L'ANNUS HORRIBILIS DI DON LUIGI VERZÉ INIZIA 376 GIORNI FA, IL 22 DICEMBRE 2010, QUANDO RISCHIA DI MORIRE PER UNA CRISI CARDIACA E COMINCIANO I GUAI DEL SAN RAFFAELE - LA SUA MORTE INTRECCIATA FINO ALLA FINE CON L’INCHIESTA (IL GIALLO DEL TESTAMENTO E IL SEQUESTRO DELLA CARTELLA CLINICA) - IL 2012 SARÀ L’ANNO 1 D.V. (DOPO VERZÉ), E PER LA PROPRIETÀ DEL POLO OSPEDALIERO LA PARTITA SEMBRA TRA ROTELLI E LO IOR E MALACALZA (CHE PAREGGIANDO L’OFFERTA PIÙ ALTA POSSONO DECIDERE DI TENERSELO) - MA FINO AL 5 GENNAIO CHIUNQUE PUÒ RILANCIARE (C’È ANCHE IL GRUPPO HUMANITAS)…

Mario Gerevini e Simona Ravizza per il "Corriere della Sera"

1 - DON VERZÉ, IL GIORNO DELL'ADDIO SEQUESTRATA LA CARTELLA CLINICA...
Oggi ci sarà l'ultimo saluto a don Luigi Maria Verzé, 91 anni, il fondatore del San Raffaele, morto il 31 dicembre l'ultimo dell'anno per una crisi cardiaca. Dalle 9.30 alle 11.30 il feretro sarà ospitato al Ciborio che si trova sotto il Cupolone con l'Angelo San Raffaele, simbolo della grandezza di un ospedale sorto dal nulla negli anni Sessanta, ma diventato anche l'emblema della megalomania del prete manager, travolto ultimamente da un'inchiesta giudiziaria per un crac da 1,5 miliardi di euro.

Le esequie si terranno alle 14.30 nel suo paese natale, Illasi (Verona), alla Chiesa parrocchiale di San Giorgio. La cerimonia sarà officiata da monsignor Giuseppe Zenti, vescovo di Verona. La salma sarà tumulata momentaneamente nella tomba di famiglia, sempre a Illasi. Il suo sogno era di essere sepolto dietro all'altare della cappella della Madonna della Vita, all'interno del pronto soccorso del San Raffaele: ma la sepoltura lì potrà avvenire solo dopo l'arrivo delle autorizzazioni del caso.

Il lutto per la scomparsa di don Verzé s'intreccia fino all'ultimo con le indagini della Procura di Milano per bancarotta fraudolenta e per associazione a delinquere (reato per il quale, però, il sacerdote non risulta indagato). Proprio la delicatezza della situazione ha portato la Guardia di finanza ad acquisire la cartella clinica. Sono stati fotocopiati - su indicazione del pubblico ministero di turno Luigi Luzi - tutti i dati. «È una prassi consolidata - spiega il portavoce dell'ospedale, Paolo Klun, per sgomberare il campo da illazioni, considerate assurde, su una morte non naturale -. Succede sempre per persone coinvolte in vicende finanziarie».

Non è stata disposta alcuna autopsia. Ma al centro dell'esame della Procura è finito anche il testamento. Il documento del prete manager è stato sequestrato durante la raffica di perquisizioni seguite all'arresto del faccendiere Pierangelo Daccò, notoriamente in rapporti d'affari con il San Raffaele e indicato come uno dei canali di distribuzione dei fondi neri. Le carte con le ultime volontà sono tornate in possesso di don Verzé e dei suoi legali solo nei giorni scorsi, con ogni probabilità tra il 28 e il 29 dicembre.

È una coincidenza che va ad aggiungersi ad altri episodi suggestivi della parabola di don Verzé, prima tra tutte la sua scomparsa nel giorno in cui l'ospedale andava all'asta su decisione del Tribunale fallimentare. Ancora. Solo stamattina, come detto, la salma sarà esposta al Ciborio, dov'è stato celebrato anche il funerale di Mario Cal, il manager morto suicida lo scorso 18 luglio. Ieri e sabato, invece, la camera ardente è stata allestita nella Cappella all'interno della casa del sacerdote che viveva nell'ormai celebre Cascina, insieme con i Sigilli, i suoi fedelissimi.

Una scelta che - almeno secondo chi gli è stato vicino negli ultimi mesi - può sottolineare una presa di distanza simbolica dall'ospedale, ormai in mano ad altri. È del 15 dicembre, del resto, la sua decisione di non partecipare più neppure alle riunioni del consiglio di amministrazione della Fondazione Monte Tabor, la holding che guida il polo ospedaliero.

L'eredità materiale di don Verzé è, insomma, incanalata in una procedura sorvegliata dal Tribunale fallimentare. Ad assicurare la sopravvivenza dell'ospedale saranno degli imprenditori vicini al Vaticano o altri ancora (come Giuseppe Rotelli o Gianfelice Rocca). Rimane l'eredità morale della sua opera, che verosimilmente sarà portata avanti dai Sigilli. Le più vicine a lui sono Gianna Zoppei e Raffaella Voltolini.

È ancora da capire, comunque, se nel testamento don Verzé abbia lasciato a loro anche beni materiali. Il prete manager pubblicamente s'è sempre vantato in modo scherzoso di essere nullatenente e di non percepire la pensione sociale. Ma, ancora poco prima di morire, la questione del sostentamento futuro dei fedelissimi è stata un cruccio.

«Io, dalla mia età ed esperienza vi assicuro che guardo tutto con ottimismo - diceva don Verzé in occasione dei festeggiamenti per il suo 88° compleanno sotto il Cupolone -. So che tutto sta nella grande impresa da Dio con l'uomo avviata. Dio opera solo per il bene anche se, precariamente, il male lo contrasta».

Da allora, però, molte cose sono cambiate sotto i colpi di debiti spaventosi, un suicidio, due arresti, avvisi di garanzia della Procura e presunti fondi neri all'estero.

2 - DAL BUCO AL SUICIDIO DI CAL L'ANNO ORRIBILE DELL'ISTITUTO...
«La morte? La vedo come un invito a salire sul set del più grande spettacolo di vita». È salito sul set don Luigi Maria Verzé (dove il Maria se lo aggiunge lui a vent'anni quando viene folgorato da una visione della Madonna per inoltrare, poi, nel 2003 una pratica prefettizia e ottenerne l'attribuzione legittima). Il fondatore del San Raffaele è morto a 91 anni nel giorno in cui l'ospedale è andato all'asta. È come un cerchio che si chiude nel giro di dodici, drammatici, mesi.

L'annus horribilis di don Luigi Verzé inizia 376 giorni fa, il 22 dicembre 2010, quando il prete manager rischia di morire per una crisi cardiaca. È in quell'occasione - proprio durante le vacanze di Natale - che l'allora ministro alla Salute Ferruccio Fazio (già primario del San Raffaele) e l'(ex) amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera (oggi ministro), telefonano ai membri del consiglio di amministrazione della Fondazione Monte Tabor, la holding che guida il polo ospedaliero. La richiesta è di trovare una soluzione rapida al pesante indebitamento. Il motivo? Senza la figura di don Verzé, padre padrone del San Raffaele, la situazione rischia di diventare ingovernabile.

Così il 23 marzo 2011 don Verzé, ristabilitosi, è costretto a rimettere i piedi per terra. Soldi e debiti sono un problema suo e contingente. Il distacco dell'uomo di Chiesa che riconduce tutto a Dio («I soldi? Se ne occupa l'azionista di maggioranza») comincia a scontrarsi con la pressione terrena di banche e fornitori. Quel giorno un consiglio di amministrazione della Fondazione Monte Tabor annuncia di fatto la crisi. Don Verzé scrive una lettera e il senso è: tranquilli, crisi passeggera, il gruppo è forte e sano, in due mesi sarà tutto a posto. Diagnosi sbagliata. Quel consiglio è, però, un punto di svolta. Il pallino della gestione non è più una prerogativa esclusiva dei manager del San Raffaele.

Adesso si gioca in campo aperto. Le banche più esposte sono Intesa Sanpaolo e Unicredit. Ma sul miliardo di debiti (1,5 miliardi è un «aggiustamento» successivo), due terzi sono verso i fornitori. Si fa credere che entro maggio il San Raffaele possa essere già in sicurezza. E i bilanci? Segreti. È la clamorosa anomalia di un gruppo da oltre 600 milioni di fatturato (due terzi con la Regione Lombardia) che non ha bilanci pubblici. La holding è una fondazione che si comporta come una società off shore. È una condizione di extraterritorialità che ha garantito anni di tranquilla e allegra gestione.

All'inizio dell'estate il piano originario è già superato. Improvvisamente revisori e sindaci si svegliano dal torpore e scoprono il buco su cui erano seduti. «Tranquilli, crisi passeggera», non lo dice più nessuno. Si comincia a parlare di crac. Le piantagioni brasiliane, il jet da 20 milioni, l'hotel in Sardegna appaiono sempre meno estemporanee divagazioni e sempre più simbolo di una grandeur incontrollata che ha condotto al crac.

Ci vuole un socio industriale di peso. Si fa avanti Giuseppe Rotelli del gruppo ospedaliero San Donato con una proposta concreta. Si muove anche la Santa Sede con la promessa di intervento. È fine giugno. Il vertice del San Raffaele si spacca. Mario Cal vuole Rotelli ma prevale don Verzé che apre agli uomini del cardinal Bertone. Il Vaticano prende in consegna la Fondazione a metà luglio. Intanto è già partita l'inchiesta della Procura di Milano sul crac e il pm Luigi Orsi interroga Mario Cal.

Il 18 luglio Cal si spara sotto l'ufficio di don Verzé. È uno choc. Un uragano che squarcia il muro di complicità, omertà e soggezione eretto intorno ai vertici dell'ospedale. Si sussurra del «nero» con i fornitori, di tangenti a uomini politici, di conti esteri. Spunta la figura del faccendiere Pierangelo Daccò, regista degli affari sommersi del San Raffaele.

l fallimento è a un passo, lo vorrebbe anche la Procura, ma il progetto presentato dallo Ior e dall'imprenditore Vittorio Malacalza ottiene il via libera del Tribunale fallimentare. Ok dunque al concordato preventivo a patto, però, che anche altri possano presentare offerte. A novembre la Procura arresta il faccendiere Daccò, l'inchiesta entra nel vivo. Anche don Luigi Verzé è indagato.

L'aggravarsi delle condizioni di salute lo portano alla morte il 31 dicembre (40 anni dopo l'arrivo del primo malato al San Raffaele) nel giorno in cui l'ospedale è al centro di una sfida tra i big della Sanità.

Alla gara per acquistarlo, per il momento, si è presentato l'imprenditore Giuseppe Rotelli con 305 milioni contro i 250 milioni di Ior e Malacalza. Ma è interessato anche l'industriale Gianfelice Rocca (gruppo Humanitas). Fino al 5 gennaio chiunque può rilanciare. Entro il 10 gennaio, invece, Ior e Malacalza decideranno se tenersi il San Raffaele pareggiando l'offerta più alta.
E così comincerà l'anno 1 D.V. Dopo Verzé.

 

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