Video di Veronica Del Soldà
Foto di Luciano Di Bacco
Francesco Persili per Dagospia
«Perché siete così choosy verso Monti?» Se lo chiede Giuliano Ferrara nel bel mezzo della conversazione con Eu-Genio Scalfari e Polito El Drito intorno al pamphlet di Franco Debenedetti (Il peccato del Professor Monti, Marsilio).
Una specie di viaggio al termine del governo tecnico che raduna nel salottino letterario di piazza Margana, tra gli altri, il grande Mughini e il Divino Arbasino, Adriano Sofri e Jas Gawronski, l'ex presidente Rai, Claudio Petruccioli e Luisa Todini, consigliere di viale Mazzini.
Scalfari e De BenedettiA moderare l'incontro si rivede Monica Maggioni, direttore di Rainews, passata nel giro di pochi mesi dall'adrenalina per la conduzione della sfida tv Bersani-Renzi al ron ron delle vecchie abitudini assembleari (il copyright è di Polito) tra venerati maestri e addetti ai livori. Nel suo libro l'ex senatore Ds muove dalla preoccupazione per il tentativo da parte del premier uscente di «cambiare radicalmente il discorso politico oltre la tradizionale distinzione tra destra e sinistra».
PubblicoL'eterodossia montiana nasce, quindi, dalla considerazione che il cleveage tra diversi schieramenti sia da fondare «sulla maggiore o minore propensione alle riforme». Affermare il primato di un modello tecnocratico rispetto alla dialettica di parti politiche contrapposte tra loro, con il rischio, in prospettiva, di disperdere ciò che è parte della nostra identità italiana ed europea: sarebbe questo, dunque, il Peccato capitale commesso dal Professore?
Le tesi centrali del libro sull'Europa e sulla formula «carsica» dell'esecutivo tecnico che riemerge con Monti dopo le esperienze Dini e Ciampi, vengono demolite da Scalfari che si rifugia nella memorialistica indugiando sull'incarico conferito da Einaudi a Pella e sulla «proposta Visentini» di governi presieduti sempre da politici ma con ministri e sottosegretari rigorosamente fuori dalle imposizioni dei partiti e dalle lottizzazioni correntizie.
Pubblico Polito Maggioni Scalfari e De BenedettiAnche il riformista Polito prende le distanze dalle premesse debenedettine («L'Europa nasce come progetto elitario e tecnocratico. Ma la polemica sull'euro(buro)crazia è molto datata»). A ridestare dal torpore la sala ci pensa Giuliano Ferrara che inizia a ragionare sugli attacchi a Monti da parte dell'establishment e riconosce al Professore il merito di aver realizzato la riforma delle pensioni «con la quale sono stati messi in sicurezza i conti per i prossimi 50 anni».
Dopo aver caricato a testa bassa sui vertici dell'Inps («gli esodati non esistono se non nella fantasia del capo della struttura più elefantiaca e socialista che ci sia oggi in Italia») e su Confindustria («ente inutile di perdigiorno che scrivono documenti senza sale, né pepe») l'Elefantino discetta sull'operazione politica di Monti che non rientrerebbe nei canoni neocentristi tradizionali («Riccardi, la nuova Dc? Ma se lui e Montezemolo non si sono candidati, c'è solo la Borletti Buitoni..») e ribadisce che sceglierà ancora l'Amore Suo: «Voto Berlusconi, sono berlusconiano per simpatia personale». O per «empatia», ironizza Mughini con riferimento a Empy, il cucciolo adottato in tv da Monti.
PubblicoNel giro di un anno, il Professore passa da salvatore della patria a «fattore di destabilizzazione» per la necessaria dialettica destra-sinistra, come sostiene Scalfari, che rimprovera al premier uscente il fatto di essere venuto meno alla promessa di non ricandidarsi. Secondo Debenedetti, quella di Monti è stata una «bolla di credibilità: ha preso l'Italia in una situazione di grave crisi ed è riuscito a portarla in salvo. Ma non necessariamente chi sa gestire l'emergenza, sa governare anche la normalità».
OratoriIl Paese «avrebbe bisogno di un De Gaulle, ma il modello del Professore è Jean Monnet», artiglia nel libro l'ex senatore Ds. Restano appese come i caciocavalli di Labriola alcune domande cruciali: Basta la propensione alle riforme a definire un'identità? Quali riforme per un Paese in cui la crescita è il problema numero uno dopo quindici anni di stagnazione e cinque di declino, fenomeno unico in tutte le economie avanzate?
Monica MaggioniDebenedetti non auspica il superamento di quel bipolarismo che Michele Salvati definisce «belluino» ma l'evoluzione dei due schieramenti con una sinistra riformista e una destra repubblicana. In punta di metafora: «la commedia è quella giusta ma oggi gli attori sono sbagliati». Titoli di coda.
Adriano Sofri scappa via dribblando le nostre domande («Dagospia? Nemmeno morto»), il ritardatario Philippe Daverio deve far finta di aver orecchiato qualcosa mentre Scalfari non si scompone davanti alle accuse di Pansa sul partito Repubblica e sul «giornale-caserma» («Non lo leggo, ho cessato di interessarmi da tempo a ciò che scrive ma credo che Pansa avrebbe fatto con gioia il direttore di Repubblica...»).
Si ripromette una lettura approfondita del libro, Mughini che, al contrario del Fondatore, confessa di non ritenere Monti un elemento di destabilizzazione per la dialettica destra-sinistra: «Davanti a questo cadavere putrefatto che risponde al nome di Seconda Repubblica, il Professore rappresenta qualcosa di diverso, il tentativo di fare qualcosa di nuovo».
Libro presentatoL'editorialista di Libero ne approfitta, tuttavia, per marcare le distanze dall'esaltazione di una «partizione destra-sinistra che risale all'Ottocento»: «Ma stiamo scherzando? Oggi cosa si può dire "di destra", e cosa, invece, "di sinistra"? Tutte le traiettorie sono confuse, siamo nel casino più totale». È tornato anche il Cav. «Appunto, mi alzo la mattina e non credo a ciò che vedo...». Crede nella rimonta di Berlusconi? «Oddio, mi vuol far passare l'appetito?».