prodotti industriali. Limitarlo è importante per prevenire e contrastare il fegato grasso».

 

Carni rosse e salumi

Il fruttosio infatti viene metabolizzato dal fegato e usato per produrre i grassi che poi, se siamo sedentari, vengono accumulati nell’organo. Ridurne il consumo può allora fare la differenza, come conferma uno studio condotto dall’università di San Francisco su bambini con fegato grasso: sostituendo il fruttosio con l’amido, rimpiazzando cioè uno zucchero semplice con carboidrati complessi, nel giro di nove giorni il metabolismo è cambiato al punto da quasi dimezzare il grasso epatico.

carne grigliata carne grigliata

 

Anche in questo caso i pazienti erano poche decine, per cui servono conferme, ma che l’alimentazione sana sia il pilastro su cui regge la salute del fegato è ormai certo. Oltre a non mangiare troppi zuccheri occorre non esagerare con la carne rossa: una ricerca pubblicata sul Journal of Hepatology, condotta su 800 persone, ha dimostrato che un eccesso di carni rosse e salumi si associa a un maggior rischio di steatosi e resistenza all’insulina, indipendentemente dal peso corporeo, soprattutto se la carne viene fritta o grigliata a lungo, perché così vengono prodotte sostanze pro-infiammatorie pericolose.

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L’autrice, Shira Zelber-Sagi dell’università di Haifa in Israele, osserva che «fra le carni meglio tacchino, pollo e pesce e cucinarli bolliti o al vapore, limitando la cottura ad alte temperature».

 

Programma via web

Anche il web può rivelarsi utile per chi ha la steatosi epatica e vuole dimagrire. Uno studio condotto da Giulio Marchesini dell’università di Bologna e presentato all’ultimo congresso Easl a Parigi ha dimostrato che un programma di modifiche dello stile di vita gestito tramite Internet può portare a una riduzione del peso corporeo analoga a quella possibile con un percorso intensivo di gruppo e perfino a una normalizzazione più rapida degli enzimi epatici.

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«In entrambi i gruppi analizzati una persona su dieci ha perso il 10 % del peso, una soglia oltre cui la steatosi si risolve e l’eventuale fibrosi regredisce - riferisce Marchesini -. Dimagrire è indispensabile ma spesso difficile se si è seguiti soltanto in ambulatorio: per questo abbiamo voluto realizzare un programma gestibile via web, con giochi interattivi e questionari. I nostri risultati dimostrano che l’approccio è pratico, semplice e soprattutto funziona».

 

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Perdere peso è il primo passo, ma potrebbe rivelarsi opportuno anche smettere di fumare: uno studio statunitense presentato all’ultimo convegno della Endocrine Society statunitense ha dimostrato che la nicotina favorisce l’accumulo di grasso epatico. Un altro motivo per evitare le sigarette, comprese quelle elettroniche: anche la nicotina contenuta in questi dispositivi facilita la steatosi, quantomeno nei topolini da esperimento.

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Bambini sovrappeso

Anche i più piccoli possono avere il fegato grasso: la steatosi riguarda infatti dal 5 al 15% dei bimbi, con punte dell’80% in caso di obesità. Per monitorare i casi infantili è stato creato il registro pediatrico europeo per il fegato grasso, coordinato dall’ospedale Bambino Gesù di Roma, che segue circa 1.500 piccoli pazienti l’anno: qui confluiranno tutti i dati provenienti dai principali ospedali di Germania, Polonia, Inghilterra, Svezia, Spagna e Francia, per creare un database che consenta studi più mirati e ampi sulla popolazione pediatrica.

 

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«L’aumento del numero di bambini sovrappeso nei Paesi industrializzati ha portato all’incremento dei casi di fegato grasso infantile, diventato un’epidemia che non può più essere sottovalutata», dice Valerio Nobili, responsabile di Epatologia, gastroenterologia e nutrizione al Bambino Gesù. Anche nell’infanzia infatti il grasso di troppo è pericoloso: la Società Italiana di Gastroenterologia (Sige) ha di recente segnalato che chi è stato obeso da ragazzino diventa un adulto più a rischio di cirrosi e tumore.

 

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Per capire se qualcosa non va occhio al girovita pure nei piccoli: uno studio pubblicato sul Journal of Pediatricsdimostra che al crescere della circonferenza della vita misurata a 3 anni d’età sale pure il rischio di avere il fegato grasso a 8 anni. «Ci sono alterazioni degli enzimi epatici nel 35% dei piccoli obesi», spiega l’autrice, la pediatra Jennifer Woo Baidal della Columbia University di New York.

 

Steatosi alcolica

calamity jane alcolista cronica calamity jane alcolista cronica

L’accumulo silenzioso di grasso sul fegato, che «strangola» l’organo compromettendone pian piano le funzioni, è solo il primo passo verso disturbi sempre più gravi. Dalla steatosi si passa infatti spesso alla steatoepatite, in cui è presente anche infiammazione.

 

«Si distinguono la forma non alcolica, tipica di chi non beve alcol, e quella alcolica: per la diagnosi di steatosi non alcolica il consumo nelle donne deve essere inferiore ai 20 grammi di alcol al giorno (poco più di un bicchiere di vino rosso, ndr), negli uomini ai 30 grammi al giorno (circa due bicchieri, ndr) - osserva Silvia Fargion -. Distinguere le due forme è difficile, nei fatti si presentano allo stesso modo; per la diagnosi l’ecografia non è sufficiente e serve una biopsia, un test invasivo che perciò viene eseguito solo nei soggetti ad alto rischio, da individuare tenendo conto di caratteristiche come la presenza di sindrome metabolica, sovrappeso, diabete, ipertensione, dislipidemia o anche la durata della steatosi e la ferritina elevata».

 

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Secondo uno studio pubblicato di recente sul British Medical Journal, per capire se il fegato di chi ha steatosi sia avviato verso il peggio e abbia già una fibrosi (ovvero il tessuto si sia «indurito» come quello delle cicatrici, smettendo di funzionare correttamente) può essere utile sottoporsi a Fibroscan, un test non invasivo simile a un’ecografia che misura l’elasticità dell’organo.

 

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Durante l’ultimo congresso Easl, inoltre, sono stati presentati ulteriori dati su test non invasivi che consentono di prevedere il rischio di progressione o le probabilità di miglioramento nei pazienti con una fibrosi avanzata, ma tuttora non c’è accordo assoluto sul loro impiego.

 

Allarme sanitario

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L’accumulo di grasso nel fegato si avvia a diventare uno degli allarmi sanitari del prossimo futuro, se non verrà invertita la rotta: lo dimostrano dati presentati all’ultimo congresso Easl, secondo cui negli Usa la steatoepatite alcolica ha soppiantato l’epatite C come causa principale di trapianto di fegato in chi non ha un tumore. Al secondo posto la steatoepatite non alcolica.

 

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Per steatosi e steatoepatite non c’è ancora una cura. I pazienti che oltre al fegato grasso hanno il diabete possono usare il pioglitazone e la liraglutide o, in un prossimo futuro, l’empagliflozin che in uno studio discusso al recente convegno dell’Endocrine Society statunitense ha dimostrato di ridurre dal 16 all’11% il grasso epatico.

 

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Servono però medicinali per chi non è diabetico o ha già un fegato con fibrosi, in cui, quindi, dall’infiammazione si è passati alla perdita di funzionalità del tessuto: per questo sono molte le ricerche in corso e all’ultimo congresso Easl è stato annunciato l’avvio di due sperimentazioni cliniche, Stellar-3 e Stellar-4, in cui sarà usata una terapia di combinazione fra farmaci con meccanismi diversi e potenzialmente complementari per «attaccare» infiammazione, alterazioni metaboliche e fibrosi. I primi risultati dovrebbero arrivare entro la metà del 2019.

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