DAI TESTI SACRI ALL’IPERTESTO SACRILEGO, IL PASSO è BREVE– QUANTI SANNO CHE A INVENTARE L’IPERTESTO, CON 30 ANNI DI ANTICIPO SUGLI SCIENZIATI AMERICANI, FU IL GESUITA ROBERTO BUSA? – SOGNAVA DI METTERE IN CONNESSIONE ESPRESSIONI, FRASI, CITAZIONI PER CONFRONTARLE CON ALTRE FONTI - PER QUESTO NEL 1949 ANDÒ DAL FONDATORE DELL’IBM, CHE LO RICEVETTE E ALLA FINE GLI DISSE: “NON È POSSIBILE FAR ESEGUIRE ALLE MACCHINE QUELLO CHE MI STA CHIEDENDO. LEI PRETENDE D’ESSERE PIÙ AMERICANO DI NOI”…

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Andrea Tornielli per "la Stampa"

padre Busapadre Busa

Se potete leggere questo articolo, digitato sulla tastiera di un computer, lo si deve innanzitutto a lui. Se pc e notebook hanno mandato definitivamente in pensione la macchina da scrivere, se possiamo comporre e scomporre i testi, effettuare analisi e ricerche con un paio di clic su un mouse, se comunichiamo sempre più attraverso messaggi virtuali, lo dobbiamo soprattutto a lui.

Padre Roberto Busa, gesuita, inventore della linguistica informatica, anticipatore dell'ipertesto attivo sul Web con tre lustri d'anticipo rispetto agli scienziati americani nonché curatore del monumentale Index Thomisticus , è morto martedì sera di vecchiaia all'Aloisianum di Gallarate, dove si era ritirato da decenni e dove aveva ritrovato l'amico e confratello cardinale Carlo Maria Martini. Avrebbe compiuto 98 anni il prossimo novembre e fino a qualche settimana fa era ancora attivissimo, impegnato in nuovi progetti.

padre Busapadre Busa

Il computer era nato come una macchina per fare calcoli. Nell'immediato dopoguerra questo intraprendente gesuita stava lavorando a un'opera titanica, voleva analizzare l'opera omnia di san Tommaso, la bellezza di nove milioni di parole. Aveva faticosamente compilato, a mano, diecimila schede, tutte dedicate all'inventario della preposizione «in», che riteneva fondamentale dal punto di vista filosofico.

Padre Busa aveva un cruccio: desiderava connettere tra di loro espressioni, frasi, citazioni e confrontarle con altre fonti disponibili. Per questo nel 1949 bussò alla porta di Thomas Watson, il fondatore dell'Ibm, che lo ricevette nel suo studio newyorchese, rimase ad ascoltarlo, e alla fine gli disse: «Non è possibile far eseguire alle macchine quello che mi sta chiedendo. Lei pretende d'essere più americano di noi».

Il gesuita non si diede per vinto e mise sotto il naso del boss dell'Ibm un cartellino che portava stampigliato il motto della multinazionale, coniato proprio da Watson: «Il difficile lo facciamo subito, l'impossibile richiede un po' più di tempo». Busa lo ridiede al fondatore dell'Ibm non nascondendo tutta la sua delusione. Watson si sentì provocato e così cambiò idea: «Va bene, padre, ci proveremo. Ma a una condizione: mi prometta che lei non cambierà Ibm, acronimo di International business machines, in International Busa machines».

Dall'incontro di queste due menti creative, ha ricordato su L'Osservatore Romano di ieri pomeriggio Stefano Lorenzetto, che gli fece meno di un anno fa l'ultima grande intervista, «nacque l'ipertesto, quell'insieme strutturato di informazioni unite fra loro da collegamenti dinamici consultabili sul computer con un colpo di mouse». La parola hypertext sarebbe stata coniata da Ted Nelson nel 1965, per progettare un software in grado di memorizzare i percorsi compiuti da un lettore. Ma, come è stato documentato da Antonio Zoppetti, esperto di linguistica e informatica, chi «davvero operò sull'ipertesto, con almeno quindici anni d'anticipo su Nelson, fu proprio padre Busa».

«Questo gesuita - ricorda Giacomo Ferrari, collaboratore di padre Busa e docente di linguistica computazionale alla facoltà di Lettere di Vercelli - è stato l'inventore dell'elaborazione dei testi mediante calcolatore, lo dobbiamo alla sua mente se oggi possiamo memorizzare i testi e analizzare le frequenze delle parole. È stato lui a insegnarlo in tutto il mondo. Grazie alle sue intuizioni e alle sue ricerche l'Accademia Della Crusca ha potuto digitalizzare i testi della letteratura italiana».

ibmibm

Padre Roberto Busa, originario di Vicenza, compagno di camerata di Albino Luciani, il futuro Giovanni Paolo I, nel seminario di Belluno, è stato per lungo tempo docente alla Pontificia università Gregoriana e alla Cattolica. E per cinque anni dal 1995 al 2000, anche al Politecnico di Milano, dove ha tenuto corsi di intelligenza artificiale e robotica. Grazie ai traguardi che ha raggiunto è stato istituito il «Roberto Busa Award», massima onorificenza per chi si occupa di queste materie.

La sua opera principale è l' Index Thomisticus. Sancti Thomae Aquinatis operum omnium indices et concordantiae(Stoccarda, Frommann Holzboog, 1974-1980). Si compone di cinquantasei volumi, di circa mille pagine ciascuno, per un totale di oltre sessantaduemila, e contiene l'indicizzazione completa di tutte le occorrenze di ogni singola parola usata da san Tommaso nelle sue opere.

Ventun'anni fa l'opera è diventata prima un cdrom e poi un dvd. Grande cultore delle lingue, era in grado di discutere delle sue scoperte in latino, greco, ebraico, francese, inglese, spagnolo, tedesco. «Mi sono dovuto arrangiare con i rotoli di Qumrân - raccontava - che sono scritti in ebraico, aramaico e nabateo, con tutto il Corano in arabo, col cirillico, col finnico, col boemo, col giorgiano, con l'albanese».

Il gesuita scienziato era rimasto sempre un sacerdote. E le ricerche che svolgeva sui software lo confermavano nella fede: «Una mente che sappia scrivere programmi - amava ricordare - è certamente intelligente. Ma una mente che sappia scrivere programmi i quali ne scrivano altri si situa a un livello superiore di intelligenza. Il cosmo non è che un gigantesco computer. Il Programmatore ne è anche l'autore e il produttore. Noi Dio lo chiamiamo Mistero perché nei circuiti dell'affaccendarsi quotidiano non riusciamo a incontrarlo. Ma i Vangeli ci assicurano che duemila anni fa scese dal cielo».

 

 

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