Federico Ercole per Dagospia
Fissare la grave maestà dell’orrore, una visione raccapricciante che non nega il ludibrio, quasi colpevole, di un piacere estetico; la contemplazione dell’arte e insieme la repulsione disgustata della sua forma che coincidono in un sentimento rotto di rifiuto e piacere, di fatica e desiderio; succede quando il brutto coincide con la bellezza, l’oscenità con il sublime, lo sgomento con la meraviglia. Ecco dunque Scorn, disponibile sul Game Pass di Microsoft per le Serie Xbox e per PC, una grottesca e affascinante, macabra bizzarria il cui sviluppo si è protratto per otto anni, risultando infine in un’esperienza che appaga tanto quanto deprime.
Quest’opera della serba Ebb Software, quasi indefinibile come certe abominazioni di Lovecraft, è ispirata in maniera evidente e dichiarata alla magnifica arte sensuale e ripugnante di HR Giger (conosciuto dai più per alcune sue invenzioni che diedero vita all’Alien di Ridley Scott e a certi suoi panorami) ma vi si ritrovano le terre rosse, desertiche e desolate di Zdzislaw Beksinki (pittore polacco già omaggiato nell’incompreso The Medium), il simbolismo da incubo di Alfred Kubin e allusioni a Friedrich e Bosch, la cui arte ispirò senza dubbio i suddetti.
Si tratta di ricordi artistici saldati con traumatica coerenza come la carne e l’acciaio in Tetsuo di Shinya Tsukamoto. Ci sono anche tracce di Francis Bacon, nella forma di mostriciattoli sferiformi di pus cristallino, ci fa notare Giulia Martino su Everyeye, più precisamente da Figures at the Base of a Crucifixion, la versione del 1944.
Si tratta di un videogioco, perché dopo due ore di indimenticabile ed enigmatica “promenade” museale lo diventa fin troppo, che risulta difficile se non impossibile consigliare ad un pubblico troppo sensibile per i sentimenti di angoscia e raccapriccio che muove, ma irrinunciabile per chi ama un’arte del disagio e un orrore inteso come “stimmung” e non come “horror”. Insomma lo odierete o lo amerete alla (e con) follia, diventando Scorn, per le poche ore della sua esperienza, qualcosa che lascerà a lungo il suo segno doloroso e illuminante.
CARNI, UMORI, OSSA E METALLI
Ci ritroviamo vomitati tra “architetture del perturbante” e con nessuna indicazione su cosa fare, muovendoci nello spazio con lo sguardo in prima persona della soggettiva. Per lasciare questi primi luoghi dovremo risolvere un oscuro e disgustoso enigma che si concluderà in un truce sacrificio. Poi vagheremo per una marziana landa scarlatta, con lentezza ricercata, osservando i panorami con l’attitudine di chi visiti solingo la mostra di un artista geniale, perverso e sconosciuto. Poi tutto cambia, sebbene sia mantenuta la celebrale attività enigmistica, perché cominciano ad arrivare strani nemici e ci impadroniamo di armi tecno-biologiche.
Scorn non cede nello “sparatutto” ma ammicca con un certo crudele successo alle dinamiche del “survival horror”, quindi pochissimi proiettili e nemici che ci possono annichilire con pochi sputi di bava/sperma acido. Sono segmenti, non troppo frequenti ma impegnativi, che distraggono dalla contemplazione e risultano ostici fino alla frustrazione, tuttavia una volta superati questi con successo, il giocatore realizza che hanno contribuito ad esaltare il malessere diffuso da tutta l’opera.
Probabilmente, senza la possibilità di sparare (o sputare, vomitare, eiaculare) nemmeno un proiettile, Scorn non avrebbe potuto esistere e dispiace, anche se è da ribadire che tutto ciò non intacca il valore artistico del videogame; ma è inevitabile domandarsi se non sarebbe stato ancora più giusto e potente se fosse stato inteso come una specie di “Journey” capovolto e senza nulla di consolante.
SESSUALITÀ SENZA SENSUALITÀ
Sebbene la superficie, il ricordo e l’assimilazione dell’arte di HR Giger siano restituiti da Scorn in maniera profonda e ammirevole, vi manca tuttavia la sensualità così evidente, persino vitale anche quando più funerea, di tante opere del compianto artista svizzero. Ci sono più che innumerevoli allusioni sessuali in Scorn, ma senza la grazia oscena di Giger, qui cadaveriche, addirittura necrofile. Una scelta che comunque si adegua alla narrazione ermetica di Scorn e che non ris
ulta criticabile, fino al finale con le sue clamorose metamorfosi e allusioni. Ci sono ovunque peni e vagine mostruose, la loro fusione in forme altre, penetrazioni e schizzi di liquidi, in una negazione dell’ebbrezza di un erotismo e nell’accettazione distaccata di uno sguardo o di una pratica chirurgica con gli strumenti di Dead Ringers di David Cronenberg.
Scorn è un videogame da giocare consapevoli di ciò che significa e dell’esperienza emotiva che comporterà, tentando di dissociare l’emozione dalla contemplazione e dall’azione, anche se è inevitabile fallire e sprofondare nell’abisso deprimente e orripilante che propone allo sguardo e alla mente. Ma in questo fallimento c’è la grandezza di Scorn, il permanere e prevalere del suo ricordo grave e della sua contorta bellezza che suggerisce dopo l’angoscia un desiderio di sapere, un ritorno alle opere che l’hanno ispirato in un gioco di corrispondenze che va oltre il gioco, diventando volontà di conoscenza.
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