brigido lara

MEGLIO TOMBAROLO O FALSARIO? - BRIGIDO LARA, CHE CON LE SUE PERFETTE OPERE D'ARTE PRECOLOMBIANA FREGÒ ESPERTI, MUSEI E MERCANTI - ORA FA IL RESTAURATORE. MA PER MOLTI È PURE UN PO' MITOMANE

 

 

Antonio Aimi per “La Stampa

 

ATTO I - IL FALSARIO

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«Chingada madre», pensò Brigido Lara, guardando le due donne allontanarsi, «questa non ci voleva! Ora sono nei guai». Le due donne erano le mogli degli uomini che lo aiutavano a smerciare le sue opere: erano venute a dirgli che quattro giorni prima la polizia aveva arrestato i loro mariti proprio mentre andavano a consegnare le sue ultime produzioni a certi mercanti di Città del Messico. Li avevano accusati di «saqueo de arte prehispánico», saccheggio di arte preispanica.

 

Tutto il carico era stato sequestrato.

Brigido intuiva che non era una cosa da poco, anche se, da artigiano con una rustica formazione di base, non sapeva che era un’accusa pesante. Immediatamente pensò di scappare, ma subito si rese conto che fuggendo avrebbe esposto i suoi genitori alle pressioni della polizia e, forse, alle vendette delle famiglie dei due uomini che lavoravano per lui. Inoltre per scappare e andare lontano aveva bisogno di molti soldi.

 

E Brigido non era ricco, anche se ultimamente le cose erano cominciate ad andargli benino. E poi pensò ai suoi collaboratori e si rese conto con chiarezza che non se la sentiva di lasciarli nelle mani della polizia, tanto più che, fino ad allora, non avevano parlato, altrimenti invece delle due donne sarebbe venuto qualcun altro...

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Con quei pensieri rigido si accasciò su una sedia incapace di prendere una qualunque decisione. Rimase a lungo nell’incertezza, poi si rese conto che restare a casa e non fare nulla era la cosa peggiore. Decise di consegnarsi alla polizia, tanto più che lui non era un tombarolo, ma un artigiano che faceva copie di opere precolombiane. Era il luglio del 1974. Allora aveva trentatré anni.

 

ATTO II - IL MIRACOLATO

Brigido era in piedi davanti al direttore del carcere. Si trovava lì da sette mesi. Aveva raccontato la sua storia decine di volte, ma nessuno gli credeva. Lo schernivano, anche perché gli archeologi dell’Inah (Instituto Nacional de Antropologia e Historia) avevano dichiarato che quei pezzi erano autentici. Ormai si era rassegnato a essere processato e condannato come tombarolo. Senza convinzione ripeté che le opere di cultura Veracruz (100-1000 d.C.) che avevano sequestrato ai suoi collaboratori le aveva fatte lui.

 

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«Ah sì? Se sei così bravo, prova a rifarle», gli rispose il direttore con aria di sfida. Brigido, quasi non credendo alle sue orecchie, accettò la sfida e fu così accompagnato a casa a prendere i ferri del mestiere e un bel blocco di argilla. Appena possibile si mise al lavoro e in meno di mezza giornata preparò alcune sculture. In mancanza di meglio i suoi pezzi furono cotti nel forno che di solito si usava per il pane dei detenuti. Quando le guardie lo aprirono, Brigido non degnò di uno sguardo le sue opere, guardava la faccia stupefatta del direttore del carcere: era come se gli fosse apparsa la Vergine di Guadalupe.

 

L’accusa di «saqueo» fu subito ritirata e, uscendo dal carcere, il nostro decise di donare al direttore le opere che gli avevano garantito la libertà. Ma nel piccolo mondo della provincia messicana la voce della sua bravura era girata rapidamente, così Alfonso Medellín Zenil, direttore del Max (Museo de Antropología de Xalapa), uno dei più importanti musei del Messico, lo assunse come restauratore.

 

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ATTO III - IL MAESTRO

Brigido Lara era al Max da undici anni, quando, nel 1986, arrivò al museo un gruppo di terrecotte che il governatore dello Stato, Agustín Acosta Lagunes, aveva acquistato a New York in un’asta di arte precolombiana. Tutto il personale del Max, ovviamente, era felice che alcune delle opere del patrimonio del Messico ritornassero a casa, ma Brigido rovinò la festa: «Molti di questi vasi li ho fatti io quarant’anni fa» disse con grande tranquillità.

 

A quel punto si aprì il vaso di Pandora dei falsi che erano finiti nelle aste, nelle case dei collezionisti e in alcuni prestigiosi musei, come il Dallas Museum of Art, il Saint Luis Art Museum e il Metropolitan di New York. Per chiarire la situazione cominciò una corsa alle analisi della termoluminescenza (la tecnica che consente di datare il momento di cottura di una terracotta). Invano: l’argilla del Veracruz non si prestava a quel tipo di analisi.

 

Ma mentre i mercanti e gli specialisti degli Stati Uniti erano rosi dai dubbi, per Brigido cominciava il periodo dei documentari, delle consulenze (si fece avanti anche l’Unesco), delle opere firmate e vendute come repliche, delle interviste in cui raccontava l’affascinante storia di un autodidatta che impara a fare le sculture Veracruz guardando le figurine di terracotta che i contadini trovavano nei campi. La consacrazione fu la retrospettiva che gli dedicò il Max nel 2007. In quella occasione furono esposte una sessantina di opere, sia copie di tipologie di arte precolombiana, sia creazioni personali.

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EPILOGO - DUE DOMANDE UNA RISPOSTA E UN’IPOTESI

Al di là della sua straordinaria abilità nella lavorazione della terracotta, la vicenda di Brigido Lara pone due domande. La prima, finora ignorata, tanto dalla polizia quanto dai giornalisti che l’hanno celebrato, è questa: «È credibile la storia che racconta?».

 

Una delle opere più controverse di Brigido è l’Ehecatl del Met, una terracotta monumentale raffigurante il Dio del Vento, che il Met continua a considerare autentica e che il nostro dichiarò di aver fatto di persona. La scultura, però, fu acquistata da Nelson Rockefeller nel 1957, quando Brigido aveva sedici anni.

 

È evidente che è quasi impossibile che un ragazzino di quell’età riesca a fare un’opera di questo livello, che non solo è espressione di una piena maturità artistica, ma non ha nulla a che fare con le figurine trovate nei campi a cui Brigido dice di essersi ispirato. È certo, inoltre, che non può aver realizzato alcune delle opere donate al Max dal governatore dello Stato, perché nel 1946 aveva cinque anni.

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Brigido, dunque, mente. Perché? Viene da pensare che voglia coprire qualcuno, perché è probabile che non sia un autodidatta, ma abbia avuto un maestro. Mente forse per vanità o forse perché il suo maestro era anche un tombarolo, che si ispirava non tanto alle immagini dei libri (negli anni Quaranta il repertorio di immagini delle sculture Veracruz pubblicate nei cataloghi era limitatissimo), quanto alle opere che aveva scavato.

Sullo sfondo, poi, rimane la seconda domanda, quella che tutti si sono posti: «Come è possibile che un artigiano abbia potuto ingannare gli specialisti di alcuni dei più importanti musei del mondo?».

 

La risposta è molto semplice: il falso migliore è sempre quello che non è ancora stato scoperto. Per individuarlo occorre tanta umiltà e, soprattutto, tanta voglia di trovarlo. Ma la catena che porta i pezzi nei musei (mercanti-collezionisti-curatori) è fatta da persone che, a volte, non hanno nessuna voglia di trovare il falso, o per conflitto d’interessi o per vanità o per quieto vivere.

 

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