UN BUCO NERO NELLA FORZA LAVORO ITALIANA - L'ETÀ PIÙ PRODUTTIVA È QUELLA TRA I 40 E I 44 ANNI. OGGI IN ITALIA SONO 4,4 MILIONI, TRA DIECI ANNI SARANNO 3,4 MILIONI. LA PIÙ CONSISTENTE RIDUZIONE IN EUROPA DI QUELLO CHE PUÒ ESSERE CONSIDERATO L'ASSE PORTANTE DELL'ECONOMIA DI UN PAESE. SENZA UN'INVERSIONE DI MARCIA, SARÀ SEMPRE PIÙ DIFFICILE USCIRE DALLA TRAPPOLA DI BASSA CRESCITA E AMPIE DISEGUAGLIANZE SOCIALI

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Alessandro Rosina per ''Il Sole 24 Ore''

 

L' Italia continua a procedere nel XXI secolo a passo lento e incerto. A confermarlo sono arrivati i dati Istat su come si è chiuso il 2019 sul fronte economico e dell' occupazione.

Se non si interviene al più presto con un' inversione di marcia, imboccando una direzione chiara per lo sviluppo avanzato del Paese, sarà sempre più difficile uscire dalla trappola di bassa crescita economica e ampie diseguaglianze sociali alla quale sembra condannarci la combinazione tra alto debito pubblico, crescenti squilibri demografici, fragilità formative e inefficienze del mercato del lavoro.

 

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Indebitamento pubblico e invecchiamento della popolazione - in un Paese con bassa capacità di far crescere la ricchezza pubblica e con alta sfiducia che arrocca in difesa la ricchezza privata - vanno a ridurre ulteriormente le possibilità di investimento nei processi individuali e collettivi che possono ridare vigore al percorso di sviluppo. Interessi sul debito e spesa previdenziale e sanitaria verso la crescente popolazione anziana, non sono insostenibili di per sé, ma rischiano di farci collassare se diventa più debole anche la forza lavoro. La differenza tra l' Italia che è entrata in questo decennio e quella che ne uscirà, verrà determinata dal numero di persone attive e qualificate che andranno a rafforzare il centro della vita produttiva del Paese.

 

Se questo è vero abbiamo due problemi combinati e tre risposte possibili da fornire in modo integrato, come evidenzia il report "Un buco nero nella forza lavoro italiana" pubblicato dal Laboratorio futuro dell' Istituto Toniolo.

Tale rapporto prende come riferimento la fascia d' età in cui occupazione e produttività toccano i livelli più elevati, ovvero quella tra 40 e 44 anni. Il primo problema evidenziato è demografico. Nel 2019 la popolazione italiana che si trovava in tale fase della vita era pari a circa 4,4 milioni.

 

Nel corso del decennio appena iniziato verrà via via sostituita da coloro che hanno oggi tra i 30 e i 34 anni, che risultano però essere oltre un milione di meno. Si tratta della più consistente riduzione in Europa di quello che può essere considerato l' asse portante dell' economia di un Paese. Il secondo problema riguarda l' effettiva partecipazione alla produzione di ricchezza. Il tasso di occupazione dei 40-44enni risulta attorno al 74%, quasi dieci punti sotto la media europea.

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Quello che però è più preoccupante constatare è che tale coorte dieci anni fa (quando aveva 30-34 anni), presentava un tasso di occupazione solo leggermente più basso (attorno al 73%), mentre chi ha oggi 30-34 anni parte già da cinque punti percentuali in meno (attorno al 68%).

 

Questi dati ci dicono che l' Italia sta entrando in una nuova fase della sua storia che corrisponde a un inedito impoverimento della forza lavoro, ma anche che finora ha fatto molto meno del resto d' Europa per rafforzare la presenza qualificata delle generazioni che si apprestano a occupare le posizioni centrali della vita attiva. In particolare abbiamo meno trentenni che arrivano al più alto titolo di studio e tra essi è più bassa la quota di chi ha un lavoro. Secondo i dati comparativi, relativi al 2018, la percentuale di laureati nella fascia 30-34 anni è la più bassa in Europa dopo la Romania (27,8% contro una media del 40,7%). Il tasso di occupazione dei laureati a tale età è circa dieci punti inferiore alla media europea e a far peggio è solo la Grecia.

 

Di particolare rilievo è il fenomeno della sovraistruzione: secondo l' Istat oltre un terzo degli occupati diplomati e laureati svolge un' attività che richiede un titolo di studio inferiore a quello posseduto. Questo significa che più che negli altri Paesi avanzati è maggiore sia la parte di giovani che arrivano ad affacciarsi all' età adulta con competenze inadeguate; sia la parte di chi arriva ben preparato, ma non trova adeguata collocazione e valorizzazione nel mondo del lavoro.

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Insomma gli attuali trentenni proiettati tra dieci anni rischiano non solo di portare la loro debolezza quantitativa (la più marcata in Europa) al centro del motore del Paese, ma anche la loro maggiore fragilità in termini di percorso formativo e professionale (la più penalizzante in Europa).

 

Se non vogliamo che le nuove generazioni rappresentino uno svantaggio competitivo - come rivela il record di Neet con meno di 35 anni (un costo sociale anziché produttori di valore) - ma che al contrario siano forza principale per far tornare il Paese a crescere con una spinta più che compensativa rispetto ai freni del debito pubblico e dell' invecchiamento, dobbiamo agire con urgenza su tre fronti interdipendenti.

 

In un mondo che cambia a velocità impensabile rispetto al passato - dove i mutamenti avvenivano da una generazione alla successiva, mentre oggi avvengono nel giro di pochi anni - il tema della formazione è prioritario, sia con riferimento alle competenze avanzate (come quelle digitali) sia a quelle trasversali (come l' apprendere ad apprendere, la creatività, l' intraprendenza). Le competenze da aggiornare e potenziare non riguardano solo i giovani, ma, a partire dall' entrata del mondo del lavoro, devono poi essere estese, rafforzate e aggiornate in tutte le fasi della vita.

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In secondo luogo va urgentemente ridotto il disallineamento tra domanda e offerta che porta oggi al paradosso di molti giovani e giovani-adulti che possiedono le caratteristiche richieste sul mercato ma non trovano lavoro e, allo stesso tempo, molte aziende che faticano a coprire posizioni ben remunerate.

In carenza di sistemi esperti efficienti di orientamento e supporto negli snodi del percorso di vita e professionale, troppi giovani rischiano di perdersi e di portare nella vita adulta delusioni e frustrazioni anziché energie e competenze per realizzarsi e far crescere il Paese.

 

Va infine, ma non per ultimo, data particolare attenzione alla formazione e alla valorizzazione del capitale umano femminile. Le trentenni raggiungono un titolo di studio più alto rispetto ai coetanei maschi, ma il loro tasso di occupazione risulta poi più basso. Proprio su questo fronte, sottolinea il report dell' Istituto Toniolo, si possono ottenere i maggiori risultati in termini di riequilibrio generazionale della forza lavoro, che però richiede un ribilanciamento del rapporto di genere e tra vita e lavoro.

Dall' impegno ad agire su questi tre fronti interdipendenti dipende molta della capacità di superare gli squilibri attuali e dar solidità al percorso di sviluppo del Paese.

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