hong kong coronavirus

I REGIMI HANNO I LORO VANTAGGI - ''QUI A HONG KONG DOPO 40 GIORNI DI SACRIFICI SIAMO PRONTI A TORNARE ALLA NORMALITÀ''. PARLA MARCO GALIMBERTI, MILANESE, 34 ANNI, MANAGER DEL CIOCCOLATO VENCHI IN ASIA. ''QUANDO SI È VERIFICATO IL PRIMO CASO NON ERAVAMO PREPARATI. MANCAVANO MASCHERINE, DISINFETTANTI. MA POI ABBIAMO ATTIVATO DEI PROTOCOLLI CHE ORA CI PERMETTONO DI VEDERE LA LUCE IN FONDO AL TUNNEL. ENTRO L'ANNO APRIREMO UNA FILIALE A WUHAN, SONO CERTO''

Maurizio Gianattanasio per www.corriere.it

 

palazzo king’s road di hong kong 9

Due mesi per il ritorno alla normalità. Lo ha detto il sindaco Beppe Sala al Corriere dopo aver parlato con gli imprenditori che lavorano in Cina al di fuori della zona rossa. Uno di questi è Daniele Ferrero, ad di Venchi, l’azienda produttrice di cioccolato e gelati con negozi sparsi in tutto il mondo, una trentina solo tra Hong Kong, Cina e Macao con circa 250 dipendenti. In prima linea c’è Marco Galimberti, milanese, 34 anni, general manager Greater China e Asia Pacific. L’ultima volta che è tornato in Italia è stato per Natale, poi una lunga immersione durata 40 giorni.

 

Quaranta giorni, perché tutto inizia quando?

«Tra il 24 e il 25 gennaio. In maniera repentina. È il giorno del primo caso di coronavirus a Hong Kong dove lavoro e vivo. In Cina erano già più di cento, ma Hong Kong era ancora indenne. Tre giorni dopo il presidente Xi dichiara l’emergenza».

heather parisi a hong kong con la mascherina

Voi cosa avete fatto?

«Ci siamo trovati in grande difficoltà. Era il capodanno cinese, un periodo di migrazioni. È stato bloccato tutto. Mancavano le mascherine, mancava l’amuchina. La situazione igienico sanitaria era tremenda. I centri commerciali all’interno dei quali si trovano i nostri negozi ci chiedevano delle misure sanitarie che non eravamo in grado di rispettare».

 

Poi cosa è successo?

«Dall’Italia ci hanno spedito 6.000 mascherine, altrettanto hanno fatto dalla Cina e la nostra vita è cambiata da un momento all’altro. Discorso diverso per i cinesi che sin dall’inizio, avendo vissuto la Sars, si sono autolimitati e hanno imposto regole molto rigide con la chiusura di tutte le scuole anche a Hong Kong. Guardando i numeri dico che le misure sono state determinanti per contenere il virus. A Hong Kong durante il capodanno c’erano tre milioni di cinesi, eppure i contagiati sono stati solo un centinaio e i decessi due. Su una popolazione di 7 milioni».

 

Cosa è successo al vostro business?

carta igienica hong kong 9

«Dove i centri commerciali hanno chiuso siamo stati costretti a chiudere i negozi. Altrimenti siamo rimasti sempre aperti anche se il problema del fatturato è stato enorme. Ci sono stati giorni e giorni dove facevamo quattro o cinque scontrini».

In un giorno normale?

«Tra i 150 e i 200».

 

Avete licenziato?

«Nessuno. Abbiamo chiesto di smaltire le ferie. Poi abbiamo ripreso».

Con quali regole?

«Molto rigide, mascherine per tutti, guanti per servire i gelati, sanificazioni degli spazi comuni, della cassa, di tutti i tavoli. Anche del pos. Operazione ripetuta ogni due ore con alcol al 75 per cento. Maniglie, porte, tutto quello che veniva a contatto con il pubblico».

Regole imposte dal governo o autonomamente?

MARCO GALIMBERTI VENCHI

«Non abbiamo avuto direttive specifiche, ma c’era la consapevolezza che era giusto fare così. Gli orientali prendono molto più seriamente la salvaguardia della propria salute rispetto a noi, si siedono a 2 metri di distanza, si lavano continuamente le mani».

 

Usa la mascherina?

«La metto in ufficio anche se non ero abituato. Ma vedevo che i colleghi erano a disagio e quindi l’ho indossata».

Quando ha capito che le cose stavano cambiando?

«Quando abbiamo visto che la curva del fatturato si stava lievemente riprendendo. Più lentamente rispetto alla curva dei contagi, ma in movimento. Adesso a 40 giorni dall’inizio, il business riparte, i negozi sono stati riaperti man mano hanno riaperto scuole e fabbriche».

 

Ha mai pensato che non ce l’avreste fatta?

coronavirus quarantena in una crociera a hong kong

«Mai, anche se in certi momenti è stato massacrante. A Hong Kong è stata ancora più dura perché prima ci sono stati mesi di proteste politiche. Non un giorno di respiro. Poi è arrivato il coronavirus… L’unico vero sconforto è che non possiamo viaggiare».

Da quando manca dall’Italia?

«Da Natale».

Adesso?

«Parlo ogni giorno con i miei colleghi delle altre città cinesi. Avvertiamo tutti la stessa cosa: vediamo la luce alla fine del tunnel. Dobbiamo solo tenere duro».

Progetti?

«Apriremo un negozio a Wuhan entro fine anno. Sono certo».

carta igienica hong kong 1negozio burberry hong kongcoronavirus

 

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