
È MORTO A 87 ANNI NINO BENVENUTI, EX CAMPIONE DEL MONDO DEI PESI MEDI DI PUGILATO E MEDAGLIA D'ORO ALLE OLIMPIADI DI ROMA DEL 1960: “SONO STATO UN MODESTO PUGILATORE UN PO' CHIACCHIERONE CHE HA AVUTO QUALCHE SUCCESSO" - LE MINACCE DEI TITINI, LA POLEMICA CON MAZZINGHI, L’AMICIZIA CON I RIVALI GRIFFITH ("QUANDO SEPPI CHE ERA OMOMESESSUALE CI RIMASI. CREDEVO CHE GLI OMOSESSUALI FOSSERO SOLO BIANCHI. I NERI NON CE LI VEDEVO") E MONZON, I MESI IN INDIA CON LE SUORE A LAVARE IL CULO AI LEBBROSI - DOPO IL SUICIDIO DEL FIGLIO STEFANO, ACCUSO' LA PRIMA MOGLIE: “I 5 FIGLI CHE HO AVUTO CON LEI, NON LI VEDO, NON LI SENTO, NON MI VOGLIONO PARLARE. LEI ME LI HA MESSI CONTRO. HO NIPOTI CHE NON CONOSCO. ANCHE SE NON SONO STATO UN BUON PADRE, POTREI ANCORA ESSERE UN BUON NONNO" - QUANDO PAPA PAOLO VI ANNULLO' LA SUA VISITA IN VATICANO PERCHE' LUI... VIDEO
(ANSA) - ROMA, 20 MAG - Nino Benvenuti, leggenda dello sport italiano, campione del mondo dei pesi medi di pugilato e medaglia d'oro a Roma '60 è morto. Lo apprende l'ANSA in ambienti sportivi.
BIOGRAFIA DI NINO BENVENUTI
Da www.cinquantamila.it – la storia raccontata da Giorgio Dell’Arti
Nino Benvenuti (Giovanni), nato a Isola d’Istria (Slovenia), il 26 aprile 1938 (87 anni). Ex pugile. Fu medaglia d’oro alle Olimpiadi di Roma (1960), campione del mondo dei medi juniores (1965), campione del mondo dei pesi medi (nel 1967 e poi dal 1968 al 1970). «Il pugile è un bambino forte che pensa di avere il mondo sempre in pugno»
Vita Terzo dei cinque figli di Fernando, un commerciante di pesce di Isola d’Istria • «L’inizio è in salita. Isola d’Istria, dove nasce, viene sballottata da una bandiera all’altra nella tempesta della Seconda Guerra Mondiale fino a diventare Jugoslavia: “Un periodo difficile, ma fummo fortunati. Ci trasferimmo a Trieste, senza vivere il dramma del campo profughi o un pellegrinaggio infinito.
La famiglia è sempre rimasta unita, e posso solo ringraziare Dio per avermi aiutato a scegliere i genitori giusti, due figure fondamentali nel mio cammino”» (Luigi Panella) • «Sono istriano e ne sono orgoglioso. Il mio popolo, la mia gente è sparsa nel mondo ma esiste grazie alla sua tenacia, alla sua dignità che ha sempre conservato in qualsiasi momento. Sono rimasto aggrappato con le unghie e con i denti alla mia terra, finché ho potuto, anche dopo che la mia famiglia si è trasferita a Trieste.
Solo di fronte alle minacce dei titini, nel 1954, sono stato obbligato ad andarmene via. Ma quei primi 16 anni della mia vita, quelli che ho vissuto tra mille difficoltà, perseguitato dalle prepotenze e dalle violenze degli slavi, dai soprusi verso gli italiani, sono stati la mia vera formazione, come uomo e come atleta. Nelle mie vittorie c’era anche quella rabbia che mi portavo dentro, anche se sono sempre salito sul ring da italiano e i valori forti che mi hanno aiutato a sopravvivere in un mondo in cui tutto girava al contrario» (a Francesco Curridori)
• Il piccolo Nino fu spinto alla boxe dal padre: «Mise piede in una palestra per la prima volta a 12 anni. Alto, magro, filiforme, voleva solo irrobustirsi, finì per diventare campione. Il primo maestro Luciano Zorzenon, di professione palombaro, due spalle larghissime, ex dilettante senza pretese, due volte a settimana accompagnava il giovane Nino a Trieste per gli allenamenti nella gloriosa» (Gazzetta dello sport)
• «Il titolo nazionale dei medi è il primo traguardo, mentre l’Italia dei pugni si spacca in due per una rivalità tra Nino e Sandro Mazzinghi che ricorda quella innescata nel ciclismo da Gino Bartali e Fausto Coppi. Si dice che Benvenuti piaccia agli spettatori dal palato raffinato, quelli che privilegiano stile, tecnica ed eleganza, mentre Mazzinghi è uno spericolato guerriero che entusiasma soprattutto chi ama le emozioni forti. Inevitabile che si arrivi a una sfida, programmata il 18 giugno 1965 a San Siro, dove Nino confeziona un capolavoro. Il suo colpo prediletto è il gancio sinistro, ma sul ring milanese è un montante destro, lungamente preparato in allenamento, a stendere al sesto round Mazzinghi, che al rivale consegna il titolo mondiale dei medi junior.
Sconfitto faticosamente Mazzinghi nella rivincita romana di sei mesi dopo, Benvenuti conquista anche il titolo europeo dei medi. Una marcia che sembra inarrestabile si blocca però nel 1966 a Seul, dove il sudcoreano Ki Soo Kim gli infligge il primo insuccesso da “prof”, complice anche una misteriosa rottura delle corde sul ring.
Stanno intanto per arrivare le tre indimenticabili notti di New York, che tengono svegli milioni di italiani, incollati prima alla radio e poi alla tv. Sono le notti in cui Benvenuti affronta per tre volte Emile Griffith, chiudendo il trittico con due vittorie e una sconfitta e riportando definitivamente in Italia il titolo mondiale dei medi» (Mario Gherarducci)
• «Il 17 aprile del 1967 uomini e donne che non avevano mai lasciato l’ombra delle proprie case a Little Italy s’avviarono al Madison per assistere al suo trionfo. C’era una New York di paisà imbandierati attorno al quadrato. Quando fu proclamato campione del mondo, al centro del ring, assieme ai tricolori, sventolavano i fiaschi di Chianti. Era un uomo felice. Continuò ad esserlo sino al momento in cui Monzón, una belva camuffata da picchiatore periferico, non rivelò con un’esplosione di fuoco la sua vera natura. La notte del 7 novembre del 1970 Carlos Monzón gli sparò in faccia un colpo che sembrava il gemello d’una mazzata da baseball.
Dall’esplosione alla discesa definitiva del sipario, trascorse poco tempo. Non si è fatto depennare dalla boxe. Lo guardi, lo ascolti e ti vengono i dubbi. Ma davvero ha abitato lo stesso mestiere di quelli che, appena sentono il din don d’una campana, si mettono in guardia e puntano terrorizzati un inesistente nemico? Proprio lo stesso mestiere.
Ma lui era strepitosamente bravo, un virtuoso della propria conservazione, e il grande traguardo, il titolo di campione del mondo, l’aveva raggiunto, era stampato non nei sogni, ma nella realtà. Aveva conservato la spavalderia per affrontare il secondo atto, quello della quotidianità in abiti borghesi, strizzando l’occhio al suo sinistro e mimando il gancio contro le avversità» (Gianni Ranieri)
• Sulla sconfitta subita da Carlos Monzón nel 1970: «“L’arbitro, mentre Benvenuti si rialza, decreta il fuori combattimento. Poi Nino, veramente in maniera pietosa, non sapremmo come altrimenti definirla, se ne va barcollando per il ring, finisce sulle corde. È una conclusione francamente insospettata”, dice Claudio Ferretti alla radio. Piangono al Palasport, piangono gli emigranti italiani a tredicimila chilometri di distanza.
A Buenos Aires, a Mendoza, a Mar del Plata, a Paranà, fino a raggiungere l’estremo Rio Gallegos. “Viviamo tutti insieme il dramma di Nino Benvenuti fulminato da un destro nel suo angolo nel corso della dodicesima ripresa”, commenta in tv Paolo Rosi. Nino non è solo un pugile, è l’immagine del successo. Bello, intelligente, spigliato nella conversazione, fenomenale sul ring, vincente da dilettante e da professionista. Chi non vorrebbe essere come lui? Adesso però, lui è l’immagine della sconfitta. […] “Monzón saliva sul ring per prendere a pugni la vita, con lui non era stata certo generosa. Credo che la sua brutalità fosse alimentata soprattutto da quella rabbia che, incamerata da bambino, non lo aveva mai abbandonato”, dice Nino Benvenuti» (Dario Tottomeo)
• «Il pugilato è uno sport di confronto personale. Ho avuto un rapporto che non si può dire amichevole con Monzón, ma mi sento soddisfatto di essere stato battuto da uno che penso sia stato un grande, grande, grande campione.
Era un personaggio molto strano, non c’erano possibilità di colloquio, di intesa. Aveva molta stima di me, mi rispettava. Sull’aspetto personale, con me, non si è comportato benissimo. È un carattere così» (a I lunatici di Radio2)
• Nel 1969 recitò nel film western Vivi o preferibilmente morti. «Fare il pugile e al tempo stesso l’attore non è una grande idea. Io accettai per la grande amicizia con Giuliano Gemma, ma conoscevo l’ambiente, mi capitava di frequentare Alain Delon e Jean Paul Belmondo» (a luigi Panella)
• Ultimo match a Montecarlo l’8 maggio 1971: «Nel famoso combattimento contro Monzón, dopo tre riprese di un incontro ancora tutto da vivere, vidi volare sul ring quell’asciugamano che avrebbe decretato una resa definitiva, irreversibile. Non servì che dopo tre secondi avessi calciato il telo in platea.
Quella volta, nemmeno le disperate proteste poterono nulla contro il destino che stava scrivendo l’ultimo capitolo della mia vita di pugile. Forse, ma lo capii più tardi, era giusto che si chiudesse così, nella maniera in cui ho sempre desiderato che finisse. Mai avrei accettato di abbandonare il ring da campione. Mi sarebbe sembrato di evitare l’ultimo sfidante per paura di perdere. Fu così che quella notte, a Montecarlo, finì la mia carriera di pugile. Se avessi rifiutato di incontrare Monzon, la prima volta a Roma e poi a Montecarlo, avrei potuto continuare ancora. Sì, certo, ma per quanto tempo e con quale spirito, sapendo di aver evitato il migliore?»
• «Quando seppi che Griffith era omomesessuale ci rimasi. Credevo che gli omosessuali fossero solo bianchi. I neri non ce li vedevo, per le loro fattezze, i movimenti...»
• Nel 1992 fu ammesso nell’International Boxing Hall of Fame • Negli ultimi anni è stato commentatore televisivo.
Amori Prime nozze con Giuliana Fonzari, da cui ha avuto quattro figli e con cui ha adottato una bambina tunisina. Nel 1998, dopo il divorzio, il secondo matrimonio con Nadia Bertorello, da cui aveva avuto già una figlia. A celebrare le nozze Gianfranco Fini
• «Si muove nel presente cercando sempre lo sguardo di Nadia Bertorello, che è sua moglie dal 1998. Nel 1967, si erano amati e lasciati: lei era Miss Emilia, lui era sposato, era padre, scelse la famiglia. Come sia cominciata, finita, ricominciata, non l’hanno mai raccontato. Benvenuti ora dice “ricordarlo non mi fa onore” e allunga una mano ad accarezzare Nadia dall’altro lato del tavolo della trattoria romana dove stiamo pranzando. Che Italia era quella in cui vi siete innamorati? “Bigotta. Intrisa di moralismo. Essere un campione significava anche essere un marito esemplare, pena perdere il mio pubblico”. Eppure, lei perse la testa per Nadia. “Mi ero sposato troppo giovane.
Con l’arrivo del successo, io e mia moglie Giuliana ci scoprimmo diversi. A lei piaceva spendere, a me il lusso sembrava una mancanza di rispetto verso i tifosi, gente semplice uscita dalla guerra.
Litigavamo al punto che, una notte, uscii dall’Hotel Sporting di Roma e dormii ai giardini di Villa Glori, e la sera stessa avevo un incontro con Gaspar Ortega. Conobbi Nadia nell’estate del 1967, stavo preparando il secondo match americano con Griffith, c’innamorammo”.
Passa poco e Paolo VI annulla la sua prevista visita in Vaticano. “Ero su tutti i giornali, si era scatenato l’inferno. Ero l’uomo che aveva conquistato l’America, patria del pugilato, portandosi dietro sei charter di tifosi, con 16 o forse 18 milioni di italiani svegli di notte a seguire la radiocronaca. Era considerato blasfemo che mi comportassi da pubblico peccatore”.
E a quel secondo incontro della sua trilogia contro Griffith, perse clamorosamente e tutti diedero la colpa a Nadia. “I giornali riportarono invenzioni assurde, come quella che ero stato sconfitto per via di una costola rotta in un incidente con lei. È vero che avevo una costola incrinata e una mano rotta, ma mi ero fatto male allenandomi. Quanto a Nadia, ci amavamo e convocai una conferenza stampa per il 31 dicembre, deciso ad annunciare che lasciavo mia moglie”.
nino benvenuti Teresa Iuzzolini
Invece, annunciò che restava con sua moglie. “Per Nadia fu un colpo. Mi aspettava a Montecatini, dove partecipava a un evento con Pippo Baudo, ma non arrivai mai”. Cos’era successo? “Che sono sempre stato più bravo sul ring che nella vita. Attorno a me, girava un universo di contratti, soldi, cose che erano sotto il controllo di mia moglie. Ebbi paura. Deve pensare che vivevo isolato da tutto, protetto dal cosiddetto entourage, e lei minacciava di non farmi vedere più i figli. C’era tutto questo, ma non ho scuse, ho sbagliato e basta”. Nadia era incinta. “Non ci sentimmo, non ci parlammo, non ci chiarimmo. So che mia moglie le offrì di tenere con noi la bambina e che Nadia non volle e se ne andò in Francia dal fratello. Partorì Nathalie, che non vidi mai, finché non mi cercò, nell’88. Era stata cresciuta con intelligenza, sua madre non le aveva mai parlato male di me. All’inizio, non voleva neanche farsi riconoscere”. Quando e come lei si decide a tornare da Nadia? “Dopo la separazione, ebbi una lunga relazione con una diplomatica argentina, poi ci lasciammo e, un giorno, mi presentai nella boutique di proprietà di Nadia”. (Qui, lui si commuove e interviene lei. Racconta: “Entrò ridendo e scherzando, come se non fosse sparito per trent’anni. Poi, tornò ancora e mi resi conto che avevo dimenticato tutti i brutti ricordi. Ci siamo sposati poco dopo”). Benvenuti, la amava ancora? “Non avrei mai dovuto lasciarla. E a volte penso che, se avessi avuto una vita sentimentale più serena, sarei rimasto campione per cent’anni”» (Candida Morvillo).
nino benvenuti giuliana fonzari
Religione «Prima di salire sul ring io parlavo con mia madre, perché sapevo che soffriva per il mio incontro imminente. Volevo rasserenarla, era una madre con la M maiuscola. Era straordinaria. Anche quando se ne è andata, è rimasta parte importante della mia potenzialità pugilistica. Mi faceva sentire tranquillo, mi dava energie che andavano oltre alla palestra, agli allenamenti, alle difficoltà di un incontro. Sono nato fortunato. Mi sono reso conto che mia madre mi seguiva e io la interpellavo. E lei mi era vicina, sempre. Anche da lassù. Sono un credente, un cristiano, cattolico. Ho goduto di quelle cose che altri non possono avere anche perché non tutti hanno ricevuto la mia educazione. Mi sono scelto i genitori giusti» (a I lunatici di Radio2).
Politica «Io sono sempre stato coerente. Non potevo essere di sinistra, per un semplice motivo. Avevo tutto, non c’era in me la voglia di rivendicare assolutamente nulla» (a Luigi Panella).
Critica «È stato l’uomo dei sogni e chi l’ha visto all’opera proprio non se lo può dimenticare. Bello, elegante, luminoso, etereo, charmant dentro e fuori dal ring, dava l’impressione di danzare sull’aria, un dio caduto sulla terra, perfetto per affascinare e per dare la scossa al cuore del pubblico tra pugni, emozioni, flirt, copertine delle riviste glamour, vittorie fantastiche e sconfitte micidiali. Nessuno è stato amato quanto lui» (Marco De Martino) • «Sapeva picchiare. Il jab sinistro era il baricentro della sua boxe, ma il gancio sinistro e il montante destro erano le armi con cui poteva risolvere un incontro con un colpo solo, una qualità rara» (Rino Tommasi).
nino benvenuti e sandro mazzinghi
Teresa Iuzzolini nino benvenuti
SANDRO MAZZINGHI E NINO BENVENUTI
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nino benvenuti foto di bacco (2)
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