UN TUFFO AL CUORE: I FOLLI ATLETI CHE SI BUTTANO IN MARE A 100 CHILOMETRI ALL’ORA

Emanuela Audisio per "La Repubblica"

Trampolini come camere con vista. Anzi da vertigini: 27 metri, dieci piani di un palazzo. Tutto very fast: tre secondi di volo. Capriole e carpiati in quota, spruzzi da breakpoint. I principi del volo si tuffano da un abisso rovesciato. Da torri medioevali, ponti, scogliere, da tetti del mondo antichi e metropolitani. Sono gli ultimi eroi di una bohème sportiva scomparsa, un amichevole club del rischio.

Mangiano e bevono insieme, scherzano davanti al vuoto: prima tu o prima io? Hanno bisogno di maree che salgono, di laghi e di oceani che non si azzuffano. Di un fronte del porto amico. Come nemico hanno il vento che soffia e mitraglia le loro traiettorie. Sono solo tre secondi di volo. A cento chilometri orari basta un niente. Una bava d'onda. Ma è un niente che fa molto male. Due anni fa in Grecia il francese Hassan Mouti perse il conto dei suoi avvitamenti e entrò di sbieco.

«Non svenni, mi confusi, scambiai il cielo per l'acqua. I sommozzatori mi ripescarono e mi chiesero cosa mi facesse male. Tutto, risposi. Mi portarono in ospedale, avevo 2 polmoni e la pleura contusi. Avevo paura, rivivevo sempre quell'attimo, il dolore già provato. Quando ho ripreso, a Boston, ero già sul trampolino, ma ho detto no, non ce la faccio, è disumano. Mi ha aiutato la mia ragazza, ho ripreso per gradi, dai tre metri». Gary Hunt, inglese, 29 anni, campione uscente: «Nel 2010 a Polignano a mare sono finito troppo corto per una cresta d'onda, mi hanno portato all'ospedale per trauma cranico».

Si chiama cliff diving, è sponsorizzato da Red Bull, che organizza anche la sicurezza, sommozzatori inclusi. Non si scherza con la gravità. Il pericolo oltre al colpo di frusta è rompersi ginocchia, piedi, denti, legamenti, caviglie, polsi. L'inglese Blake Aldrige che una volta è atterrato di faccia ha avuto problemi alla retina: «Per cinque minuti non ho più visto». Poi c'è l'entrata storta. «Avevo il busto troppo inclinato a destra, ho preso un colpo alle costole, per un'ora ho sputato sangue».

Orlando Duque, colombiano, autore di un 10 perfetto: «Mi sono rotto il polso, il coccige, per due mesi mi sono seduto su una natica, ho avuto una commozione cerebrale, non ricordavo nulla delle 12 ore precedenti. Però lassù senti il corpo e la libertà, sei teso e adrenalinico, quando entri in acqua è come un impatto frontale in macchina, sul momento non avverti niente, è dopo che viene fuori il dolore».

Il club dei tuffatori estremi è una piccola famiglia, molto solidale, a 27 metri la paura e la coscienza ti rendono più fratelli. Il campionato alla sua quinta stagione ha 10 partecipanti, 7 nazioni di provenienza, un'età media di 27,9 anni. E il mondo come sfondo: otto gare, dalla torre St. Nicolas di La Rochelle, passando per il castello scaligero a Malcesine (13-14 luglio), per finire in Thailandia.

Sono pochi a potersi tuffare da grande altezze, non ci si improvvisa, ci vuole esperienza. Quasi tutti vengono dal circo e dai parchi acquatici. Avete presente quelli che vestiti da clown si buttano in piccole pozze d'acqua? Ma ora lo splash passa dall'intrattenimento alla medaglia.

Il cliff diving esordirà infatti come nuova competizione ai mondiali di nuoto di Barcellona. Piace ai giovani, al pubblico, alle generazioni fast. Brividi caldi e freddi, si entra di piede, poi tutti a bere insieme. Niente italiani: un tuffatore classico non potrebbe salire in quota. Stessi movimenti, ma sport diversi. L'altezza dà vertigini, bisogna abituarsi a vedere tutto piccolo, si procede per gradi.

Claudio de Miro, 56 anni, ex atleta, capogiudice: «Valutiamo partenza, esecuzione, entrata. La velocità di rotazione è la stessa di quella della piattaforma dei dieci metri, ma ci vuole altra sicurezza e preparazione. L'impatto su una superficie ridotta può essere molto dannoso. Ai mondiali di Barcellona gli uomini si tufferanno da 22 metri e le donne da 20».

Greg Stegger, olandese, è lo specialista in compressione muscolare che per Arena sta studiando costumi in grado di proteggere parti intime (soprattutto per le donne) e altro. «Ma i cliff divers vogliono essere liberi nei movimenti, sentire il loro corpo. Sono molto naif, indossano il costumino, ci tengono a non usare troppa tecnologia».

Hunt è inglese, ma vive a nord di Parigi, Duque è colombiano, ma dopo un passaggio in Austria ora si è trasferito a Honolulu dove lavora in un parco marino, Paredes è messicano, Colturi è americano, è tecnico di laboratorio e parla di «crazy stuff», Silchenko è russo e ha vissuto sei anni in Cina. I cinesi appunto, padroni dei tuffi mondiali, per ora sono assenti in questa specialità.

Spiega Duque: «Non credo sia roba per loro. Sono abituati ad allenamenti ripetitivi, a fare e rifare tecnicamente lo stesso gesto, e dai 27 metri non ti puoi buttare dieci volte in un giorno. Più che uno sport il nostro è un modo di vivere. Bisogna essere un po' pazzi, ma molto lucidi. Non ci piace morire, ma vivere e respirare da ogni poro. Non odiamo gli avversari, anzi prima di buttarci ci abbracciamo». E poi giù.

 

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