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DAGOGAMES BY FEDERICO ERCOLE - LA SPINOSA MERAVIGLIA DEI FRATELLI MOLENHAUER, ''CUPHEAD'', È ARRIVATA SU NINTENDO SWITCH, E LA PRIMORDIALE DIFFICOLTÀ DI TANTI GIOCHI GIAPPONESI DEGLI ANNI ’80 E LA COMICITÀ SPESSO CRUDELE, TALVOLTA MACABRA DELL’ANIMAZIONE AMERICANA DEGLI ANNI ’30 SI TROVANO A CORRISPONDERE RIVELANDO STRANE MA ILLUMINANTI AFFINITÀ. DISEGNATO CON UN’ARTE COSÌ ACCATTIVANTE CHE LO RENDE DESIDERABILE ANCHE E SOPRATTUTTO QUANDO CONTINUA A SCONFIGGERCI

 

 

CUPHEAD

Federico Ercole per Dagospia

 

La spinosa meraviglia dei fratelli Moldenhauer è arrivata su Nintendo Switch, un videogame nel quale la primordiale difficoltà di tanti giochi giapponesi degli anni ’80 e la comicità spesso crudele, talvolta macabra dell’animazione americana degli anni ’30 si trovano a corrispondere rivelando strane ma illuminanti affinità, che connettono i primordi dei cartoni animati con quelli dell’intrattenimento elettronico.

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Cuphead è un incubo per le dita e per gli occhi, se non fosse nel contempo così ammirabile nella classicità sfrontata, quasi rimossa dall’immaginario collettivo durante un’era di produzioni animate per lo più addomesticate da ossessioni educative e politicamente corrette, che ripristina il “gotico americano” della Walt Disney di Hell’s Bells, de La Casa Stregata o de La Danza degli Scheletri, tutti del 1929.

 

Se dunque sia l’estetica cartoonistica di riferimento che le spietate dinamiche ludiche di Cuphead possono in superficie apparirci materia obsoleta, oppure un astuto omaggio per una nicchia di nostalgici, gli autori di quest’opera così contro-tendenza dimostrano il contrario: l’inestinto valore artistico e stilistico dell’animazione degli anni ’30 e la validità giocosa, punitiva ma gratificante, dei videogame di un tempo.

 

MAI SCOMMETERE CON IL DIAVOLO

Sull’isola Calamaio due fratelli con la testa a a forma di tazza, Cuphead e Mugman, sbancano un casinò ma infine sono sconfitti ai dadi, giocando contro il diavolo un’ultima, fatale partita, perdendo così la propria anima. Ma a Satana piace fare patti, quindi propone ai fratelli di andare a recuperare le anime di tutti gli isolani che già la vendettero, se i due riusciranno nell’impresa, nel tempo di un giorno, saranno salvi. 

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Sono queste le mefistofeliche premesse narrative di Cuphead, che dopo un breve tutorial ci precipita in un’azione dal moto perpetuo, una sfida che metterà in crisi il giocatore che si pasce nella modernità del videogioco o è abituato “solo” alle difficoltà imposte da Hideataka Miyazaki di Dark Souls, Bloodborne e Sekiro, così diverse da quelle dell’opera in questione ma,  in una loro filosofica maniera, educative per l’atteggiamento mentale e la pazienza necessari per affrontare ostiche imprese elettroniche.

 

Disegnato con un’arte così accattivante che lo rende desiderabile anche e soprattutto quando continua a sconfiggerci, perchè è inevitabile desiderare di scoprire quale altra invenzione estetica ci proporrano i suoi autori, Cuphead possiede l’anima di uno sparatutto bidimensionale a scorrimento, con alcuni elementi, non troppi, del gioco di piattaforma. Il cuore dell’esperienza non è tuttavia l’esplorazione dei livelli, che non sono molti, sebbene anche questi siano pensati per metterci in difficoltà mentre nel contempo lusingano il nostro sguardo con le loro strabilianti invenzioni, ma lo scontro con i “boss”, tanti, stupefacenti e vari.  

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Combatteremo contro granchi e  aragoste giganti che ad un certo punto si trasformeranno in un abnorme registratore di cassa all’interno di un fumoso locale di ristorazione; patate, cipolle e carote mostruose e aggressive; gommose gelatine con velleità pugilistiche che continuano ad attaccarci anche quando sotto una lapide funeraria; fiori come gangster di un vecchio noir che sparano semi metamorfizzandosi in mitragliatrici vegetali. E poi draghi, clown e orripilanti prime donne. Nel sembiante di questi indimenticabili nemici e nei loro nomi troviamo soprattutto reminiscenze delle Silly Simphonies disenyane o dei primi Looney Tunes, ma non solo, ci sono occasionalmente ricordi estrapolati anche dalla storia più o meno recente del videogioco.

 

SBAGLIA E IMPARA (A MEMORIA)

L’atteggiamento ideale per sconfiggere Cuphead è quello di non affrontarlo con presupponenza, convinti della propria bravura, perchè così il giocatore presuntuoso sarà inevitabilmente umiliato e probabilmente non si divertirà nemmeno, un peccato, perchè Cuphead è soprattutto divertimento puro, addirittura spasso esilarante.

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Rinunciate quindi a ogni forma di boria e vanagloria e mantenete un atteggiamento modesto e rispettoso anche se vi considerate campioni del videogioco, perchè Cuphead è una “livella”, un gioco democratico nella sua durezza che ci trasforma in giocatori tutti uguali, pronti ad intraprendere un percorso di formazione, sconfitta e vittoria pressochè identico. Può essere un poco avvantaggiato, ma davvero poco, chi ha una consuetudine ancora oggi con i videogame al quale Cuphead si è ispirato, ma non troppo perchè possiede il suo linguaggio unico e anche se siete fortissimi a Contra o Ghouls & Ghosts, dovrete impararlo.

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In Cuphead è necessario sbagliare più volte, e fa parte del diletto, per memorizzare ogni passaggio, percorso, movimento e attacco. La memoria vivisa è il nostro più grande alleato e dopo un certo numero di tentativi  supereremo momenti ludici dapprima indecifrabili con la facilità istintiva di chi li ha decodificati e interiorizzati.  Grazie ad una colonna sonora strepitosa di musica jazz e ragtime, si può inoltre dominare la ritmica solo illusoriamente schizofrenica di Cuphead, adeguando il tempo musicale a quello dell’azione.

 

Ottima  conversione per Switch dall’originale per Xbox One, ma la console Nintendo sembra davvero la sua sede ideale, Cuphead è un gioco indimenticabile e un’opera esemplare, poichè nata fondamentalmente dal sogno, dalla passione e dal lavoro di due sole persone e degli altri pochissimi membri del loro team. Ibrido crudele, chimerico e grandioso tra i magnifici primordi del cinema animato americano e quelli del videogioco ancora giovane. 

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