
“LA NUOVA GENERAZIONE? UN PO' ARROGANTE” – FABIO FOGNINI RACCONTA IL SUO ADDIO AL TENNIS: "SONO STATO DUE GIORNI AL BUIO, POI L’HO DETTO A MIA MOGLIE, FLAVIA PENNETTA" - "SONO STATO UN RAGAZZO RIBELLE MA SPERO DI NON ESSERE RICORDATO PER LE RACCHETTE ROTTE. NON SONO MAI STATO UN SANTO MA HO SEMPRE FATTO DEL MALE SOLO A ME STESSO" - "LA COPPA DAVIS? AVREI MERITATO DI VINCERLA MA NON È SUCCESSO IL CONSIGLIO DI FEDERER" - IL BILANCIO DELLA CARRIERA (“SONO ARRIVATO IN PUNTA DI PIEDI, ME NE SONO ANDATO A TESTA ALTA”) E L’IPOTESI “BALLANDO”: “POTREBBE ESSERE UNA BELLA SFIDA” – LA SBROCCATA STRACULT: VIDEO
Gaia Piccardi per il “Corriere della Sera” - Estratti
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Fabio Fognini, 38 anni, numero 9 della classifica mondiale nell’estate del lontano 2019, quando Jannik era ancora minorenne, è il campione nostrano che al primo turno del torneo più prestigioso ha spettinato il prato del fuoriclasse, Carlos Alcaraz, tenuto in campo quattro ore e mezza, meritandosi una pioggia di complimenti dallo sport che ha amato e a volte odiato, come Andrè Agassi però senza il padre-orco e la macchina sparapalle, rimanendone inesorabilmente sedotto.
Non si è ritirato quel giorno, Fabio. È rientrato a casa, dalla moglie ex tennista Flavia (Pennetta) e dai tre figli (Federico, 8 anni, Farah, 5, e Flaminia, 3), si è riunito con se stesso, l’unico capufficio da cui in carriera ha accettato ordini.
«Due giorni al buio, in silenzio, con la tv spenta — racconta —. Flavia lavorava in tv, i bimbi erano con i nonni. Ho preso una birretta con Fabio Fognini e gli ho detto che basta, il corpo non ne poteva più: era ora di smettere».
Come si capisce quando è arrivato il momento giusto?
«Alla mia età venivo da anni durissimi, in cui recuperare dagli infortuni era diventata un’impresa. Ci stavo pensando da tempo: era nell’aria. Ma siccome sono un tipo molto competitivo, non volevo mollare l’adrenalina. A costo di avere insopportabili dolori ai piedi. Per prima, l’ho detto a Flavia».
Come?
«Dopo quei due giorni di riflessione, ho annunciato a lei e ai nani che quella sera avremmo cenato a casa. Ho stappato uno champagne rosé. Un bicchiere, due bicchieri... Nel giro di un’ora mi sono accorto di essermi scolato tutta la bottiglia! I nanetti erano stecchiti sul divano, ho guardato Flavia: d’ora in poi dovrai sopportarmi un po’ di più, le ho detto. Lei ha capito subito, sapeva. Mi ha abbracciato. La sera dopo ho riunito mamma, papà e sorella. Aaaah, credevamo ci annunciassi il quarto figlio, mi hanno detto...».
Tanti messaggi, ma forse il complimento più bello gliel’ha fatto Flavio Cobolli, sconfitto nei quarti di Wimbledon da Djokovic e talento della sua agenzia di management: se oggi siamo tanti italiani in classifica, il merito è tuo.
«Non mi ero accorto di aver rappresentato un esempio per i ragazzi, strada facendo. Me ne sto rendendo conto solo adesso. Quest’estate, con le chiappe a mollo, ci ragionerò su meglio. Mi hanno scritto i miei amici calciatori dell’Inter, Alberto Tomba, Nadal, Djokovic e tanti altri. Non avevo capito di essere così amato.
Da fuori, a volte, mi hanno dipinto per quello che non sono mai stato: alzavo una barriera e davo di matto per difendere la mia sensibilità. Sono stato un ragazzo ribelle ma spero di non essere ricordato per le racchette rotte. Mi sono portato addosso per anni un’etichetta: la verità è che non sono mai stato un santo ma ho sempre fatto del male solo a me stesso. Chi mi ha davvero conosciuto, però, sa».
In occasione delle mattane più clamorose, sua moglie diceva di avere l’impressione che in campo, all’improvviso, comparisse un sosia. E che prendesse il sopravvento.
«Sì, ci sta».
Che fine ha fatto quel tizio?
«È ancora qui, però con il tempo e la maturità si è trasformato. Oggi vede la vita in modo molto diverso e dà un senso alle cose. La nascita dei bambini mi ha cambiato profondamente. Tutto fa parte di un percorso di crescita, anche gli errori per cui ho sempre pagato un prezzo».
Comincia una nuova fase dell’esistenza. Cosa le riserva?
«Sono curioso anch’io. Per vent’anni ho fatto una sola cosa, quella che mi veniva meglio: giocare a tennis senza mai risparmiarmi. A Wimbledon si è chiuso un cerchio. Non mi sarei mai immaginato che potesse finire in quel modo, con la bellissima partita con Alcaraz e la standing ovation del campo più importante del mondo. E pensare che ero entrato dicendomi: coraggio, Fabio, cerchiamo di non fare una figuraccia...».
L’emozione di giocare l’ultimo match davanti ai propri figli è spiegabile?
«Non è facile, ma ci provo. Eravamo ancora in Italia quando è uscito il sorteggio di Wimbledon e ho scoperto che avrei affrontato il campione in carica, Carlos Alcaraz. Federico, che è un suo tifoso, mi fa: che bello, papà, così perdi... Vuoi venire, gli ho chiesto? Tutta la famiglia è partita per Londra, a quel punto. L’orgoglio che ho provato quando Alcaraz ha chiesto l’applauso per me, non si può raccontare. Gli ho chiesto una maglia autografata per Fede, che è impazzito di gioia. E la sera, tutti a mangiare il sushi».
Dovesse fare una sintesi della carriera?
«Sono arrivato in punta di piedi, me ne sono andato a testa alta».
Stride, in questo romanzo, il fatto che un giocatore che all’azzurro ha dato tutto non abbia potuto conquistare quella Davis che la nouvelle vague del tennis italiano, trascinata da Sinner, ha recentemente vinto due volte consecutive. È un rimpianto?
«Tocca un tasto delicato. Più che un rimpianto, però, direi che è un sogno irrealizzato. Ho giocato la Davis vera, quella in casa e in trasferta, tre set su cinque. Ho sempre risposto presente alle convocazioni, anche con una gamba sola. Indossando la maglia azzurra ho ottenuto una delle mie vittorie più belle, con Andy Murray a Napoli nel 2014. Per la Nazionale davvero non potevo fare di più. Vincere la Davis era un sogno di cui avrei voluto fare parte, semplicemente perché me la meritavo. Sarebbe stato più giusto così. Non è successo».
Fin qui è stata la vita che s’immaginava da bambino, ad Arma di Taggia?
«È stata molto di più. Non avrei mai creduto di entrare nei top 10 in singolo e doppio, di conquistare Montecarlo, il torneo che i miei genitori mi portavano a vedere da piccolo, di uscire dal centrale di Wimbledon dopo aver trascinato al quinto set, a 38 anni suonati, il numero 2 del mondo. Ho attraversato un’epoca irripetibile, quella dei Big Three (Federer, Nadal, Djokovic), ne ho battuti due su tre in un periodo storico in cui arrivare alla seconda settimana dei tornei dello Slam era paragonabile a una vittoria. Ci ho giocato contro, mi ci sono allenato; mi hanno dato, ma anche tolto tanto».
Rifarebbe tutto?
«Farei di più e di meglio. Mi pento delle cavolate, però ho anche fatto cose meravigliose.
Quindi sì, rifarei tutto. Ho sempre detto quello che pensavo. Non sarei quello che sono oggi, sennò».
Chi è, oggi, Fabio Fognini?
«Un marito e un papà che non vede l’ora di andare in vacanza con la famiglia. Non voglio più correre: voglio camminare, finalmente. Voglio godermi i bimbi, la vita, la nuova attività di manager e scopritore di talenti, a cominciare da Flavio Cobolli, che dopo Wimbledon entrerà nei primi venti del ranking. Desidero trasferire ad altri la mia esperienza: sarò felice di mettermi a disposizione di chi me lo chiede. Ho due esibizioni già confermate, sto pensando di portare i bambini a New York, dove quest’anno ricorre il decennale della vittoria di Flavia all’Open Usa. Ma adesso stacco tutto. Andiamo in Puglia e non voglio più pensare a niente».
Milly Carlucci l’aspetta a «Ballando con le stelle», però.
«Devo ancora parlare con Milly, che mi aveva voluto come ballerino per una notte. Per uno sportivo competitivo come me, potrebbe essere una bella sfida. Vedremo».
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Il giorno più bello?
«Sono tre: quelli in cui sono nati i miei figli».
La partita che rigiocherebbe?
«Oddio, tante... Quasi tutte!».
L’avversario più simpatico?
«Sono andato d’accordo un po’ con tutti. Trovo questa nuova generazione fortissima ma un po’ arrogante, invece. Il più carismatico della mia epoca è stato sicuramente Roger Federer. Nel 2012 l’ho affrontato sul centrale di Wimbledon. All’epoca, entrando, si doveva ancora salutare il Royal Box. Prima di scendere in campo, terrorizzato, mi sono voltato verso Roger e gli ho detto: come cavolo si fa l’inchino? E lui, serafico: follow me. Seguimi. E così ho fatto».
Augurerebbe a Federico, Farah e Flaminia di seguire la strada percorsa da lei e sua moglie, il tennis professionistico?
«Auguro loro di essere sempre in salute e di fare ciò che vorranno. Federico è un patito di pallone, proprio come lo sono stato io. Farah ama la danza, Flaminia è ancora piccolina. Se facessero altro, andrebbe bene lo stesso. Solo io so quello che ho sacrificato al tennis. Ho vissuto tutto intensamente, forse troppo. Ma è stato bellissimo».
fognini pennetta
fabio fognini wimbledon
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fabio fognini
fognini si tuffa nel mare di napoli
FOGNINI E IL FIGLIO
FOGNINI PENNETTA
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fabio fognini in allenamento foto mezzelani gmt126
fabio fognini in allenamento foto mezzelani gmt124
fabio fognini in allenamento foto mezzelani gmt123
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