"REPUBBLICA" VS. IL BERLUSCONISMO SENZA LIMITISMO - SE SARÀ CONDANNATO, GERONZI COME BANCHIERE NON HA FUTURO. E ALLORA PUNTA ALLA POLTRONA DI BERNHEIM - SCALFARI: MARINA B. IN MEDIOBANCA? UN'ANOMALIA.
1 - "TODO MODO" E LA MARCIA SULLE GENERALI.
Massimo Giannini per "la Repubblica - Affari & Finanza"
La battaglia su Mediobanca è finita. Chi ha vinto, tra Geronzi spalleggiato dai soci storici e i manager Nagel e Pagliaro sostenuti da Profumo? Dieter Rampl, sul "Sole 24 Ore", se la cava con eleganza: «Ha vinto Mediobanca». Forse non ha nemmeno torto. Il ritorno dal sistema di governance duale a quello tradizionale poteva avvenire all'insegna della «restaurazione» autocratica dell'era cucciana: un presidente che detta le tavole della legge, un'intendenza fidata pronta solo a seguire.
Se questo era l'obiettivo di Geronzi, le cose sono andate diversamente. Mediobanca cambia pelle, ma non sarà più e non sarà mai quel monolite impenetrabile costruito a misura del Grande Vecchio che muoveva, da solo, le fila del capitalismo italiano.
Ma se una battaglia è finita, la vera guerra comincia solo adesso. Il «lodo» raggiunto su Mediobanca come scritto da Adriano Bonafede su "Affari e Finanza" della scorsa settimana consente a Geronzi di puntare dritto, subito, alla vicepresidenza della controllata più preziosa, le Generali. E giocando d'anticipo, di puntare subito dopo alla poltrona di Antoine Bernheim, l'ottuagenario presidente del Leone Alato, magari anche prima della scadenza del suo mandato prevista nell'aprile 2010.
Con buona pace di Davide Serra, dei fondi attivisti e di tutti quelli che chiedono a Generali un rinnovamento profondo della sua «nomenklatura» e della sua strategia, senza la quale la compagnia (pur avendo registrato nell'ultimo semestre un utile percentualmente migliore di quello di Allianz, Axa o Swiss Re) resta un potenziale bersaglio per un inevitabile takeover dall'estero.
Se questo è lo scenario bellico che ci aspetta, le ragioni di Geronzi sono intuibili. Come banchiere, con una sentenza di condanna in primo grado che presto potrebbe passare in giudicato, avrebbe il destino segnato per ragioni di «onorabilità». Come assicuratore, invece, potrebbe cavarsela ancora una volta senza troppi danni.
Resta però una punta di amarezza, e anche una sensazione di disagio, per un establishment che continua a occupare il salotto buono come fosse l'Eremo di Zafer raccontato da Leonardo Sciascia in «Todo modo». I potenti, riuniti in «ritiro spirituale», recitano le loro arcane preghiere, girando intorno a un quadrato e scambiandosi di posto secondo un ordine misterioso. Mentre prega, il potere perpetra anche i suoi insondabili delitti. E il colpevole? Non provate neanche a cercarlo: non ha nome, non ha volto, non si trova mai.
2 - SCALFARI: MARINA BERLUSCONI NEL CDA MEDIOBANCA? UN'ANOMALIA
Eugenio Scalfari per "la Repubblica"
(.) Ha fatto sensazione leggere il nome di Marina Berlusconi nel nuovo consiglio di amministrazione di Mediobanca, nella sua qualità di rappresentante di Fininvest, presente con l´uno per cento nel patto di sindacato di Piazzetta Cuccia. La presenza di Marina Berlusconi è pienamente legittimata dalla presenza della Fininvest nel capitale di Mediobanca; non toglie che rappresenti un´altra anomalia del sistema Italia. Fininvest ha amici potenti e collaudati nel cda di Piazzetta Cuccia: Mediolanum, i francesi di Tarak Ben Ammar, Ligresti, Tronchetti Provera, Geronzi. Per quel tanto che conta in Mediobanca, c´è anche Banca Intesa.
La famiglia Berlusconi si muove da tempo per stabilire rapporti intrinseci con le banche e l´establishment assicurativo e finanziario italiano oltre che con quello industriale. Sono passati i tempi del Berlusconi che sparava sulla grande impresa e sulla grande finanza sostenendo gli interessi e le aspettative delle partite Iva e delle piccole imprese. È finita la caccia alle allodole ed è cominciata quella al cinghiale. La stessa operazione Alitalia mira a questo risultato. Dietro la bandiera tricolore c´è sempre un sottofondo di interessi politici ed economici, ma questo lo sappiamo da un pezzo e accade in tutto il mondo.
Dagospia 22 Settembre 2008
Massimo Giannini per "la Repubblica - Affari & Finanza"
La battaglia su Mediobanca è finita. Chi ha vinto, tra Geronzi spalleggiato dai soci storici e i manager Nagel e Pagliaro sostenuti da Profumo? Dieter Rampl, sul "Sole 24 Ore", se la cava con eleganza: «Ha vinto Mediobanca». Forse non ha nemmeno torto. Il ritorno dal sistema di governance duale a quello tradizionale poteva avvenire all'insegna della «restaurazione» autocratica dell'era cucciana: un presidente che detta le tavole della legge, un'intendenza fidata pronta solo a seguire.
Se questo era l'obiettivo di Geronzi, le cose sono andate diversamente. Mediobanca cambia pelle, ma non sarà più e non sarà mai quel monolite impenetrabile costruito a misura del Grande Vecchio che muoveva, da solo, le fila del capitalismo italiano.
Ma se una battaglia è finita, la vera guerra comincia solo adesso. Il «lodo» raggiunto su Mediobanca come scritto da Adriano Bonafede su "Affari e Finanza" della scorsa settimana consente a Geronzi di puntare dritto, subito, alla vicepresidenza della controllata più preziosa, le Generali. E giocando d'anticipo, di puntare subito dopo alla poltrona di Antoine Bernheim, l'ottuagenario presidente del Leone Alato, magari anche prima della scadenza del suo mandato prevista nell'aprile 2010.
Con buona pace di Davide Serra, dei fondi attivisti e di tutti quelli che chiedono a Generali un rinnovamento profondo della sua «nomenklatura» e della sua strategia, senza la quale la compagnia (pur avendo registrato nell'ultimo semestre un utile percentualmente migliore di quello di Allianz, Axa o Swiss Re) resta un potenziale bersaglio per un inevitabile takeover dall'estero.
Se questo è lo scenario bellico che ci aspetta, le ragioni di Geronzi sono intuibili. Come banchiere, con una sentenza di condanna in primo grado che presto potrebbe passare in giudicato, avrebbe il destino segnato per ragioni di «onorabilità». Come assicuratore, invece, potrebbe cavarsela ancora una volta senza troppi danni.
Resta però una punta di amarezza, e anche una sensazione di disagio, per un establishment che continua a occupare il salotto buono come fosse l'Eremo di Zafer raccontato da Leonardo Sciascia in «Todo modo». I potenti, riuniti in «ritiro spirituale», recitano le loro arcane preghiere, girando intorno a un quadrato e scambiandosi di posto secondo un ordine misterioso. Mentre prega, il potere perpetra anche i suoi insondabili delitti. E il colpevole? Non provate neanche a cercarlo: non ha nome, non ha volto, non si trova mai.
2 - SCALFARI: MARINA BERLUSCONI NEL CDA MEDIOBANCA? UN'ANOMALIA
Eugenio Scalfari per "la Repubblica"
(.) Ha fatto sensazione leggere il nome di Marina Berlusconi nel nuovo consiglio di amministrazione di Mediobanca, nella sua qualità di rappresentante di Fininvest, presente con l´uno per cento nel patto di sindacato di Piazzetta Cuccia. La presenza di Marina Berlusconi è pienamente legittimata dalla presenza della Fininvest nel capitale di Mediobanca; non toglie che rappresenti un´altra anomalia del sistema Italia. Fininvest ha amici potenti e collaudati nel cda di Piazzetta Cuccia: Mediolanum, i francesi di Tarak Ben Ammar, Ligresti, Tronchetti Provera, Geronzi. Per quel tanto che conta in Mediobanca, c´è anche Banca Intesa.
La famiglia Berlusconi si muove da tempo per stabilire rapporti intrinseci con le banche e l´establishment assicurativo e finanziario italiano oltre che con quello industriale. Sono passati i tempi del Berlusconi che sparava sulla grande impresa e sulla grande finanza sostenendo gli interessi e le aspettative delle partite Iva e delle piccole imprese. È finita la caccia alle allodole ed è cominciata quella al cinghiale. La stessa operazione Alitalia mira a questo risultato. Dietro la bandiera tricolore c´è sempre un sottofondo di interessi politici ed economici, ma questo lo sappiamo da un pezzo e accade in tutto il mondo.
Dagospia 22 Settembre 2008