CAFONALINO DA ZAR - PUTIN VINCE LA (DOPPIA) SCOMMESSA OLIMPICA: DOPO 26 ANNI LA RUSSIA TORNA IN TESTA AL MEDAGLIERE E LA SICUREZZA TIENE (SI È FATTO FREGARE SOLO DA LUXURIA…)

Foto di Mezzelani-GMT
Paolo Brusorio per "la Stampa"

Quando Vladimir Putin si è presentato alle prove della cerimonia di chiusura nessuno ci voleva credere. Il presidente russo ha letto il copione, gli è piaciuto, ma ha voluto cambiare la parte musicale finale. Finalmente un esercizio di stile dopo una serie di prove muscolari quali sono state queste Olimpiadi. Sedici giorni in cui la Russia si metteva in gioco e ora che i Giochi sono finiti si può dire che abbia vinto la scommessa. A modo suo, a petto in fuori, non guardando in faccia a nessuno e con le maniere forti travestite da attenzioni, ma ce l'ha fatta.

L'investimento ha pagato, l'atto di forza ha dato i suoi frutti anche sul piano sportivo: la Russia è tornata in testa al medagliere dopo 26 anni e questa volta i vertici dello sport sono salvi.

Il presidente cercava un trionfo per sigillare l'ultimo giorno, l'ha trovato nella 50 km di fondo, la gara più massacrante: tre russi nei primi tre posti. Forza e cuore per un affare di Stato: sembrano i tempi dell'Urss, se non fosse che per dominare il mondo come una volta hanno pescato talenti all'estero: «Questa è la nuova faccia della Russia», la firma del responsabile del comitato olimpico nazionale.

Diciamolo, le premesse di questi Giochi avrebbero paralizzato un elefante: la minaccia terroristica, le proteste per la legge anti gay, i ritardi e le conseguenti lacune organizzative. Un ventaglio di fronti aperti che anche il resto del mondo aveva contribuito a spalancare: non mancava giorno in cui dagli Stati Uniti arrivasse il bollettino di guerra preventiva e mentre anche l'Europa si adeguava al teorema della paura, la Russia metteva a punto la macchina nell'unico modo possibile: militarizzandola. Soldati accampati ovunque, in divisa o no, non doveva passare uno spillo e uno spillo non è passato. Ma non si è mai sentito il fastidio, a Londra 2012 si vedevano i mitra, qui almeno si immaginavano soltanto. Già meglio.

Gonfiare i muscoli, però, poteva essere un'operazione rischiosa se non accoppiata alla diplomazia. Putin, presi gli schiaffi dai capi di Stato e di governo che hanno disertato la cerimonia inaugurale, ha provato a risalire la corrente, tentativo non facile: la legge anti gay è talmente antidemocratica da non potere essere equivocata.

Tanto che i rappresentanti politici presenti (dal segretario dell'Onu Ban Ki-moon al re olandese per finire con il fu premier Letta) non si sono tirati indietro nel dirsi contrari al provvedimento: Putin ha incassato e ha ricominciato a tessere la tela. Il culmine con la visita a Casa Usa, un gesto di distensione di facile presa che ha fatto il giro del mondo. In fondo anche sul campo gli è andata bene, se è vero che l'unica incursione l'ha fatta Luxuria e abbiamo detto tutto.

Non se la caverà con così poco il presidente russo, però: le Pussy Riot lo lavorano ai fianchi un giorno sì e un altro anche. Si sono presentate anche a Sochi, le hanno fermate e poi rilasciate. Pericolosa applicazione della democrazia che nemmeno le Olimpiadi hanno scalfito, ma portare 88 nazioni a gareggiare in Russia è un modo per accendere i riflettori, non per cambiare la luce.

Di Tommie Smith ce ne è stato uno e se il pugno guantato di nero ha fatto la storia, un motivo c'è. Anche di questo si è fatto forte Putin che ha organizzato un modello non esportabile altrove: un'Olimpiade così costosa (51 miliardi di dollari), perché creata dal nulla, resterà un unicum a meno di non trasformare i Giochi in un bancomat senza fondo. Operazione che in pochi, e forse neppure più la Russia, possono permettersi.

Una sola cosa è andata storta: la squadra di hockey maschile doveva vincere l'oro, non ci è riuscita e ha pure perso con gli Stati Uniti. Quel giorno Putin era in tribuna, ecco l'unica vera grande sconfitta. Lì, i muscoli non sono bastati.

 

 

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