DAGOGAMES BY FEDERICO ERCOLE - “A PLAGUE TALE: INNOCENCE” E’ LA SORPRESA NUMERICA PIÙ SCONVOLGENTE DEI PRIMI MESI DEL 2019 - UNA PRODUZIONE TUTTO FUORCHÉ COLOSSALE, CHE DIMOSTRA TUTTAVIA UNA QUALITÀ D’ECCEZIONE, RIVELANDOSI UN’ESPERIENZA SOSPESA TRA L’ORRORE PIÙ NERO E LA BELLEZZA PIÙ PITTORICA, UN RACCONTO DISPERATO DI RAGAZZE, RAGAZZI, BAMBINI E TOPI - VIDEO

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Federico Ercole per Dagospia

 

a plague tale innocence a plague tale innocence

Chissà se fu nel 2007, quando uscì il videogame ispirato al simpatico ratto cuoco di Ratatouille, non certo un’opera memorabile, che i componenti dell’Asobo Studio di Bordeaux, fino a poco tempo fa specializzato soprattutto in versioni videoludiche dei film Pixar-Disney, cominciarono a pensare a Plague Tale, un terrificante tripudio di pestilenziali roditori.

 

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Meraviglia quindi leggere la cronologia dei lavori trascurabili di questo studio francese giunto infine a  realizzare la sorpresa numerica più sconvolgente dei primi mesi del 2019, una produzione tutto fuorché colossale, che dimostra tuttavia una qualità d’eccezione, rivelandosi un’esperienza sospesa tra l’orrore più nero e la bellezza più pittorica, un racconto disperato di uomini, anzi ragazze, ragazzi, bambini e topi. 

 

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A Plague Tale: Innocence, uscito per Playstation 4, PC e Xbox One, si svolge nelle campagne di Francia durante la metà del 1300, agli albori della guerra dei Cento Anni. Questo periodo tuttavia passò alla storia soprattutto per un evento dalla portata apocalittica, una pandemia di peste nera che ridusse di più di un terzo tutta la popolazione europea. E’ questa la cornice terrificante in cui si svolge A Plague Tale, la stessa del Decameron di Boccaccio, dove dieci giovani si rifugiano in campagna fuggendo da Firenze proprio per evitare i pericoli del contagio.

 

Anche i protagonisti di A Plague Tale sono in fuga, ma non hanno tempo di raccontarsi novelle esemplari almeno fino a metà del gioco, quando troveranno un illusorio rifugio; essi sono inseguiti dagli odiosi sgherri della Santa Inquisizione e perseguitati da branchi iperbolici di ratti famelici e infetti.

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L’ARCADIA INFRANTA

Sono sufficienti pochi minuti per innamorarsi di A Plague Tale Innocence, osservando la quattordicenne Amicia senza sentire urgenza alcuna di proseguire nel gioco, e componendo meravigliosi piani fissi con la sua figura e il bucolico panorama nel quale è calata, quadri elettronici che a seconda della luce, oppure della propria immaginazione, possono sembrare un dipinto di Jan Van Eick oppure di Claude Monet.

 

Sarà tuttavia inevitabile andare avanti, distruggere questa fragile arcadia nella quale inizialmente ci cala il gioco e addentrarsi infine nella selva, tra le cui ombre avremo il primo sentore dell’imminente tragedia e dell’avvento dell’orrore.

 

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Così tutto degenera e Amicia sarà costretta a vivere una spaventosa epopea dell’orrore con suo fratello Hugo, di appena cinque anni. Eppure c’è sempre bellezza in A Plague Tale, nei suoi laghetti battuti dalla pioggia o grigi della luce del crepuscolo, nei suoi boschi ameni, nei suoi villaggi, nelle sue austere cattedrali o ombrose biblioteche.

 

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Ma è una bellezza destinata a estinguersi, a perdere il suo lucore paesaggistico, deturpata dagli impressionanti e verminosi milioni di topi che la deturpano fino alla sua assoluta negazione. Ci sono scenari già brutti a priori sebbene sempre suggestivi e ispirati nella loro composizione, come i campi di battaglia dove giacciono centinaia di soldati morti, cittadine divenute cimiteri a cielo aperto, fattorie laddove muraglie di suini morti formano bestiali mura cadaveriche, ma sono proprio i luoghi ameni la seconda vittima della piaga dopo gli esseri umani. E l’innocenza citata nel titolo può essere proprio quella perduta di un’arcadia campestre, quella di un paesaggio che non è solo panorama scenografico ma interiore e soggetto quindi a mutare con la psiche sempre più afflitta dei protagonisti.

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IL GIOCO DELLA PESTE E DELLE CORRISPONDENZE

Sebbene le dinamiche ludiche di A Plague Tale non siano rivoluzionarie e neppure sofisticate come la sua messa in scena (e la suggestiva colonna sonora composta da Oliviere Deriviere) , risultano funzionali e divertenti per le circa quindici ore sufficienti a terminare il gioco. Salvo un’unica eccezione controlliamo sempre Amicia che è perlopiù costretta a tenere la mano del piccolo Hugo.

 

Dobbiamo celarci alla vista dei nemici inquisitori, insopportabili, violenti e meschini quasi più dei nazisti di Wolfenstein, distrarli con qualche espediente finché ad un certo punto potremo scegliere di ucciderli con un colpo della frombola, fidata arma della ragazza (e in modi ancora più grandguignoleschi).

 

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Tutto ciò potrebbe risultare ripetitivo se gli autori non avessero implementato continue nuove possibilità d’azione fino alla fine del gioco, tramite l’utilizzo di composti alchemici dalle varie possibilità e altre trovate sorprendenti che è saggio non rivelare. Inoltre ci sono i branchi di ratti dai quali non farsi divorare e con questi dobbiamo utilizzare fuochi e luci, per crearci un percorso tra il rosicante sciame, attività frequente ma sempre disturbante e motore di suspense e ribrezzo.

 

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Sembra di ritrovarsi in una versione realistica e assai più violenta di Ico di Fumito Ueda e in The Last of Us combinati in un composto che potrebbe risultare volatile, ma non lo è affatto. Oltre alla pittura, all’architettura e alla storia del videogioco ci sono tanti riferimenti al cinema in A Plague Tale, a partire dai ratti che ci ricordano quelli del finale del Nosferatu di Werner Herzog, le nebbie e gli strumenti di tortura del Poe di Roger Corman, la sublime fissità poetica e i colori di Lancillotto e Ginevra di Robert Bresson. E’ impossibile inoltre non pensare ai romanzi di James Herbert sui ratti, come i Topi e  L’Orrenda Tana.

 

VIDEOGIOCO ESEMPLARE

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L’importanza di A Plague Tale: Innocence non è solo artistica o ludica e il valore risiede anche nel suo modello produttivo che dimostra come si possano realizzare grandi opere elettroniche al passo con le attuali tecnologie senza budget milionari di matrice hollywoodiana, fatto già d’altronde dimostrato da un altro capolavoro come Hellblade Senua’s Sacrifice dei Ninja Theory. C’è davvero bisogno di opere della tipologia di A Plague Tale e di team di creativi ambiziosi, innamorati del loro lavoro e ispirati affinché il videogioco inteso come opera non si estingua nella banalità (forse inevitabile) di quello concepito come servizio.  

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