CLAMOROSI FATTI NUOVI NELLA LIBERAZIONE DELLA SGRENA
IL SEQUESTRO NASCOSTO DEI DUE UFFICIALI DEL SISMI NELL'APRILE 2004
IL MISTERO DEL QUARTO (E IL QUINTO) UOMO: IRACHENO DA "ESFILTRARE"

Nel numero del settimanale Diario in edicola da domani 18 marzo viene compiuta una ricostruzione della liberazione di Giuliana Sgrena e dei sequestri di italiani che mette in evidenza alcuni fatti nuovi:

1. C'è stato un sequestro di italiani, avvenuto nell'aprile 2004, risolto positivamente (con il pagamento di un riscatto), ma rimasto segreto. I rapiti erano due uomini del Sismi di Nicola Calipari.

2. Sull'auto che portava Giuliana Sgrena all'aeroporto c'era una quarta persona e forse anche una quinta: un italiano, uomo del Sismi, e un iracheno collaboratore del servizio.

3. La liberazione aveva una contropartita economica e una contropartita politica. La contropartita politica richiesta dai rapitori era l'"esfiltrazione" dall'Iraq di un iracheno, un leader sunnita. È già stata realizzata? E se l'iracheno presente sull'auto fosse stato non un collaboratore del Sismi, ma il leader da "esfiltrare", era lui l'obiettivo dell'intervento americano?

4. Gli americani sono intervenuti pesantemente in ogni sequestro di italiani, intromettendosi durante le fasi finali della liberazione: con un blitz per Umberto Cupertino, Salvatore Stefio e Maurizio Agliana, sottratti al commissario della Cri Maurizio Scelli; con un bombardamento aereo nell'area del rilascio delle due Simone; e con l'attacco a Calipari.

IL SEQUESTRO NASCOSTO DEI DUE UFFICIALI DEL SISMI
La storia dei sequestri di italiani in Iraq non comincia il 12 aprile 2004 con la scomparsa di Fabrizio Quattrocchi, Umberto Cupertino, Salvatore Stefio e Maurizio Agliana. Due agenti del Sismi furono rapiti in Iraq pochi giorni prima dei quattro contractor. L'indiscrezione circolò fin da subito, visto che un rapimento di italiani era già stato annunciato dalla Reuters il 9. Poi non se ne parlò più, ma oggi possiamo contare su diverse conferme.

La prima arriva a Diario attraverso una fonte istituzionale che è stata coinvolta in trattative sui sequestri in Iraq. "Prima dei quattro contractor c'era stato un altro rapimento, e si è concluso positivamente". I rapiti erano nientemeno che due uomini del Sismi, il servizio segreto militare, quello di cui faceva parte Nicola Calipari.

La seconda conferma si trova in un libro appena uscito: Iraq. La guerra senza volto (Selene edizioni), di Paolo Cucchiarelli e Vincenzo Mulè. Riporta la testimonianza di una fonte interna ai servizi segreti, che racconta: "Noi pagammo prontacassa", così i due agenti furono "ritrovati" e portati al sicuro. Affermano ancora i due giornalisti: "Due persone vennero effettivamente sequestrate il 9, e comunque durante il primo weekend di aprile, e si trattava di due del Sismi. La trattativa, rapidissima, venne condotta prontacassa, con in mano la valigia di dollari e i due, dopo circa dodici ore, vennero liberati".

Non solo. A tutti è sfuggito un lancio Ansa del 7 marzo 2005, in occasione dei funerali di Calipari, che parla in questi termini di "Corsaro", il maggiore che era in macchina con lui: "Una volta è stato ucciso un suo collaboratore iracheno" e lo stesso maggiore era stato "costretto per ore a stare sdraiato bocconi sul freddo pavimento di una moschea". Il primo lancio della Reuters sugli italiani rapiti il 9 aprile riportava la testimonianza di un fotografo che li aveva visti di persona. Proprio in una moschea.

IL MISTERO DEL QUARTO (E IL QUINTO) UOMO
È stato il presidente del Consiglio in persona, nella sua conferenza stampa a caldo, attorno alle 21 di venerdì 4 marzo, ad affermare che "la signora Sgrena" è stata consegnata "a tre nostri funzionari" e a citare la "macchina su cui c'erano i tre nostri funzionari". Dunque sull'auto attaccata dagli americani, secondo la prima autorevolissima ricostruzione, ci sarebbe una quarta persona, oltre a Sgrena, Calipari e al maggiore "Corsaro".

Ancora tre giorni dopo, lunedì 7 marzo, l'Ansa scrive che "c'è chi parla di un'auto con quattro o cinque persone a bordo, condotta da un iracheno - collaboratore dell'intelligence italiana - e con a bordo anche un altro agente del Sismi che sarebbe rimasto anch'egli ferito, in modo grave". I passeggeri della Toyota Corolla sarebbero dunque addirittura cinque: Sgrena, tre ufficiali del Sismi e un loro collaboratore iracheno.

Ma poi il quarto e il quinto uomo sono mandati nel mondo dei fantasmi dalle versioni successive: la nota di Palazzo Chigi emessa nella notte, alle 00.05 del 5 marzo (dopo l'incontro tra Silvio Berlusconi e l'ambasciatore americano Mel Sembler); e la ricostruzione finale del ministro degli Esteri Gianfranco Fini, martedì 8 alla Camera. "Non c'è nessun mistero circa la presenza di un quarto uomo nell'autovettura che trasportava la giornalista appena liberata e i due agenti del Sismi, tra cui Calipari, verso l'aeroporto", assicura Fini. Niente quarto uomo, niente quinto uomo.

Se questa è la versione ufficiale, i dubbi restano. Per motivi tecnico-militari: è normale andare in giro per Baghdad, di notte, senza un "navigatore" seduto accanto al pilota, pronto a indicare la strada o a prendere il volante in caso d'emergenza? Del resto, le tracce del quarto uomo sono molte. L'Ansa ha subito scritto che "uno dei due agenti" era "in condizioni serie. L'uomo è stato ferito da un colpo di arma da fuoco a un polmone ed è stato sottoposto a un intervento chirurgico nell'ospedale militare americano".

Errore giornalistico? Può essere, ma si sbagliano anche i magistrati e i poliziotti: i sostituti procuratori Franco Ionta e Piero Saviotti hanno infatti subito chiesto di poter interrogare anche "i due funzionari del Sismi feriti durante la sparatoria al check point, non appena sarà possibile riportarli in Italia"; e un rapporto della Digos consegnato alla procura di Roma accenna alla presenza di un quarto uomo sull'auto di Calipari.



A inseguire fino in fondo le voci che non sono confermate e che non potranno mai esserlo, gli scenari cambiano. Il quarto (o quinto) uomo potrebbe essere un iracheno, collaboratore del servizio italiano, da tenere fuori da ogni visibilità per salvaguardare la sua vita in Iraq e per non bruciare un avamposto dell'agenzia su quel terreno.

Oppure - e qui si apre un'altra storia - potrebbe essere un iracheno, un esponente politico sunnita, da "esfiltrare" (cioè da far uscire dall'Iraq) su richiesta dei rapitori, come parte "politica" del riscatto chiesto agli italiani. Gabriele Polo, direttore del Manifesto, ha confermato a Diario di essere stato informato da tempo che la trattativa in corso aveva una contropartita economica e una politica. Questa potrebbe essere stata l'esfiltrazione, appunto, di un leader sunnita.

Se è così, si apre una domanda inquietante: gli americani possono aver avuto come obiettivo del loro attacco sulla strada dell'aeroporto di Baghdad quello di bloccare, catturare, eliminare questo quarto uomo?

GLI INTERVENTI DEGLI AMERICANI
Siamo in attesa dei risultati della commissione d'inchiesta congiunta Usa-Italia. Ma i giochi sembrano già fatti. L'attacco della pattuglia americana sulla strada dell'aeroporto è imputabile agli errori degli italiani: velocità dell'auto troppo alta, comunicazione insufficiente (tesi Usa). Oppure all'inesperienza dei giovani soldati americani (tesi italiana).

Del quarto uomo, se davvero era un leader iracheno da esfiltrare, non sentiremo mai più parlare, né dagli americani, né dagli italiani. Anche perché chi torna in Italia dall'Iraq è tenuto al segreto (se agente del servizio) o al segreto si ritiene vincolato per riconoscenza (se ostaggio liberato). Il "debriefing" (che cosa si può dire e che cosa non si può dire) finora ha funzionato molto bene.

Tanto che Nicola Calipari era rimasto nell'ombra, malgrado il suo ruolo nella liberazione dei tre contractor e delle due Simone. Ma così bene, che anche qualche magistrato romano se n'era lamentato.

Il commissario della Croce rossa italiana Maurizio Scelli aveva potuto prendersi il merito di entrambe le operazioni. A Diario ha raccontato di aver ricevuto l'indicazione del luogo dove si trovava un furgone Kia con i tre contractor. Ma gli americani si erano messi di traverso: "L'intelligence americana aveva captato la telefonata. Sono andati loro sul posto prima di me e hanno fatto il blitz".

Pollari al Copaco (il Comitato parlamentare di controllo sui servizi di sicurezza) nel giugno 2004 la racconta in modo parzialmente diverso. Dice che il Sismi dapprima ha avviato contatti con i rapitori, poi "ha deciso di lasciare il campo a iniziative umanitarie" (evidentemente la Croce rossa di Scelli), fino all'intervento finale, realizzato dagli americani.


Nella liberazione delle Simone le cose vanno anche peggio: gli americani sono tagliati fuori; Calipari (che dirige le operazioni) è all'aeroporto ad aspettare; Scelli copre gli uomini del servizio mettendo (molto volentieri) la sua faccia e la sua firma all'operazione. Però, secondo quanto scrivono Paolo Cucchiarelli e Vincenzo Mulè nel loro libro, l'aviazione Usa compie una clamorosa azione di disturbo, bombardando la zona dove sta avvenendo l'operazione di rilascio, finché da Roma parte, sempre secondo Cucchiarelli e Mulè, una protesta che raggiunge il Pentagono. Alla fine, le due Simone sono liberate e a incassare il successo mediatico è Scelli.

Ma forse ha esagerato? Ha mantenuto contatti e tenuto aperte piste che hanno interferito con il lavoro di Calipari? È quello che sembra dire Enzo Bianco, il presidente del Copaco, già commentando l'audizione di Pollari del settembre 2004, subito dopo il terribile esito del sequesto di Enzo Baldoni: "Si è avuta la sensazione di possibili accavallamenti da parte di soggetti diversi dai servizi. Chiunque abbia posto in essere iniziative non concordate rischia di aver fatto danni".

Con Giuliana Sgrena la musica cambia. Scaricato Scelli, Berlusconi e Letta imbarcano il Manifesto. Ma gli americani? Davvero è possibile che, dopo essere intervenuti pesantemente nel caso dei tre contractor e delle due Simone, questa volta non sapessero nulla di ciò che stava succedendo?

Difficile crederlo, anche a leggere con attenzione la relazione del generale Marioli. A lui Calipari aveva raccontato tutto. E Marioli aveva comunicato ai comandi Usa, già a metà febbraio, il prossimo arrivo a Baghdad di un nucleo di agenti italiani "in relazione alle attività in corso per il sequestro Sgrena". Ci vuole molto per capire?

A ogni buon conto, alle 20.30 del 4 marzo Marioli diventa del tutto esplicito e comunica agli americani che "eravamo lì perché era stato liberato l'ostaggio italiano che doveva proseguire per l'Italia".
È pensabile che, con tutta la tecnologia americana, non siano stati controllati tutti gli spostamenti e tutte le comunicazioni di Calipari e dei suoi, fino a quella maledetta pattuglia a 700 metri dalla salvezza?


Dagospia 17 Marzo 2005