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DAGOGAMES BY FEDERICO ERCOLE – “CONTROL” È UN’ESPERIENZA ADRENALINICA E RIFLESSIVA, APPASSIONANTE E TALVOLTA INCOMPRENSIBILE TRA STEPHEN KING, CLIFFORD SIMAK E DAVID LYNCH, UN VIAGGIO ASTRATTO NEGLI ORRORI DELL’ALTROVE MA NEL CONTEMPO CONCRETO PROPRIO PER COME LO SI GIOCA, RAZIONALIZZANDO L’IRRAZIONALE CON L’UNICO CONTROLLO POSSIBILE, QUELLO SULLA PROTAGONISTA – VIDEO

 

 

CONTROL

Federico Ercole per Dagospia

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C’è un grande palazzo dalle grigie forme severe di cemento armato, senza finestre, un incubo architettonico labirintico come ogni inferno burocratico che ricordandoci certe costruzioni incantate nel mondo di Harry Potter si mimetizza tra un edificio e l’altro, sfuggendo alla vista dei passanti ignari e restando visibile solo da chi lavora al suo interno.

 

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Si tratta della sede del Federal Bureau of Control, agenzia governativa che lavora sul fronte del paranormale e del sovrannaturale da questo austero luogo speciale, uno spazio laddove si aprono altri spazi alieni da diverse dimensioni dell’essere, qui studiate, osservate, mantenute entro il loro limite. Ma non c’è controllo alcuno sull’altrove e tutto precipita nel caos e nella morte. Si tratta della premessa narrativa affascinante ma non certo originale (potremmo pensare erroneamente) di Control, il nuovo gioco di Remedy, già responsabile di Max Payne, Alan Wake e Quantum Break.

 

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I maestri del racconto diffuso nel videogioco, dissimulato nelle dinamiche ludiche e nello spazio virtuale come lo sfuggente palazzo dell’FBC, partono quindi da un tappeto narrativo trito per costruire invece un “romanzo interattivo” che ridefinisce la letteratura sul paranormale, permanendo nei reami della fantascienza ma contaminando l’argomento con riflessioni sociologiche, psicanalitiche, antropologiche e politiche.

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Control, per Playstation 4, Xbox One e PC è un’esperienza adrenalinica e riflessiva, appassionante e talvolta incomprensibile tra Stephen King, Clifford Simak e David Lynch, un viaggio astratto negli orrori dell’altrove ma nel contempo concreto proprio per come lo si gioca, razionalizzando l’irrazionale con l’unico controllo possibile, quello sulla protagonista.

 

“LE LEGGENDE METROPOLITANE NON SONO STORIE PER BAMBINI MA REALTA’ PARANATURALI IN ATTESA DI AVVENIRE”

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Giochiamo nella mente e nel corpo di Jesse Faden, sensitiva e potente in ogni forma di psicocinesi dopo i traumatici eventi della sua infanzia. Controllando questa donna così seria e triste, bella di una bellezza finalmente non convenzionale, dovremmo riportare il controllo all’interno dell’opprimente edificio dell’FBC dove si è insediata una manifestazione paranormale senziente e predatoria proveniente da chissà quale dimensione astrale. Jesse chiama questo orrore “Hiss”, il suono di un serpente o di un coltello che sta per affondarti nella schiena, e lo percepiamo come un nefasto, continuo mormorio di voci.

 

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L’Hiss possiede gli agenti dell’FBC, trasformandoli in assassini, deformandoli in ombre senza più alcuna umanità. C’è molta azione in Control e i combattimenti risultano lunghi e impegnativi ma non noiosi, a causa dei poteri oltre-umani che Jesse acquista progredendo nel gioco: spariamo con una pistola metafisica dalla forma cangiante,  proiettiamo energia cinetica, ci impossessiamo dei nemici, levitiamo e ci teletrasportiamo in un battito di ciglia, dominiamo gli oggetti lanciandoli come proiettili. Se l’esplorazione non fosse così importante nel videogame di Remedy potremmo illuderci di stare giocando “solo” un bizzarro sparatutto in terza persona.

 

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Ma non è così perché viaggiando attraverso il gigantesco edificio il racconto prosegue con una narrazione multiforme che fornisce energia all’esperienza, motivandoci, appassionandoci. Ci sono decine di documenti da leggere dal fascino estremo e dall’indubbia originalità, diversi video da visionare e messaggi vocali da ascoltare, l’interazione con altri personaggi. l’equilibrio tra azione, visione e narrazione è geometrico, per gli argomenti trattati favolosamente non-euclideo.

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SPIRALI

Gli spazi di Control sono claustrofobici, anche quando maestosi, e sempre alterati in forme spaventose e nel contempo magnifiche. Non vediamo mai il cielo se non quello “inguardabile” dell’aliena dimensione astrale che con le sue marmoree forme cubiche è assai simile alla rappresentazione dall’altrove nel quale precipitiamo nel recente Astral Chain di Platinum Games, sebbene quest’ultima tenda al rosso e sembri più organica.

 

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Non c’è tuttavia alcun senso di fatica -se non quello di una oppressione calcolata ad arte dagli sviluppatori per coinvolgere le emozioni del giocatore- nel navigare questi luoghi chiusi o motivo di agorafobia, illuminati da accecanti luci artificiali o ombrosi, perché questi tendono a trasformarsi, a rivelare nuovi spazi, ad avvolgersi in spirali di strani minerali. C’è quasi sempre una spirale in Control, la più inquietante, significativa e presente è una variazione metallica e dentata di quella di Marcel Duchamp, ipnotica nella sua ferrea ripetizione di movimenti sferici.

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STATI DI ALLUCINAZIONE

Control è il gioco più libero, non contenuto quindi sfrenato di Remedy, realizzazione delle già valide idee ludiche e narrative esplose in Alan Wake e Quantum Break. Non si tratta di un’opera sperimentale proprio perché gli esperimenti lanciati nei due precedenti lavori hanno funzionato portando alla straordinaria contaminazione di Control.

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Senza l’esigenza di razionalizzare ogni aspetto della narrazione e della messa in scena per soddisfare un pubblico assuefatto alla convenzione della “spiegazione” di un testo invece che alla sua interpretazione, i Remedy hanno scritto una storia sempre intrecciata al gioco, che non lo sospende mai risultando integrata anche quando ci capita di leggere un lungo, criptico documento o navighiamo i menù.

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Da giocare con lentezza, senza correre troppo fin quando è possibile, per rivelare i segreti nei segreti, atterrirci di fronte ad un ignoto incommensurabile e infine scoprire l’umano in uno spazio disumano.

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