romamor 03©daniele molajoli-1

UN MARZIANI A ROMA – ‘’ROMAMOR’’ E L’ALBERO CHE VOLLE FARSI SCULTURA – ALL'EMOZIONANTE MOSTRA DI ANNE & PATRICK POIRIER A VILLA MEDICI CON I LORO DIARI NATURISTICI, I LORO LEGAMI TRA ARCHEOLOGIA E CULTURA, AD UN CERTO PUNTO, SONO SBUCATO, NEL GIARDINO E HO INTRAVISTO UN GIGANTESCO PINO, DISTESO COME UNA CREATURA CHE SI È ADDORMENTATA, CON LA CHIOMA E LE BRACCIA SGHEMBE IN DIREZIONE DEL TRAMONTO STRAPPACORE

Gianluca Marziani

Gianluca Marziani per Dagospia

 

Venti furiosi muovono le chiome afroamerican dei pini che osservano Roma all’altezza di attici e cupole. Maestrali e tramontane abbattono le colonne vertebrali delle pinete capitoline, creando panche dal design arcaico o strambi kindergarten che più ecologici di così non si può.

 

Romamor ©Daniele Molajoli

Giorni fa ero a Villa Medici per godermi il progetto dei coniugi Poirier (a cura di Chiara Parisi), nuova sinfonia visiva dei fantastici Anne & Patrick con le loro memorie emozionanti, le loro architetture tra macerie e futuro, i loro diari naturistici, i loro legami tra archeologia e cultura. Ad un certo punto, dopo la visita nelle sale interne, ho seguito la giovane guida (obbligatoria visto che, causa terrorismo, i controlli interni sono sul modello ambasciata in zone di guerra) e sono sbucato, con regale gioia dei sensi, nel giardino che si distende davanti alla facciata interna.

 

Romamor ©Daniele Molajoli

Da lontano ho intravisto un gigantesco pino, disteso e ferito ma ancora possente, una diagonale prospettica che mi ha subito ricordato Giuseppe Penone in versione punk, quasi che la sua scultura a Largo Goldoni avesse richiamato una “parente” antagonista, in grado di scavalcare la grande muraglia di Villa Borghese e adagiarsi nuda con le radici al vento, surreale quanto una balena dormiente dentro la Galleria del Louvre.

Romamor ©Daniele Molajoli

 

Il primo pensiero è stato: guarda i Poirier che si sono inventati stavolta, hanno portato un pino marittimo nel giardino aristocratico di Villa Medici, rompendo l’ordine delle aiuole e dei palindromi panoramici. Ammetto di aver provato un brividino elettrico, una scarica che si prova quando assisti ad uno spettacolo maestoso, improvviso, catartico. Mi sembrava una di quelle installazioni da land art americana, un’impresa semiutopica vista la stazza gigante e le chiare complessità di trasporto e allestimento.

albero di giuseppe penone a largo goldoni 3

 

Poi, avvicinandomi, ho notato che il tronco si adagiava sul muro di cinta, a ricreare un caos che solo un bravo scenografo poteva mimetizzare con altrettanta perfezione. Girando lo sguardo verso lo studiolo di Balthus, osservando il neon dei Poirier con la scritta ROMAMOR, sembrava la rivelazione di un perfetto meccanismo ad orologeria installativa, completato da altre due opere: una seduta in marmo con il disegno di un cervello e un’altra sezione di cervello, questa volta gigantesca, creata con pietre di marmo bianco attorno alla fontana.

 

Alberi decaduti a Roma

Sia chiaro, ero cosciente si trattasse di un film mentale tutto mio, faccio il curatore da troppo tempo per non capire quando la trama del desiderio prende il sopravvento sulla sinossi del reale. Però è così bello inventare mondi mentre osservi una mirabile forma spiazzante, pensare che quello non sia un albero caduto ma la riproduzione naturistica di un piccolo disastro, un po’ come racchiudere il fulmine dentro un box di cristallo. Se l’arte è ancora il piacere della rivelazione e della menzogna, mi piace credere che quel pino fosse SUPERPINO, un pezzo di mondo che ha recitato la parte dell’opera, una creatura che si è addormentata nel giardino, con la chioma e le braccia sghembe in direzione del tramonto strappacore.

albero di giuseppe penone a largo goldoni 2

 

Alberi decaduti a Roma

Quando siamo rientrati ho deciso di farmi un secondo giro tra la cisterna e le altre sale in cui è dislocata la mostra dei Poirier. Dopo l’albero sdraiato tutto mi è sembrato più chiaro, forse meno d’impatto eppure più emozionante di prima: perché la natura reale, imponente e fragile nel suo essere Vita allo stato puro, ridimensiona l’Arte e la mette nel posto delle creazioni imperfette che imitano la Natura senza superarne gli esiti.

Romamor ©Daniele Molajoli.albero di penone davanti palazzo fendi

 

Proprio per questo le opere, dopo quel pino indifeso, mi sono apparse ancor più vive nella loro poetica fragilità, nelle loro ambizioni ferite, nel loro affannarsi per diventare icone di un tempo perduto. La grande arte è così: un immenso respiro affannoso che cerca l’ossigeno dell’immortalità, una sfida assurda che lascia all’artista il vantaggio dell’eccezionale, dell’unicum, dell’utopia temporanea.

villa medici

 

Se sfogliate il catalogo vedrete il nostro Superpino quando era ancora in posizione eretta, un’archeologia fotografica che documenta la fugacità del tempo nascosto, la traccia delebile di una Natura che si può inseguire ma non domare. Sono tornato alle piccole architetture utopiche che i Poirier hanno ricreato su scala ridotta, mostrando la traccia del tempo che mangia il bianco e crea l’archeologia del futuro.

 

VILLA MEDICI

Sono tornato al grande anello sospeso, una specie di UFO al cui interno, osservando da alcuni occhielli, si vedono frammenti rovinosi di architetture senza tempo. Sono tornato davanti ai loro plastici, agli assemblaggi, ai neon, alla croce, ai quadri, alle scale, al paesaggio catastrofico dentro la cisterna… opere che adesso ammiro con più disincanto e maggior affetto, ancor più convinto che tutte le opere siano come noi: esseri fragili che richiedono piccole attenzioni e gesti amorevoli, quel tanto di cura che rende l’imperfezione una virtù da coccolare.

panorama di roma da villa medici (2)

 

Ho rivisto tutta la mostra portando l’albero dormiente nel cuore, conservando in testa l’immagine di una scultura senza autore che si è presa il palcoscenico centrale della Villa. Una volta tornato per strada, ROMAMOR mi sembrava che pulsasse nel cielo azzurro di Roma. Sopra i tetti del Tridente. Sopra i campanili e i terrazzi. Verso Largo Goldoni, davanti a Palazzo Fendi, dove dimora quell’altro albero (in realtà doppio) dalla vita speciale.

 

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