don king

DON KING FA 90: "I MIEI CAPELLI DIRITTI? UNA NOTTE LI HO TROVATI COSÌ. DA QUEL MOMENTO HO CAPITO CHE ERO IN MISSIONE PER CONTO DI DIO" – VITA, RICORDI E CAZZOTTI DEL PIÙ GRANDE ORGANIZZATORE DI BOXE DI TUTTI I TEMPI - "FINITO IN GALERA PER OMICIDIO, DEVE AD ALI LA SUA FOLGORANTE CARRIERA (LA SFIDA LEGGENDARIA CON FOREMAN A KINSHASA, "THE RUMBLE IN THE JUNGLE", E "THE THRILLA IN MANILLA", IL TERZO MATCH FRA ALI E FRAZIER) – LA FAIDA CON TYSON CHE LO HA ACCUSATO DI AVERGLI RUBATO 100 MILIONI DI DOLLARI – HA DETTO DI LUI LARRY HOLMES: “DON KING SEMBRA NERO, VIVE DA BIANCO E PENSA IN VERDE”

Stefano Semeraro Per Specchio – La Stampa

 

don king tyson ali

Per i suoi capelli fulminati e antigravitazionali, da personaggio dei fumetti, Don King ha una spiegazione mistica: «Una notte stavo cercando di prendere sonno, quando ho sentito come un rombo nella testa.

 

Sono corso allo specchio e ho visto che i capelli erano diritti come frecce. Neanche il barbiere, il giorno dopo, è riuscito a farci niente: ogni volta che provava a tagliarli sentiva una scossa. Per me è stato un segnale divino, da quel momento ho capito che ero in missione per conto di Dio».

 

don king ali frazier

I suoi biografi la fanno più semplice, parlano di un pettine e di un po' di lacca, ma guai a rovinare una bella storia con la verità, come raccomandano i vecchi del mestiere.

 

E comunque nel caso Donald King, per tutti Don, il manager di Ali e Frazier, di Foreman e di Tyson, il più grande organizzatore di boxe di tutti i tempi, l'uomo che riuscì a infilare Ali e Foreman nella notte di Kinsasha per The Rumble in the Jungle, il match più famoso della storia - cronaca e leggenda si confondono spontaneamente. Il prossimo agosto compirà novant' anni, da tempo è fuori dal grande giro.

 

A gennaio aveva in programma un paio di mondiali in Florida, perché nonostante l'età biblica Don è lucido, in gamba, teatrale e mistificatore come sempre - ma poi non se ne è fatto niente. Non è però uscito di scena, non ancora. Perché Don non è un tipo che molla. La sua vita non è iniziata esattamente a bordo ring, fra sigari e borse miliardarie, ma per le strade di Cleveland. Negli anni '50, in un'America dove fra neri e bianchi la distanza bruciava sulla pelle ancora più ferocemente di oggi, era nel business delle scommesse illegali.

don king ali 3

 

Prima «runner», galoppino che portava per conto del boss Tony Panzanello i pizzini con quote e puntate, poi allibratore in proprio, nello scantinato di un negozio di dischi in Kinsman Road e in altre «case» sparse per la città. Suo padre era morto quando Don aveva nove anni, caduto in una vasca di acciaio fuso, la madre vendeva torte. Il destino del ragazzo Donald sembrava una scommessa facile, e persa.

 

don king tyson

A ventun anni il primo omicidio: stende a colpi di pistola - nella schiena - Hillary Brown, uno dei tre rapinatori che cercavano di svaligiare una delle sue sale. La corte lo assolve riconoscendogli la legittima difesa, ma nel 1966 ci risiamo. Sam Garrett gli deve seicento dollari e lui per convincerlo a onorare l'impegno lo ammazza di pugni. Letteralmente. L'accusa è omicidio di secondo grado, poi colposo, in totale fanno tre anni e undici mesi di galera al Marion Correctional Intitute, che King non sconta tutti, perché il Governatore gli concede un condono.

 

Don fa le cose sbagliate, ma conosce già le persone giuste. Uscito di prigione, prova a organizzare match di boxe e all'inizio non gli gira benissimo, i suoi pugili perdono quasi sempre.

 

don king tyson

Poi il colpo di genio. Avvicina Muhammad Ali e gli organizza senza chiedere un soldo un incontro benefico in un ospedale di Cleveland. L'aggancio è fatto, la giostra è partita. Siamo a metà degli anni '70, la boxe non è la nicchia molto americana di oggi, con pochi divi stropicciati i cui match viaggiano via cavo.

 

È lo sport del momento e Ali il suo profeta globale. Tutti vorrebbero organizzare la sfida fra Il Più Grande e George Foreman, che detiene il titolo dei massimi dopo la prima sconfitta di Ali con Frazier, ma a riuscirci è King, che scuce i dieci milioni della borsa al dittatore dello Zaire, Mobutu. Il match è in calendario il 30 ottobre del 1974, per settimane King monta lo show perfetto, con Foreman a spasso nella foresta con il suo pastore tedesco e Ali che da Kinshasa arringa il mondo, mentre l'Africa gli chiede di uccidere («Ali Bumaye!») George, il nero cattivo corrotto dall'Occidente.

 

don king 11

Le televisioni impazziscono, intellettuali e vip fanno la gara per esserci. Ali trionfa all'ottavo round, nasce il più bel documentario sportivo di sempre, When We Were Kings, e il re ovviamente è lui, Donald, immortalato nella sua gloria tricotomica fra Ali e Foreman che si guardano in cagnesco. È la consacrazione.

 

Alto un metro e novanta, centoventi chili di peso, con la faccia da gangster, le giacche vistose trapunte di spillette e coccarde e una bandierina americana sempre in mano, King diventa il mammasantissima del ring. In galera, dice, ha studiato i classici, da Omero a Shakespeare, da Socrate a Hegel. Non sempre li usa per la causa migliore, ma la sua dialettica è bulimica, travolgente.

 

Nel 1975 bissa il successo di Kinshasa con The Thrilla in Manilla, il terzo match fra Ali e Frazier, nessuno può più ostacolarlo. Sostiene di essere il paladino della gente nera, ma razzola da bullo. Chi vuole sfidare i suoi pugili - e arriverà ad averne un centinaio sotto contratto - deve firmare una carta con cui in caso di vittoria lo nomina suo procuratore. Niente firma, niente carriera.

 

ali foreman

«Io sono la dimostrazione vivente del sogno americano - spiega, sparando slogan come un rapper - Io sono l'esaltazione di questa grande nazione. Tutto è possibile in America, e solo in America».

 

Le stesse parole che userebbe Rocky Balboa, il signor nessuno diventato stella del ring interpretato da Sylvester Stallone e ispirato da Chuck Wepner, il peso massimo che rischiò di battere Ali in un match del 1975. Ovviamente organizzato da Don King. Dopo i match di Kinsasha e Manila, arrivano le sfide fra Leonard e Duran, dopo Ali e Frazier c'è Larry Holmes, che per King è stato il più grande: «nessuno ha mai tirato il jab come lui».

 

don king mandela

Holmes finirà per mollarlo, ma King è una salamandra, rinasce ad ogni generazione e a fine anni '80 si reincarna nel mito di Mike Tyson, il campione che Don crea e, secondo molti altri, Tyson compreso, distrugge.

 

Una love story fatta di ko e miliardi, di ascolti tv schizzati alle stelle per i match con Holyfield, - quelli del morso all'orecchio - che dopo la caduta e il carcere di Iron Mike si trasforma in una faida giudiziaria.

 

Tyson sostiene che l'organizzatore gli ha rubato cento milioni di dollari, King evita il tribunale e patteggia per quattordici. «Ho scoperto che qualcuno che credevo fosse mio padre, mio fratello, era il vero Zio Tom, il vero traditore», urla Mike. «Ha fatto più male lui ai pugili neri che qualsiasi organizzatore bianco nella storia della boxe. Pensavo fosse il mio fratello nero. È solo un uomo cattivo, che non sa amare nessuno».

 

King sorride, ma non si fa cadere nemmeno un briciolo di cenere dal sigaro, ne esce citando i classici. «C'erano troppi Jago attorno a Mike, gli hanno sussurrato all'orecchio mille bugie, mille falsità. E lo hanno rovinato, convincendolo che ero io il suo nemico. Ma guardate quello che ha fatto con me e quello che ha fatto dopo, e capirete chi sono i suoi veri nemici. Si lamentava: "se parlo male di te mi coprono di soldi, se gliene parlo bene non mi ascoltano". Prendi i soldi Mike, gli ho detto».

CAFE MILANO NUSCHESE DON KING

 

 I pugili passano, King resta. Enorme e inafferrabile, mago della comunicazione, sciamano dell'incasso. «Quando lo intervistavo - racconta Dario Torromeo, l'ultimo grande giornalista-suiveur della boxe in Italia - ascoltava le domande e poi si lanciava in un rap in cui metteva in filo la comunità nera, i grandi scrittori, l'America.

 

Finiva ogni verso con una risata, e immancabilmente mi chiedeva di salutargli Berlusconi. Una volta l'ho visto scolarsi tre quarti di una bottiglia di vodka e ho creduto sarebbe morto durante l'intervista». In cinquant' anni di attività, King ha promosso oltre cinquecento incontri - compresi sette dei dieci più visti in pay-per-view - per un totale di tre miliardi di dollari, intascando cinquecento milioni, più di uno speso per la sua collezione di cinquemila orologi.

 

«Don King sembra nero, vive da bianco e pensa in verde», ha detto di lui Larry Holmes, alludendo al colore dei dollari. «È sempre stato più bravo a promuovere se stesso che i suoi pugili», sostiene l'ex massimo leggero Steve Cunningham, che lo conosce bene avendoci lavorato insieme per quasi dieci anni.

 

Per avvocati non è andato solo con Tyson, ma anche con Ali, Holmes, molti altri. Terry Norris nel 1997 gli ha chiesto settanta milioni di dollari di danni (ottenendone sette e mezzo) come risarcimento per un contratto-capestro, ma nessuno ha avuto una scuderia come la sua.

donald trump, larry holms, don king and mike tyson

 

don king tyson 6

Nel 1999, insieme con il rivale di sempre, l'altro novantenne Bob Arum, ha organizzato l'ultimo grande match del Novecento, Oscar de la Hoya-Felix Trinidad, The Fight of Millennium, a Las Vegas, per la riunificazione dei titoli Wbc e Ibf dei welter. A oggi il suo ultimo evento resta la sfida fra Bermane Stiverne e Deontay Wilder, per il titolo Wbc dei massimi, nel 2015. Mai però darlo per finito. Mentre lui si avvia ai novant' anni, è la boxe a mostrare le rughe più profonde. «Il match tra Ali e Foreman a Kinshasa è stata la cosa più grande che abbia fatto nella mia vita», sostiene. «L'orgoglio del popolo nero. Siamo come il pugilato, usciamo a testa alta dalle guerre che ci fa il mondo. Oggi non ci sono più grandi pesi massimi, e i pugili non sono seri come quelli di un tempo. Vogliono vedersi nei titoli e, quando tu li esalti e ne parli bene, pensano che sia tutto scontato e che non devono metterci niente di loro. Credono che tutto gli piova addosso dal cielo. Io dico: torniamo indietro, alle tradizioni. Restituiamo il pugilato ai grandi personaggi. Solo così riconquisteremo il mondo e vedremo un nuovo Ali». I tempi di Frazier, Foreman, Ali, delle sfide che tenevano alzate di notte tre generazioni, sono finiti. Chissà se rivedremo un personaggio come Don King. Nel frattempo, e con un po' di anticipo, buon compleanno, Mister Boxe.

donald trump con don king e barbara walters

foreman aliali foremanAli si aggira sul ring dopo il ko di George Foreman

 

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni ignazio la russa matteo salvini antonio tajani

DAGOREPORT – LE REGIONALI SONO ANDATE A FINIRE COME NON VOLEVA, SALTELLANDO FUNICULÌ-FUNICULÀ, GIORGIA MELONI: LA "STATISTA DELLA SGARBATELLA", CHE RISCHIA DI NON TORNARE A PALAZZO CHIGI TRA DUE ANNI, ACCELERA SULLA DOPPIETTA PREMIERATO-LEGGE ELETTORALE, MA NON TUTTO FILA LISCIO A PALAZZO CHIGI: SALVINI E TAJANI SPUTERANNO SANGUE PUR DI OPPORSI ALL’INDICAZIONE DEL NOME DEL PREMIER SULLA SCHEDA ELETTORALE, CHE FINIREBBE PER CANNIBALIZZARLI - LA LEGA È CONTRARISSIMA ANCHE AL PREMIO DI MAGGIORANZA ALLA COALIZIONE (CON LA SOGLIA AL 40%, LA LEGA DIVENTEREBBE SACRIFICABILE) – ALTRA ROGNA: IGNAZIO LA RUSSA SCENDE IN CAMPO IN MODALITÀ SCASSA-MELONI: HA RINFOCOLATO LA POLEMICA SU GAROFANI E SE NE FOTTE DEI DIKTAT DELLA DUCETTA (FIDANZA SINDACO DI MILANO? NO, MEJO LUPI; PRANDINI GOVERNATORE DELLA LOMBARDIA? NO, QUELLA È ROBA MIA)

francesco de tommasi marcello viola daniela santanche ignazio leonardo apache la russa davide lacerenza pazzali

DAGOREPORT - CHE FINE HANNO FATTO LE INCHIESTE MILANESI SULLA SANTANCHE', SUL VISPO FIGLIO DI LA RUSSA, SUL BORDELLO DELLA "GINTONERIA" AFFOLLATA DI POLITICI, IMPRENDITORI E MAGISTRATI, OPPURE SULL'OSCURA VENDITA DELLA QUOTA DI MPS DA PARTE DEL GOVERNO A CALTAGIRONE E COMPAGNI? - A TALI ESPLOSIVE INDAGINI, LE CUI SENTENZE DI CONDANNA AVREBBERO AVUTO UN IMMEDIATO E DEVASTANTE RIMBALZO NEI PALAZZI DEL POTERE ROMANO, ORA SI AGGIUNGE IL CASO DEL PM FRANCESCO DE TOMMASI, BOCCIATO DAL CONSIGLIO GIUDIZIARIO MILANESE PER “DIFETTO DEL PREREQUISITO DELL’EQUILIBRIO” NELL’INDAGINE SUL CASO DI ALESSIA PIFFERI – MA GUARDA IL CASO! DE TOMMASI È IL PM DELL’INCHIESTA SUI DOSSIERAGGI DELL’AGENZIA EQUALIZE DI ENRICO PAZZALI, DELICATISSIMA ANCHE PER I RAPPORTI DI PAZZALI CON VERTICI GDF, DIRIGENTI DEL PALAZZO DI GIUSTIZIA MILANESE E 007 DI ROMA - SE IL CSM SPOSASSE IL PARERE NEGATIVO DEL CONSIGLIO GIUDIZIARIO, LA CARRIERA DEL PM SAREBBE FINITA E LE SUE INDAGINI SUGLI SPIONI FINIREBBERO NEL CESTINO - LA PROCURA DI MILANO RETTA DA MARCELLO VIOLA, CON L'ARRIVO DELL'ARMATA BRANCA-MELONI, E' DIVENTATA IL NUOVO ''PORTO DELLE NEBBIE''?

giorgia meloni regionali de luca zaia salvini conte stefani decaro fico

DAGOREPORT: COME SI CAMBIA IN 5 ANNI - PER CAPIRE COME SIA ANDATA DAVVERO, OCCORRE ANALIZZARE I VOTI ASSOLUTI RIMEDIATI DAI PRINCIPALI PARTITI, RISPETTO ALLE REGIONALI DEL 2022 - LA LEGA HA BRUCIATO IL 52% DEI VOTI IN VENETO. NEL 2020 LISTA ZAIA E CARROCCIO AVEVANO OTTENUTO 1,2 MILIONI DI PREFERENZE, QUESTA VOLTA SOLO 607MILA. CONSIDERANDO LE TRE LE REGIONI AL VOTO, SALVINI HA PERSO 732MILA VOTI, IL 47% - TONFO ANCHE PER I 5STELLE: NEL TOTALE DELLE TRE REGIONI HANNO VISTO SFUMARE IL 34% DELLE PREFERENZE OTTENUTE 5 ANNI FA – IL PD TIENE (+8%), FORZA ITALIA IN FORTE CRESCITA (+28,3%), FDI FA BOOM (MA LA TENDENZA IN ASCESA SI È STOPPATA) – I DATI PUBBLICATI DA LUIGI MARATTIN....

luca zaia matteo salvini alberto stefani

DAGOREPORT – DOPO LA VITTORIA DEL CENTRODESTRA IN VENETO, SALVINI NON CITA QUASI MAI LUCA ZAIA NEL SUO DISCORSO - IL “DOGE” SFERZA VANNACCI (“IL GENERALE? IO HO FATTO L'OBIETTORE DI COSCIENZA”) E PROMETTE VENDETTA: “DA OGGI SONO RICANDIDABILE” – I RAS LEGHISTI IN LOMBARDIA S’AGITANO PER L’ACCORDO CON FRATELLI D’ITALIA PER CANDIDARE UN MELONIANO AL PIRELLONE NEL 2028 - RICICCIA CON PREPOTENZA LA “SCISSIONE” SUL MODELLO TEDESCO CDU-CSU: UN PARTITO “DEL TERRITORIO”, PRAGMATICO E MODERATO, E UNO NAZIONALE, ESTREMISTA E VANNACCIZZATO…

luca zaia roberto vannacci matteo salvini

NON HA VINTO SALVINI, HA STRAVINTO ZAIA – IL 36,38% DELLA LEGA IN VENETO È STATO TRAINATO DA OLTRE 200 MILA PREFERENZE PER IL “DOGE”. MA IL CARROCCIO DA SOLO NON AVREBBE COMUNQUE VINTO, COME INVECE CINQUE ANNI FA: ALLE PRECEDENTI REGIONALI LA LISTA ZAIA PRESE DA SOLA IL 44,57% E IL CARROCCIO IL 16,9% - SE SALVINI PIANGE, MELONI NON RIDE: NON È RIUSCITA A PRENDERE PIÙ VOTI DELLA LEGA IN VENETO E IN CAMPANIA È TALLONATA DA FORZA ITALIA (11,93-10,72%). PER SALVINI E TAJANI SARÀ DIFFICILE CONTRASTARE LA RIFORMA ELETTORALE - PER I RIFORMISTI DEL PD SARÀ DURA DARE UN CALCIO A ELLY SCHLEIN, AZZERATE LE AMBIZIONI DI GIUSEPPE CONTE COME CANDIDATO PREMIER - "LA STAMPA": "IL VOTO È LA RIVINCITA DELLA ‘LEGA NORD’ SU QUELLA SOVRANISTA E VANNACCIANA: LA SFIDA IDEOLOGICA DA DESTRA A MELONI NON FUNZIONA. IL PARTITO DEL NORD COSTRINGERÀ SALVINI AD ESSERE MENO ARRENDEVOLE SUI TAVOLI DELLE CANDIDATURE. SUL RESTO È LECITO AVERE DUBBI…”