RAFA, UN BABA’ DI MISTER - “IL CALCIO E’ UNA GRANDE BUGIA” – “SACCHI, UN GRANDE MAESTRO” - “PER ME IL CALCIO È 80% PALLONE E 20% PALESTRA”

Gianni Mura per "La Repubblica"

Visto da vicino, Rafa Benitez è quel che sembra visto da lontano, in tv: un tipo tranquillo. Se per capire le reazioni di Ancelotti occorre guardargli il sopracciglio sinistro, lo specchio di Benitez sono le guance, che tendono a imporporarsi. Tranquillo e tranquillizzato: non parleremo dell'ultima partita né della prossima, gli ho detto quando ci siamo seduti a un tavolo, nella sede del Napoli. Qualche domanda giusto per conoscerlo meglio.

Cos'è il calcio?
«Il calcio è bugia».

Questa l'avevo già sentita da Trapattoni, in dialetto, quando allenava la Juve: «Sèmm pagà per cuntav su di ball». Ossia: siamo pagati (noi allenatori) per raccontarvi (a voi giornalisti) frottole. E questa frase lapidaria, che suona come "la vida es sueño" non me l'aspettavo da un fervente sacchiano. Possiamo approfondire?
«Certe verità non conviene dirle in pubblico. Lo so anch'io se un mio giocatore ha giocato male, ma non lo ammetterò mai in tv o sui giornali. Lo brucerei, e invece mi serve. Ma è mio diritto e dovere, in privato, parlare con quel giocatore e dirgli dove ha sbagliato e come fare per non rifare quell'errore. Altrimenti, che ci sta a fare un allenatore?».

Lei si riconosce nell'etichetta di sacchiano?
«È un collega che stimo moltissimo, il suo Milan è nella storia del calcio. Ricordo di quando andavo a vedere gli allenamenti a Milanello, con Arrigo e poi con Capello. Ma sono andato anche alla Fiorentina quando c'era Ranieri. E con quanta attenzione leggevo le fotocopie che mi preparava Franco Ferrari a Coverciano».

Quando Sacchi s'era imposto, in tutta Italia si giocava col 4-4-2, con poche eccezioni: Galeone, Zeman, Zaccheroni. Oggi, in serie A, col 4-4-2 c'è solo il Chievo. Si va a mode, secondo lei?
«Da quando sono a Napoli ho affrontato squadre tutte diverse quanto a impianto. Su questo argomento ho anche scritto un pezzo per "The Independent": qui c'è una grande varietà di moduli, ci vuol poco a passare dal 4-5-1 al 4-3-3. Ma più del modulo conta la mentalità».

Lei è passato alla difesa a 4, col Napoli.
«È quella che preferisco. Questo non toglie che a Liverpool e altrove abbia anche difeso a 3, ma raramente per scelta iniziale ».

Mi tolga una curiosità: quando vi ritrovate tra allenatori a discutere di calcio, il calcio è ancora bugia?
«Se, faccio un esempio, mi trovo con Ancelotti, so che del Real non mi dirà tutto né io del Napoli. Su tutte le altre squadre potremmo permetterci di essere sinceri».

Ancelotti, Istanbul, da 0-3 a 3-3 col suo Liverpool, e poi vittoria ai rigori. Le capita di ripensarci?
«Sì, e se anche non ci ripensassi troverei sempre qualcuno che mi chiede: ma come avete fatto? ».

Glielo chiedo anch'io.
«Pensi che a due minuti dall'intervallo eravamo sotto di due gol e già mi stavo chiedendo cosa avrei potuto dire nell'intervallo ai miei. E tac, becchiamo il terzo. Che ha semplificato le cose, in un certo senso. Ragazzi, ho detto, fin qui hanno giocato solo loro, proviamo a giocare anche noi e se facciamo subito un gol la situazione può cambiare.

Ne abbiamo fatti tre in sei minuti e abbiamo rischiato solo su Shevchenko nel finale, ed è stato bravo Dudek. Che sapeva già come avrebbero tirato quattro dei cinque milanisti. Li avevamo analizzati. Di quella grandissima partita voglio dire un'ultima cosa: tra me e Ancelotti nessuno ha sbagliato una mossa, tutto quel che potevamo fare l'abbiamo
fatto».

Mi son fatto l'idea che lei sia nato con la vocazione dell'educatore, se non dell'allenatore.
Leggero arrossamento.
«Alla scuola San Buenaventura ero compagno di banco di Ricardo Gallego. La nostra squadra di dodicenni vinse il torneo fra tutte le scuole di Madrid».

In che quartiere è nato?
«Aluche. Se è pratico di Madrid, la linea metrò tra Carabanchel e Casa de Campo. Un quartiere di lavoratori. Mio padre Francisco era un colchonero, tifoso dell'Atletico Madrid. Aveva cominciato a undici anni come facchino, finché era diventato direttore commerciale di una catena d'alberghi. Rosario, mia madre, è quella che più m'ha incoraggiato sulla strada del calcio. Era contenta quando a 13 anni sono entrato nella famiglia del Real, per cui simpatizzava. A quell'età facevo le pagelle della mia squadra».

E gli altri ragazzini lo sapevano?
«No, naturalmente. Il calcio è bugia, ma anche discrezione. Erano appunti che servivano a me, già allora pensavo, sia pure vagamente, in termini di collettivo. Ero una specie di allenatore in campo. E risento preciso il fischio di mio padre, che dai bordi urlava: Piantala di parlare e vai avanti a fare gol».

Non era la sua specialità.
«Ufficialmente, una ventina. Giocavo centrocampista arretrato, e anche libero. Il mio idolo era Beckenbauer, ma anche Di Stefano, Pelé e, poi, Maradona».

È entrato a 13 anni nella famiglia del Real. Ne è uscito per le conseguenze di un infortunio. Ci è rientrato come tecnico delle squadre giovanili, vincendo sei trofei. Ha lavorato con Del Bosque. Quanto le è pesato passare dal campo alla panchina a 26 anni?
«Non tantissimo, forse perché mi sentivo un po' allenatore anche quando giocavo. E questo è un lavoro da privilegiati, mai dimenticarselo. Chi mi ha condizionato la carriera? Il numero 10 del Canada, in Messico. Il nome non lo so. Universiadi del ‘79. Entrata da dietro, il mio ginocchio destro che salta. Quindici giorni senza trattamento, poi gesso e fisioterapia.

Ma il ginocchio non è mai guarito. Non per fare il calciatore ad alto livello, almeno. Così scesi di livello, quattro anni al Parla, poi al Linares, dove mi scambiavano per un mancino naturale, mentre io sono destro, ma per calciare forte dovevo usare l'altro piede. Nel frattempo mi ero laureato all'equivalente della vostra Isef. A Linares insegnavo ai bambini delle elementari».

Com'è che se n'è andato dal Real?
«Volevo seguire una strada tutta mia. Al Real, prima regola della casa, già da ragazzino t'insegnano che conta solo vincere. Arrivare secondi è come arrivare ultimi».

E lei ci crede?
«Ma a lei piace perdere? Me ne trovi uno che è contento quando perde, anche da piccolo. Per qualche anno, dal Real Valladolid all'Osasuna, mi hanno appiccicato l'etichetta di inesperto, di tecnico troppo giovane. E l'appiccicavano gli stessi che mi avevano fatto firmare il contratto. Quando mi chiedono le differenze tra il calcio inglese e gli altri dico che nel calcio inglese c'è l'abitudine di rispettare i programmi. Si fissa un obiettivo in capo a tre anni e hai tre anni per centrarlo. Altrove succede di meno».

A Milano, per esempio?
«Diciamo che ho avuto poco tempo e chiudiamola qui. Ma qualcosa in quel poco tempo ho vinto».

Ha vinto col Valencia, col Liverpool, col Chelsea. È stato il primo spagnolo ad allenare nella Premier League. È affezionato a qualche vittoria in particolare?
«Nel nostro mestiere si guarda sempre avanti. Ma c'è un episodio buffo di quando allenavo il Liverpool. Stavamo provando schemi su palla inattiva, ma la traiettoria del pallone era falsata da un fortissimo vento. Stop, qui c'è troppo vento, ho detto, e tutti si sono messi a ridere. Avevo pronunciato wind, vento, come wine, vino».

Cosa vede guardando avanti?
«Un campionato impegnativo, ma ho fiducia nei miei giocatori ».

Mi risulta che, all'inizio della preparazione, molti fossero un po' perplessi per la leggerezza degli allenamenti e la poca palestra, rispetto a precedenti esperienze.
«Guardi, l'allenatore perfetto non esiste, come non esiste il giocatore perfetto. Tutti possono migliorare come qualità tecnica, fisica o tattica, questo non si discute. Per me il calcio è 80% pallone e 20% palestra, non di più, forse anche meno. Sa quali sono i giocatori che fanno la fortuna di un tecnico? Quelli bravi a muoversi tra due linee. Come faceva Gianfranco Zola. Come fa Mata. Avendo in rosa due come Hamsik e Pandev, sotto questo profilo sto tranquillo».

Si sta ambientando a Napoli?
«Non è difficile. Grande città, calorosa. Un problema per me è che se vado al ristorante si blocca il traffico. E così il più delle volte sto qui in albergo a Castel Volturno. Casa e bottega, giusto? L'altro giorno mi hanno fatto assaggiare il babà».

Nato in Lorena per mano di un re polacco detronizzato, Stanislas Leszczinski, e arrivato a Napoli, via Parigi. Se accetta un consiglio, provi piuttosto la pastiera, che è napoletana al 100%. Fosse a Madrid, cosa mangerebbe in primis?
«Una tortilla con dentro tutto: patate, cipolle, peperoni. Ma qui, coi miei collaboratori Paco, Antonio e Xavi ogni tanto ci facciamo una paella che prepara Xavi. Con poco pesce, non ne vado pazzo».

Dopo tre anni a Valencia, una paella è quasi d'obbligo.
«Ma non è un gesto nostalgico, è quasi un'abitudine. Per essere felici, invece, come da bambini, bastano uova fritte e patatine».
Veronelli sarebbe d'accordo. Sacchi penso di no.

 

POMPAMEO CON RAFA BENITEZ Rafa Benitez Rafa Benitezarrigo sacchiarrigo sacchi enrico cisnetto2rb24 arrigo sacchiAGNELLI-CAPELLOroma capello stampaClaudio RanieriBENITEZ stretta di mano di canio benitez

Ultimi Dagoreport

matteo salvini luca zaia giorgia meloni

DAGOREPORT – COSA SI SONO DETTI GIORGIA MELONI E LUCA ZAIA NELL'INCONTRO A PALAZZO CHIGI, TRE SETTIMANE FA? - TOLTA SUBITO DI MEZZO L'IDEA (DI SALVINI) DI UN POSTO DI MINISTRO, LA DUCETTA HA PROVATO A CONVINCERE IL “DOGE” A PRESENTARE UNA SUA LISTA ALLE REGIONALI IN VENETO MA APPOGGIANDO IL CANDIDATO DEL CENTRODESTRA (ANCORA DA INDIVIDUARE) - MA TRA UNA CHIACCHIERA E L'ALTRA, MELONI HA FATTO CAPIRE CHE CONSIDERA ZAIA IL MIGLIOR LEADER POSSIBILE DELLA LEGA, AL POSTO DI UN SALVINI OSTAGGIO DELLE MATTANE DI VANNACCI – UN CAMBIO DI VERTICE NEL CARROCCIO EVOCATO NELLA SPERANZA CHE IL GOVERNATORE ABBOCCHI ALL’AMO...

elly schlein giorgia meloni beppe sala ignazio la russa maurizio lupi marcello viola

DAGOREPORT - NESSUNO VUOLE LE DIMISSIONI DI BEPPE SALA: DA SINISTRA A DESTRA, NESSUN PARTITO HA PRONTO UN CANDIDATO E TRA POCHI MESI A MILANO COMINCIANO LE OLIMPIADI MILANO-CORTINA – MA SALA VUOLE MANIFESTARE ALL'OPINIONE PUBBLICA UNO SCATTO DI DIGNITÀ, UN GRIDO DI ONESTÀ, UNA REAZIONE D'ORGOGLIO CHE NON LO FACCIA SEMBRARE  ''LU CIUCCIO 'MIEZZO A LI SUONI'' - L’UNICO A CHIEDERE IL PASSO INDIETRO DEL SINDACO È IGNAZIO LA RUSSA, CHE INVECE UN CANDIDATO CE L’HA ECCOME: MAURIZIO LUPI. METTENDO SOTTO LA SUA ALA IL PARTITO DI LUPI, "NOI MODERATI", ‘GNAZIO SOGNA IL FILOTTO: CONQUISTARE SUBITO IL COMUNE DI MILANO E NEL 2028 LA REGIONE LOMBARDIA – MOLTO DELL’INCHIESTA SULL’URBANISTICA DIPENDERÀ DALLA DECISIONE DEL GIP, PREVISTA PER MERCOLEDI': SE IL GIUDICE NON ACCOGLIERÀ LE RICHIESTE DEI PM (CARCERE O DOMICILIARI PER GLI INDAGATI), LA BUFERA PERDERÀ FORZA. VICEVERSA…

ravello greta garbo humphrey bogart truman capote

DAGOREPORT: RAVELLO NIGHTS! LE TROMBATE ETERO DI GRETA GARBO, LE VACANZE LESBO DI VIRGINIA WOOLF, RICHARD WAGNER CHE S'INVENTA IL “PARSIFAL'', D.H. LAWRENCE CHE BUTTA GIU’ L'INCANDESCENTE “L’AMANTE DI LADY CHATTERLEY’’, I BAGORDI DI GORE VIDAL, JACKIE KENNEDY E GIANNI AGNELLI - UN DELIRIO ASSOLUTO CHE TOCCO’ IL CLIMAX NEL 1953 DURANTE LE RIPRESE DE “IL TESORO D’AFRICA” DI JOHN HUSTON, SCENEGGIATO DA TRUMAN CAPOTE, CON GINA LOLLOBRIGIDA E HUMPHREY BOGART (CHE IN UN CRASH D’AUTO PERSE I DENTI E VENNE DOPPIATO DA PETER SELLERS). SE ROBERT CAPA (SCORTATO DA INGRID BERGMAN) SCATTAVA LE FOTO SUL SET, A FARE CIAK CI PENSAVA STEPHEN SONDHEIM, FUTURO RE DI BROADWAY – L’EFFEMMINATO CAPOTE CHE SI RIVELÒ UN BULLDOG BATTENDO A BRACCIO DI FERRO IL “DURO” BOGART - HUSTON E BOGEY, SBRONZI DI GIORNO E UBRIACHI FRADICI LA NOTTE, SALVATI DAL CIUCCIO-TAXI DEL RISTORANTE ‘’CUMPÀ COSIMO’’ - QUANDO CAPOTE BECCÒ IL RE D’EGITTO FARUK CHE BALLAVA ALLE 6 DEL MATTINO L’HULA-HULA NELLA CAMERA DA LETTO DI BOGART… - VIDEO + FILM

marina pier silvio berlusconi giorgia meloni antonio tajani quirinale alfredo mantovano

DAGOREPORT - NON CI SARÀ ALCUNA ROTTURA TRA MARINA E PIER SILVIO: NONOSTANTE LA NETTA CONTRARIETÀ ALLA DISCESA IN POLITICA DEL FRATELLINO, SE DECIDESSE, UN GIORNO, DI PRENDERE LE REDINI DI FORZA ITALIA, LEI LO SOSTERRÀ. E L’INCONTRO CON LA CAVALIERA, SOLLECITATO DA UN ANTONIO TAJANI IN STATO DI CHOC PER LE LEGNATE RICEVUTE DA UN PIER SILVIO CARICATO A PALLETTONI, È SALTATO – LA MOLLA CHE FA VENIRE VOGLIA DI EMULARE LE GESTA DI PAPI E DI ‘’LICENZIARE’’ IL VERTICE DI FORZA ITALIA È SALTATA QUANDO IL PRINCIPE DEL BISCIONE HA SCOPERTO IL SEGRETO DI PULCINELLA: TAJANI SOGNA DI DIVENTARE PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA NEL 2029, INTORTATO DA GIORGIA MELONI CHE HA PROMESSO I VOTI DI FRATELLI D’ITALIA. UN SOGNO DESTINATO A SVANIRE QUANDO L’EX MONARCHICO SI RITROVERÀ COME CANDIDATO AL QUIRINALE UN ALTRO NOME CHE CIRCOLA NEI PALAZZI DEL POTERE ROMANO, QUELLO DI ALFREDO MANTOVANO…

giorgia meloni alfredo mantovano francesco lollobrigida carlo nordio andrea giambruno

DAGOREPORT - NON SI PUO' DAVVERO MAI STARE TRANQUILLI: MANTOVANO, IL SAVONAROLA DI PALAZZO CHIGI – D'ACCORDO CON GIORGIA MELONI, PRESA LA BACCHETTA DEL FUSTIGATORE DI OGNI FONTE DI ''DISSOLUTEZZA'' E DI ''DEPRAVAZIONE'' SI È MESSO IN TESTA DI DETTARE L’ORTODOSSIA MORALE  NON SOLO NEL PARTITO E NEL GOVERNO, MA ANCHE SCONFINANDO NEL ''DEEP STATE''. E CHI SGARRA, FINISCE INCENERITO SUL "ROGO DELLE VANITÀ" - UN CODICE ETICO CHE NON POTEVA NON SCONTRARSI CON LA VIVACITÀ CAZZONA DI ALCUNI MELONIANI DI COMPLEMENTO: CI SAREBBE LO SGUARDO MORALIZZATORE DI MANTOVANO A FAR PRECIPITARE NEL CONO D’OMBRA PRIMA ANDREA GIAMBRUNO E POI FRANCESCO LOLLOBRIGIDA – IL PIO SOTTOSEGRETARIO PERÒ NON DORME SONNI TRANQUILLI: A TURBARLI, IL CASO ALMASRI E IL TURBOLENTO RAPPORTO CON I MAGISTRATI, MARTELLATI A TUTTA CALLARA DA RIFORME E PROCURE ALLA FIAMMA...

pier silvio berlusconi silvia toffanin

L’IMPRESA PIÙ ARDUA DI PIER SILVIO BERLUSCONI: TRASFORMARE SILVIA TOFFANIN IN UNA STAR DA PRIMA SERATA - ARCHIVIATA LA FAVOLETTA DELLA COMPAGNA RESTIA ALLE GRANDI OCCASIONI, PIER DUDI HA AFFIDATO ALL'EX LETTERINA DELLE SUCCULENTI PRIME SERATE: OLTRE A “THIS IS ME”, CON FASCINO E MARIA DE FILIPPI A MUOVERE I FILI E SALVARE LA BARACCA, C'E' “VERISSIMO” CHE OCCUPERÀ TRE/QUATTRO PRIME SERATE NELLA PRIMAVERA 2026. IL PROGRAMMA SARÀ PRODOTTO DA RTI E VIDEONEWS CON L’OK DELLA FASCINO A USARE LO “STUDIO-SCATOLA" UTILIZZATA DA MAURIZIO COSTANZO NEL FORMAT “L’INTERVISTA” - COSA C'E' DIETRO ALLE MANOVRE DI PIER SILVIO: E' LA TOFFANIN A COLTIVARE L'AMBIZIONE DI DIVENTARE LA NUOVA DIVA DI CANALE 5 (CON I CONSIGLI DELLA REGINA DE FILIPPI) O È LA VOLONTÀ DEL COMPAGNO DI INCORONARLA A TUTTI I COSTI, COME UN MIX DI LILLI GRUBER E MARA VENIER?