ALIERTA AL MURO: O PORTA A CASA TIM BRASIL O LANCIA L'OPA (LINARES PRONTO)
BARBARA B. A MARINA B.: "STO ARRIVANDO, FATTI PIÙ IN LÀ!" - FANTOZZI HA PAURA
CROLLA LA LEHMAN E COLANINNO COLA A PICCO - SCAJOLA NUCLEARE CON ORTIS
BARBARA B. A MARINA B.: "STO ARRIVANDO, FATTI PIÙ IN LÀ!" - FANTOZZI HA PAURA
CROLLA LA LEHMAN E COLANINNO COLA A PICCO - SCAJOLA NUCLEARE CON ORTIS
1 - ALIERTA AL MURO: O PORTA A CASA TIM BRASIL O LANCIA UN'OPA (LINARES È PRONTO)
È stato un weekend di lavoro per Franchino Bernabè che giovedì dovrà tirar fuori dal cilindro qualche coniglio meraviglioso.
È questo che si aspettano i membri del consiglio di amministrazione di TelecomItalia che conoscono solo una parte delle mosse del manager di Vipiteno. Nei giorni scorsi sono usciti in silenzio 5.000 dipendenti che hanno usufruito della mobilità senza fare le barricate dei piloti.
All'appuntamento Bernabè dovrebbe arrivare portando, oltre a questo successo silenzioso, un carnet ricco di novità; tra queste la vendita di Alice France, e il progetto di scorporare la rete in una società nella quale potrebbero entrare investitori istituzionali e anche Francesco Caio, il manager "telefonico" che ha visto crollare nella City la sua Lehman Brothers.
C'è poi un altro punto dell'agenda che riguarda l'ingresso di fondi sovrani tra cui in primo luogo quello della Libia favorito dai buoni uffici del finanziere franco-tunisino-berlusconiano, Tarak Ben Ammar (come Dagospia ha anticipato prima di altri).
E qui si tratterà di vedere come reagiranno gli spagnoli di Telefonica guidati da Cèsar Alierta, l'imprenditore di Saragoza che insieme a Julio Linares soffre per il crollo verticale del titolo Telecom. Fin da quando è entrato nell'azienda italiana il 63enne Alierta ha sempre parlato di sinergie tra la sua azienda che oggi capitalizza 79,5 miliardi e TelecomItalia. Così era scritto in tutti i comunicati stampa e nella comunicazione che Telefonica inviò alla Consob il 28 aprile 2007 sostenendo di avere anche un diritto di prelazione sulla vendita di azioni della nuova società.
Le sinergie si sono rivelate delle fesserie, e per dirla con un linguaggio più industriale, non se ne è vista finora alcuna efficacia. Per Alierta nominato nel 2002 presidente di Telefonica dall'amico Aznar, l'aria comincia a diventare pesante, così pesante che a Madrid corrono voci di una resa dei conti imminente tra questo manager aragonese e il suo braccio destro Linares al quale vengono attribuite le simpatie di Zapatero.
Nei giorni scorsi Telefonica ha incontrato i sindacati per un piano di licenziamenti che non supera le 1.000 unità, ma l'azienda gode di buona salute se non fosse per la "maldiciòn", la maledizione italiana di Telecom dove l'investimento di Alierta finora si è rivelato fallimentare. Ecco allora correre per i "bar de tapas" di plaza Mayor, rumor consistenti sull'ultimatum che alcuni azionisti avrebbero indirizzato ad Alierta dopo il suo fallimentare viaggio a Milano e a Roma in cui il governo italiano gli ha sbattuto le porte in faccia.
Al manager aragonese gli azionisti chiedono di scegliere tra un'Opa a tempi stretti oppure l'acquisizione di Tim Brasil. Due operazioni difficili e per molti versi impossibili. Ecco perché a Madrid assicurano che Alierta verrà presto fatto fuori e sostituito da Julio Linares.
2 - FANTOZZI HA PAURA DELLA MAGISTRATURA - GIU' LA LEHMAN E COLANINNO COLA A PICCO
I più preoccupati per la salute e il destino di Augusto Fantozzi sono gli 11 soci e i 29 collaboratori del magnifico studio romano di via Sicilia.
Per anni questi esperti di diritto e di finanza hanno lavorato ventre a terra in modo da costruire intorno all'ex-ministro viterbese, un'immagine perfetta. E così hanno fatto i colleghi degli altri studi di Milano, Bologna e Lugano dove Fantozzi dispone di una bella sede in via Lucchini.
Da parte sua il professore e tributarista non ha alcuna voglia di disintegrare per colpa di Alitalia un'onorata carriera che gli ha reso fama e quattrini. Per far questo adesso l'ex-ministro delle Finanze non esita a incrinare il piccolo capolavoro politico messo in piedi Berlusconi quando ha chiamato un imprenditore come Colaninno (vicino ai Ds dalemiani) e un tributarista come Fantozzi (vicino a Lamberto Dini), per chiudere la partita Alitalia.
Sembrava un'operazione perfetta, ma purtroppo accanto al Cavaliere dai capelli cremolati e al suo camerlengo Gianni Letta, si sono presentati pessimi protagonisti che hanno offerto uno spettacolo penoso. Primi fra tutti alcuni ministri del suo governo come Sacconi e Matteoli che hanno menato la danza con l'unico obiettivo di frantumare il fronte sindacale. Poi ci si è messo anche il Colaninno preoccupato per la tenuta della cordata e magari anche per l'implosione di quella Lehman Brothers che con l'amico Magnoni gli ha sempre trovato i quattrini.
Inutile aggiungere che pessimi si sono rivelati i leader sindacali sorridenti come Bonanni e autolesionisti come Epifani, quest'ultimo, spiazzato dalla fronda interna della Cgil e dalla casta dei piloti.
Di fronte a questo spettacolo Fantozzi si è spaventato ed è stato inghiottito dalla paura. I collaboratori dei suoi studi in Italia e in Svizzera lo hanno messo in guardia dal rischio di rovinare la carriera e di essere massacrato dalla magistratura contabile dello Stato e da quella ordinaria.
A spaventarlo sono state soprattutto le due lettere che un gruppo di giuristi e di economisti capeggiati da Pietro Schlesinger e Tito Boeri hanno inviato al "Corriere della Sera". Le loro argomentazioni sull'irregolarità della procedura lo hanno terrorizzato ben più delle urla che il presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, ha lanciato in difesa dei 1.600 operatori che da Palermo gestiscono il call center di Alitalia.
La politica faccia la sua strada, io faccio la mia. Così ha risposto ieri pomeriggio il diniano Fantozzi ai giornalisti che lo interrogavano.
Erano le 18 e a quell'ora Massimo D'Alema usciva insieme alla moglie e alla cagnetta Lula per una passeggiatina nel quartiere Prati. Era tranquillo e sorridente perché la politica è cinica e dura mentre il diritto in Italia è terribilmente elastico.
3 - SCAJOLA NUCLEARE
C'è un ministro che in tutta la vicenda Alitalia si è tenuto "largo", con dichiarazioni a volte chiare, altre volte confuse, comunque mai impegnative come avrebbe richiesto la titolarità del suo dicastero.
È Claudio Scajola, il 60enne politico ex-democristiano di Imperia che pur occupando la carica di ministro per lo sviluppo economico, ha lasciato la guazza ai queruli colleghi Sacconi e Matteoli.
La verità è che Scajola non ha voglia di bruciarsi le penne per la Compagnia di bandiera. Nel suo arco ci sono altre frecce, prima fra tutte il nucleare che nel suo piano energetico dovrà risolvere il 25% del fabbisogno italiano. Per portare avanti questo disegno è deciso a mettere le mani sull'Autorità per l'Energia e mandare a casa il presidente bocconiano di Udine Alessandro Ortis e gli altri commissari. C'è chi grida allo scandalo per questa operazione di potere che mira a lottizzare l'Authority, ma Scajola se ne frega delle critiche e va avanti come un bulldozer.
Domani sarà a Napoli per l'inaugurazione dell'Archivio Storico dell'Enel, 13 km di carte che l'azienda di Fulvio Conti ha raccolto in un complesso di via Granelli vicino al Porto. Il materiale riguarda 1.200 società elettriche operanti prima della nazionalizzazione e le carte dell'Enel per gli anni '62-63.
Alla cerimonia parteciperanno gli studiosi che dall'85 hanno lavorato per raccogliere la documentazione, primi fra tutti gli storici Valerio Castronovo, Giuseppe Galasso e Luigi Maria Sicca. Davanti al pallido Piero Gnudi e al massiccio Gianluca Comin di Enel, l'ineffabile Scajola ripeterà ancora una volta che entro il 2017 la prima centrale nucleare dell'Enel sarà operativa (applausi).
4 - BARBARA B. A MARINA B.: "STO ARRIVANDO, FATTI PIÙ IN LÀ!
È molto probabile che ieri mattina Giulietto Tremonti si sia messo le mani nei capelli in preda allo sconforto.
Non più tardi di venerdì aveva esclamato in Confindustria: "economisti tacete!", un invito perentorio ai profeti di catastrofi che riempiono i giornali di previsioni sbagliate. A far dolere la testa del genietto di Sondrio non è stato l'articolo piuttosto vago di Mario Monti pubblicato dal "Corriere della Sera", tantomeno quelli del dandy Giavazzi (ancora più flebile) e di Domenico Siniscalco che insieme a Luigi Zingales si dilettano sulla fine del modello capitalista americano.
Il colpo al cuore è arrivato dall'intervista di Barbara Berlusconi, la 24enne figlia di Veronica, che sulle colonne del quotidiano "La Stampa" ha pontificato sull'etica nella finanza. Di tutto si poteva aspettare il povero Tremonti (anche che gli economisti non tacessero) ma che questa ragazza, debuttante a Parigi nel 2001 con i vestiti di Chanel, potesse entrare a piedi giunti nella scienza triste dell'economia. Eppure Barbarella annuncia solennemente che "il ricorso all'etica sembra essere la strada migliore per trovare una soluzione alla dilagante crisi economica".
Sono parole che fino a ieri stavano nelle encicliche pontificie e sulla bocca di Amartya Sen, l'economista indiano che nel '98 ha preso il premio Nobel dell'economia. La fanciulla ha studiato filosofia all'università di San Raffaele, è stata allevata dalla madre Veronica con iniezioni di Stirner e Cacciari, e dopo aver dato alla luce 11 mesi fa un bel bambino sfida gli scienziati tristi con proposizioni impegnative.
Il giornalista della "Stampa" Luca Ubaldeschi che l'ha intervistata osa l'impossibile, e a un certo punto chiede alla giovane berluschina: "che voto dà all'etica imprenditoriale di suo padre?". La risposta è un capolavoro di diplomazia "lariana" (dal nome della madre): "apprezzo il rispetto per le altre persone e la disponibilità ad ascoltare".
Ma c'è un altro passaggio dell'intervista che deve aver fatto rizzare i capelli in casa Berlusconi ed è quando la giovane Barbarella dice: "il mio obiettivo è una carriera da manager dentro la Mondadori, studio per questo".
E qui oltre a Tremonti è Marina Berlusconi, la 42enne primogenita di Silvio a sentirsi toccata. La settimana scorsa questa donna, che le sciocche classifiche di "Forbes" hanno collocato tra le padrone del mondo, è entrata nel salotto di Mediobanca e dal 2003 guida la Mondadori.
Il messaggio della giovane Barbara è chiaro: sto arrivando, fatti più in là!
Dagospia 22 Settembre 2008
È stato un weekend di lavoro per Franchino Bernabè che giovedì dovrà tirar fuori dal cilindro qualche coniglio meraviglioso.
È questo che si aspettano i membri del consiglio di amministrazione di TelecomItalia che conoscono solo una parte delle mosse del manager di Vipiteno. Nei giorni scorsi sono usciti in silenzio 5.000 dipendenti che hanno usufruito della mobilità senza fare le barricate dei piloti.
All'appuntamento Bernabè dovrebbe arrivare portando, oltre a questo successo silenzioso, un carnet ricco di novità; tra queste la vendita di Alice France, e il progetto di scorporare la rete in una società nella quale potrebbero entrare investitori istituzionali e anche Francesco Caio, il manager "telefonico" che ha visto crollare nella City la sua Lehman Brothers.
C'è poi un altro punto dell'agenda che riguarda l'ingresso di fondi sovrani tra cui in primo luogo quello della Libia favorito dai buoni uffici del finanziere franco-tunisino-berlusconiano, Tarak Ben Ammar (come Dagospia ha anticipato prima di altri).
E qui si tratterà di vedere come reagiranno gli spagnoli di Telefonica guidati da Cèsar Alierta, l'imprenditore di Saragoza che insieme a Julio Linares soffre per il crollo verticale del titolo Telecom. Fin da quando è entrato nell'azienda italiana il 63enne Alierta ha sempre parlato di sinergie tra la sua azienda che oggi capitalizza 79,5 miliardi e TelecomItalia. Così era scritto in tutti i comunicati stampa e nella comunicazione che Telefonica inviò alla Consob il 28 aprile 2007 sostenendo di avere anche un diritto di prelazione sulla vendita di azioni della nuova società.
Le sinergie si sono rivelate delle fesserie, e per dirla con un linguaggio più industriale, non se ne è vista finora alcuna efficacia. Per Alierta nominato nel 2002 presidente di Telefonica dall'amico Aznar, l'aria comincia a diventare pesante, così pesante che a Madrid corrono voci di una resa dei conti imminente tra questo manager aragonese e il suo braccio destro Linares al quale vengono attribuite le simpatie di Zapatero.
Nei giorni scorsi Telefonica ha incontrato i sindacati per un piano di licenziamenti che non supera le 1.000 unità, ma l'azienda gode di buona salute se non fosse per la "maldiciòn", la maledizione italiana di Telecom dove l'investimento di Alierta finora si è rivelato fallimentare. Ecco allora correre per i "bar de tapas" di plaza Mayor, rumor consistenti sull'ultimatum che alcuni azionisti avrebbero indirizzato ad Alierta dopo il suo fallimentare viaggio a Milano e a Roma in cui il governo italiano gli ha sbattuto le porte in faccia.
Al manager aragonese gli azionisti chiedono di scegliere tra un'Opa a tempi stretti oppure l'acquisizione di Tim Brasil. Due operazioni difficili e per molti versi impossibili. Ecco perché a Madrid assicurano che Alierta verrà presto fatto fuori e sostituito da Julio Linares.
2 - FANTOZZI HA PAURA DELLA MAGISTRATURA - GIU' LA LEHMAN E COLANINNO COLA A PICCO
I più preoccupati per la salute e il destino di Augusto Fantozzi sono gli 11 soci e i 29 collaboratori del magnifico studio romano di via Sicilia.
Per anni questi esperti di diritto e di finanza hanno lavorato ventre a terra in modo da costruire intorno all'ex-ministro viterbese, un'immagine perfetta. E così hanno fatto i colleghi degli altri studi di Milano, Bologna e Lugano dove Fantozzi dispone di una bella sede in via Lucchini.
Da parte sua il professore e tributarista non ha alcuna voglia di disintegrare per colpa di Alitalia un'onorata carriera che gli ha reso fama e quattrini. Per far questo adesso l'ex-ministro delle Finanze non esita a incrinare il piccolo capolavoro politico messo in piedi Berlusconi quando ha chiamato un imprenditore come Colaninno (vicino ai Ds dalemiani) e un tributarista come Fantozzi (vicino a Lamberto Dini), per chiudere la partita Alitalia.
Sembrava un'operazione perfetta, ma purtroppo accanto al Cavaliere dai capelli cremolati e al suo camerlengo Gianni Letta, si sono presentati pessimi protagonisti che hanno offerto uno spettacolo penoso. Primi fra tutti alcuni ministri del suo governo come Sacconi e Matteoli che hanno menato la danza con l'unico obiettivo di frantumare il fronte sindacale. Poi ci si è messo anche il Colaninno preoccupato per la tenuta della cordata e magari anche per l'implosione di quella Lehman Brothers che con l'amico Magnoni gli ha sempre trovato i quattrini.
Inutile aggiungere che pessimi si sono rivelati i leader sindacali sorridenti come Bonanni e autolesionisti come Epifani, quest'ultimo, spiazzato dalla fronda interna della Cgil e dalla casta dei piloti.
Di fronte a questo spettacolo Fantozzi si è spaventato ed è stato inghiottito dalla paura. I collaboratori dei suoi studi in Italia e in Svizzera lo hanno messo in guardia dal rischio di rovinare la carriera e di essere massacrato dalla magistratura contabile dello Stato e da quella ordinaria.
A spaventarlo sono state soprattutto le due lettere che un gruppo di giuristi e di economisti capeggiati da Pietro Schlesinger e Tito Boeri hanno inviato al "Corriere della Sera". Le loro argomentazioni sull'irregolarità della procedura lo hanno terrorizzato ben più delle urla che il presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, ha lanciato in difesa dei 1.600 operatori che da Palermo gestiscono il call center di Alitalia.
La politica faccia la sua strada, io faccio la mia. Così ha risposto ieri pomeriggio il diniano Fantozzi ai giornalisti che lo interrogavano.
Erano le 18 e a quell'ora Massimo D'Alema usciva insieme alla moglie e alla cagnetta Lula per una passeggiatina nel quartiere Prati. Era tranquillo e sorridente perché la politica è cinica e dura mentre il diritto in Italia è terribilmente elastico.
3 - SCAJOLA NUCLEARE
C'è un ministro che in tutta la vicenda Alitalia si è tenuto "largo", con dichiarazioni a volte chiare, altre volte confuse, comunque mai impegnative come avrebbe richiesto la titolarità del suo dicastero.
È Claudio Scajola, il 60enne politico ex-democristiano di Imperia che pur occupando la carica di ministro per lo sviluppo economico, ha lasciato la guazza ai queruli colleghi Sacconi e Matteoli.
La verità è che Scajola non ha voglia di bruciarsi le penne per la Compagnia di bandiera. Nel suo arco ci sono altre frecce, prima fra tutte il nucleare che nel suo piano energetico dovrà risolvere il 25% del fabbisogno italiano. Per portare avanti questo disegno è deciso a mettere le mani sull'Autorità per l'Energia e mandare a casa il presidente bocconiano di Udine Alessandro Ortis e gli altri commissari. C'è chi grida allo scandalo per questa operazione di potere che mira a lottizzare l'Authority, ma Scajola se ne frega delle critiche e va avanti come un bulldozer.
Domani sarà a Napoli per l'inaugurazione dell'Archivio Storico dell'Enel, 13 km di carte che l'azienda di Fulvio Conti ha raccolto in un complesso di via Granelli vicino al Porto. Il materiale riguarda 1.200 società elettriche operanti prima della nazionalizzazione e le carte dell'Enel per gli anni '62-63.
Alla cerimonia parteciperanno gli studiosi che dall'85 hanno lavorato per raccogliere la documentazione, primi fra tutti gli storici Valerio Castronovo, Giuseppe Galasso e Luigi Maria Sicca. Davanti al pallido Piero Gnudi e al massiccio Gianluca Comin di Enel, l'ineffabile Scajola ripeterà ancora una volta che entro il 2017 la prima centrale nucleare dell'Enel sarà operativa (applausi).
4 - BARBARA B. A MARINA B.: "STO ARRIVANDO, FATTI PIÙ IN LÀ!
È molto probabile che ieri mattina Giulietto Tremonti si sia messo le mani nei capelli in preda allo sconforto.
Non più tardi di venerdì aveva esclamato in Confindustria: "economisti tacete!", un invito perentorio ai profeti di catastrofi che riempiono i giornali di previsioni sbagliate. A far dolere la testa del genietto di Sondrio non è stato l'articolo piuttosto vago di Mario Monti pubblicato dal "Corriere della Sera", tantomeno quelli del dandy Giavazzi (ancora più flebile) e di Domenico Siniscalco che insieme a Luigi Zingales si dilettano sulla fine del modello capitalista americano.
Il colpo al cuore è arrivato dall'intervista di Barbara Berlusconi, la 24enne figlia di Veronica, che sulle colonne del quotidiano "La Stampa" ha pontificato sull'etica nella finanza. Di tutto si poteva aspettare il povero Tremonti (anche che gli economisti non tacessero) ma che questa ragazza, debuttante a Parigi nel 2001 con i vestiti di Chanel, potesse entrare a piedi giunti nella scienza triste dell'economia. Eppure Barbarella annuncia solennemente che "il ricorso all'etica sembra essere la strada migliore per trovare una soluzione alla dilagante crisi economica".
Sono parole che fino a ieri stavano nelle encicliche pontificie e sulla bocca di Amartya Sen, l'economista indiano che nel '98 ha preso il premio Nobel dell'economia. La fanciulla ha studiato filosofia all'università di San Raffaele, è stata allevata dalla madre Veronica con iniezioni di Stirner e Cacciari, e dopo aver dato alla luce 11 mesi fa un bel bambino sfida gli scienziati tristi con proposizioni impegnative.
Il giornalista della "Stampa" Luca Ubaldeschi che l'ha intervistata osa l'impossibile, e a un certo punto chiede alla giovane berluschina: "che voto dà all'etica imprenditoriale di suo padre?". La risposta è un capolavoro di diplomazia "lariana" (dal nome della madre): "apprezzo il rispetto per le altre persone e la disponibilità ad ascoltare".
Ma c'è un altro passaggio dell'intervista che deve aver fatto rizzare i capelli in casa Berlusconi ed è quando la giovane Barbarella dice: "il mio obiettivo è una carriera da manager dentro la Mondadori, studio per questo".
E qui oltre a Tremonti è Marina Berlusconi, la 42enne primogenita di Silvio a sentirsi toccata. La settimana scorsa questa donna, che le sciocche classifiche di "Forbes" hanno collocato tra le padrone del mondo, è entrata nel salotto di Mediobanca e dal 2003 guida la Mondadori.
Il messaggio della giovane Barbara è chiaro: sto arrivando, fatti più in là!
Dagospia 22 Settembre 2008