Lettera di Giulio Tremonti al ''Corriere della Sera''
Caro direttore, dall’Italia, la mia patria, ho ricevuto molto. Anche per questo sento oggi il dovere di sdebitarmi. Qui lo faccio sulla base di quanto ho imparato in tanti anni. Scrivo quanto segue nella speranza che sia possibile evitare all’Italia una gravissima crisi, prima finanziaria, poi economica, infine sociale e politica.
A tratti nella nostra storia, da Quintino Sella («è a rischio la appena raggiunta nostra unità nazionale»), a Francesco Saverio Nitti («duro è dipendere dall’oro alieno»), ci si presenta il dramma del debito pubblico. Oggi di nuovo, e ancora con drammatica insistenza, la storia sta bussando alla nostra porta.
Se è vero che nel tempo presente e futuro i debiti pubblici devono salire in tutto il mondo e senza limiti (Draghi), è però anche vero che, a fronte di questo processo incrementale, limiti possono pur sempre esserci e drammatici per l’Italia. L’Italia, un Paese che ha già un enorme e crescente debito pubblico, che ha un prodotto interno lordo non solo stagnante ma da qui in avanti drammaticamente calante. Non si tratta di limiti imposti dalle regole contabili europee, queste ormai sospese, ma di limiti imposti dal mercato finanziario internazionale, su cui sarà necessario percorrere un sentiero sempre più stretto, più buio, più pericoloso, disseminato da aste-trappola, dallo spettro del default, da Troike e altri orrori. Questi già apparsi in Grecia, in Italia e altrove.
All’opposto, considerando che abbiamo uno dei più grandi giacimenti di risparmio del mondo per una grande parte direttamente o indirettamente investito in titoli nel nostro debito pubblico, si può e con ragione pensare che sia possibile salvarci da soli, ragionando come segue:
a) è da escludere in radice l’introduzione di una imposta patrimoniale che, per effetto del suo prelievo, dirottando verso lo Stato capitali attualmente depositati o investiti in banche e assicurazioni, le farebbe fallire, così creando un disastro ancora peggiore di quello che si vorrebbe evitare;
b) nel tempo presente e in questo momento il tempo è strategico: oggi non si può immaginare una via di fuga, con il passaggio dall’Euro alla Lira (o ad altra moneta). Prima di questo passaggio, per come va l’Europa ormai un passaggio che non si può più escludere in assoluto, si dovrebbe comunque rispondere a questa semplice domanda: dato il carattere fiduciario della moneta, chi la accetta? Chi firma le nuove banconote, così simbolizzando con la sua firma la sottostante unità nazionale?
c) l’Italia è un Paese che certo importa debito (più o meno il 30% del nostro debito pubblico è infatti in mani estere), ma è anche un Paese che ha esportato ed esporta, e su vasta scala, capitali. Questo hanno fatto e fanno, investendo sull’estero, le nostre famiglie, i nostri fondi, etc.
Ciò premesso è necessario che qualcuno vada in Parlamento o sui media, e qui presenti e con un certo grado di necessaria fiduciaria autorevolezza, un piano strutturato come segue:
a) in alternativa rispetto all’imposta patrimoniale, rispetto alla Troika, rispetto alle perdite in linea capitale che ovunque e comunque sarebbero generate da una crisi così determinata, si lancia un «piano di difesa e ricostruzione nazionale». Un piano che nel suo senso civile e politico non sarebbe poi troppo diverso da quello lanciato nel 1948 con grande successo, sottoscritto dal Guardasigilli Togliatti che lo accompagnò con questa frase: «Il prestito darà lavoro agli operai. Gli operai ricostruiranno l’Italia». La realtà è oggi certo molto diversa da allora, ma lo spirito può e deve essere lo stesso.
Un piano basato sull’emissione di titoli pubblici a lunghissima scadenza, con rendimenti moderati, ma sicuri e fissi, garantito dal sottostante patrimonio della Repubblica (per cui si può e si deve introdurre un regime speciale, anche urbanistico), titoli assistiti, come in un tempo che è stato felice, da questa formula: «esenti da ogni imposta presente e futura».
Questa è l’idea di base. Se viene accettata, accettata in generale e a partire dagli italiani, tempi, tassi e tecniche del prestito certamente possono essere discussi in dettaglio, variati, implementati coinvolgendo le nostre banche, i nostri fondi. Per inciso, può e deve essere applicata in Italia la tecnica, ortodossa per definizione, che applicata in Germania per l’emissione dei titoli pubblici in questo modo superando il cosiddetto «divorzio Tesoro-Banca d’Italia», introdotto nel 1981 e ormai superato dalla storia.
Così canalizzato sull’interno e messo in sicurezza il nostro risparmio, bloccata o ridotta la fuga dei capitali verso l’estero, favorito all’opposto il loro rimpatrio, non è certo da escludere — anzi è da introdurre — un regime di speciale favore per i titoli italiani sottoscritti dall’estero;
giuseppe conte 3roberto gualtieri
b) se funziona, questo piano può essere la base non solo per evitare il peggio, ma anche per andare verso il meglio, per entrare nell’epoca nuova, incerta, ma non necessariamente negativa che ci si apre. Perché questo sia serve uno Stato che fa seriamente lo Stato; serve un settore privato che funzioni una volta che gli è garantito il massimo possibile grado di libertà: tutto è libero tranne ciò che è vietato dalla legge penale e non come oggi dove tutto è vietato per principio salve alcune graziose concessioni. È in questi termini che si può infine canalizzare la raccolta di capitali fatti con il debito pubblico verso i necessari nuovi investimenti pubblici;
c) tutto quanto sopra è certo discutibile e perfezionabile, è solo un tentativo. È in ogni caso e comunque essenziale che tutti insieme e ora più che mai si abbia una proiezione patriottica, comunitaria e sociale, il sentimento di essere parte di una stessa patria perché, ancora una volta nella nostra storia è arrivato il momento dell’«unum necessarium».