giuseppe conte davide casaleggio huawei

DON’T GO HUAWEI – L’ITALIA NON METTERÀ AL BANDO LE AZIENDE CINESI DAL 5G, ALMENO PER ORA – IL MOTIVO È ANCHE E SOPRATTUTTO LEGALE: UN ATTO CHE ESCLUDA PER RAGIONI DI SICUREZZA HUAWEI È GIUSTIZIABILE E DAREBBE VITA A UN’INFINITA BATTAGLIA LEGALE – MA PALAZZO CHIGI, CON BUONA PACE DEL “LOBBISTA TOP” CASALEGGIO, PUÒ STRINGERE A TENAGLIA I CINESI: CON IL GOLDEN POWER E RENDENDO PIÙ COSTOSO LAVORARE CON I FORNITORI EXTRA UE…

 

 

HUAWEI

Huawei, no way. Ecco tutti i bastoni italiani nelle ruote del 5G cinese

Francesco Bechis per www.formiche.net

 

In Italia non ci sarà la messa al bando delle aziende cinesi dalla rete 5G. Non ora, perlomeno. Il rebus che incombe sulle relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti, da mesi in pressing per mettere alla porta le cinesi Huawei e Zte, è di difficile soluzione.

 

IL NODO LEGALE: TRUMP PUÒ, NOI NO

Il primo, vero motivo, confida a Formiche.net una fonte qualificata di Palazzo Chigi, è strettamente legale. Un atto che escluda per ragioni di sicurezza le aziende cinesi, in Italia, è giustiziabile.

 

GIUSEPPE CONTE E DONALD TRUMP

Cioè darebbe vita a un’infinita battaglia legale in tribunale, senza certezza alcuna di vittoria per l’avvocatura dello Stato. È questo uno dei nodi di fondo che fa restare sull’attenti i governi di mezza Europa. Non gli Stati Uniti, dove il sistema giudiziario permette di circumnavigare il problema.

 

Un executive order come quello con cui il presidente Donald Trump, nel maggio del 2019, ha messo al bando Huawei (finora mai entrato in vigore e ciclicamente prorogato), infatti, non può essere impugnato.

BORIS JOHNSON USA UN TELEFONO HUAWEI

 

E se negli ambienti di intelligence c’è chi, anche fra i vertici, preme per una “soluzione anglosassone” del dilemma 5G, sulla scia della tardiva conversione di Boris Johnson, che ha infine disposto l’esclusione dei fornitori cinesi, è pur vero che, nel frattempo, l’Italia deve trovare una soluzione alternativa.

 

IL PERIMETRO CYBER

Dal mercato è arrivato un primo, eloquente segnale. Il 9 luglio Tim, ha annunciato Reuters (senza ricevere smentite), ha dato il ben servito alla cinese Huawei, decidendo di non invitarla alla gara per costruire la rete 5G in Italia e Brasile. Una scelta strategica, da ascrivere ai vertici del primo operatore italiano, e in particolare al manager di ferro alla guida dell’azienda, Luigi Gubitosi. Per il momento, l’iniziativa è rimasta isolata. Ma ha anche portato il governo a spingere sull’acceleratore.

IL TWEET DI DEANNA LORRAINE SU CASALEGGIO LOBBISTA DI HUAWEI

 

La manovra a tenaglia di Palazzo Chigi per alzare l’asticella della sicurezza si compone così. Da una parte il “Perimetro di sicurezza nazionale cibernetica”, ovvero il sistema di controlli basato sui Cvcn (Centri di valutazione e certificazione nazionale) introdotto lo scorso autunno dal “Decreto cyber”, uno dei primi atti del governo Conte-bis.

 

XI JINPING GIUSEPPE CONTE

La costruzione sconta qualche ritardo (il bando per la selezione di 70 ingegneri per i Cvcn è stato iscritto in Gazzetta solo una settimana fa), ma ha ricevuto l’applauso del Nis Cooperation Group dell’Ue e vede il Dis (Dipartimento per le informazioni e la sicurezza) in prima linea per chiudere al più presto.

 

Dei cinque regolamenti attuativi, il primo Dpcm ha terminato il suo iter in Parlamento, un Dpr è stato presentato allo scorso Cdm e il prossimo Dpcm sarà sottoposto entro metà settembre al Cisr (Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica). Sono questi i tre atti regolamentari chiave, cui si aggiungeranno gli ultimi due Dpcm di contorno.

 

IL COMITATO GOLDEN POWER

 

donald trump xi jinping

Dall’altra parte c’è il lavoro in corso dei tecnici di Palazzo Chigi per rendere più “costoso” per gli operatori lavorare con i fornitori extra Ue (cioè: cinesi). Il cuore pulsante di questa operazione è il Comitato golden power, cioè il gruppo di tecnici che decide se applicare o meno i poteri speciali sui contratti che gli vengono sottoposti. Al suo interno si divide in tanti comitati di monitoraggio “per settore”, compreso quello per le telco, che deve decidere sui contratti di fornitura degli operatori.

 

Quel comitato, ha anticipato Formiche.net, ha stilato le nuove prescrizioni per gli operatori italiani sulla fornitura della rete 5G da parte di aziende extra-Ue. Un documento che rende assai più oneroso lavorare con aziende come Huawei, introducendo obblighi come la consegna del codice sorgente e nuovi controlli su base settimanale. Ha un’unica, piccola falla, anzi due.

 

thomas miao con virginia raggi all'inaugurazione del nuovo ufficio huawei di roma 6

La prima: quel documento, confida un avvocato esperto del dossier, “è molto border line per il rispetto del diritto alla concorrenza”. In poche parole: c’è chi potrebbe portarlo in tribunale. La seconda: per il momento, l’onere dei controlli è in capo agli stessi operatori (Tim, Windtre, Vodafone, etc). Solo una volta costituiti i Cvcn del Perimetro, quei controlli passeranno nelle mani degli ingegneri e dei tecnici dello Stato. Ecco perché accelerare sul perimetro è quantomai necessario.

 

IL DIBATTITO FRA POLITICA E INTELLIGENCE

 

LUIGI DI MAIO THOMAS MIAO

Sulla rete di quinta generazione si è registrata negli ultimi tempi una crescente attenzione tanto dei vertici dell’intelligence quanto di una parte della politica. Il Dis segue passo passo la costruzione del perimetro, e in primavera ha dato il via a un riordino interno rafforzando il settore della sicurezza cibernetica. Al lavoro dell’intelligence fa da controcanto quello del Copasir, il comitato di controllo presieduto dal leghista Raffaele Volpi che, a partire dal report di dicembre con cui ha chiesto di valutare l’esclusione delle aziende cinesi dalla rete, ha tenuto alta nei mesi a seguire l’attenzione sulla vicenda 5G.

DAVIDE CASALEGGIO HUAWEI

 

Quanto al governo, una parte della maggioranza ha recuperato e rilanciato il lavoro seguito da Giancarlo Giorgetti da sottosegretario alla presidenza del Consiglio un anno fa nell’ottica del rafforzamento del golden power sulla banda ultralarga e di un cambio di approccio strategico della burocrazia di Palazzo Chigi.

 

HUAWEI

A premere per alzare l’asticella della sicurezza l’asse in casa dem composto dai ministri degli Affari europei e della Difesa Vincenzo Amendola e Lorenzo Guerini, particolarmente sensibili ai risvolti geopolitici della partita per la rete. Un passo nella stessa direzione, in effetti, si è registrato anche fra le fila del Movimento Cinque Stelle, con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio a sottolineare l’urgenza di una soluzione europea (e non sorda alle richieste americane) sul 5G e il sottosegretario Riccardo Fraccaro che più volte ha ricordato l’importanza degli alert dal Copasir.

 

LE TEMPISTICHE

 

LA GUERRA DI DONALD TRUMP A HUAWEI

Nell’impossibilità di procedere a una soluzione “americana” nel breve periodo, per ora il governo ha optato per una via mediana: alzare il prezzo relativo della fornitura delle aziende cinesi. Basterà?Di certo non è facile chiedere agli operatori italiani di smantellare da un giorno all’altro l’equipaggiamento di Huawei, che ha costruito buona parte della rete 4G.

 

D’altronde, anche il bando di BoJo è spalmato negli anni: agli operatori Downing Street ha dato tempo fino al 2027 prima di liberarsi dell’apparecchiatura cinese (e molti dei Tories più agguerriti con Pechino sono insorti). È normale, spiega un funzionario di Chigi sotto anonimato, “sei anni è la durata standard per un ciclo tecnologico”. È anche vero che, da qui a 6 anni, ci sarà chi parlerà di rete di sesta generazione. Tempo di dare il benservito ai cinesi, e il 5G potrebbe essere già obsoleto.

Huaweihuawei 2

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni ursula von der leyen donald trump dazi matteo salvini

DAGOREPORT – LA LETTERINA DELL’AL CAFONE DELLA CASA BIANCA È UNA PISTOLA PUNTATA ALLA TEMPIA DEI LEADER EUROPEI, CUI È RIMASTA UNA SOLA VIA DI USCITA, QUELLA COSIDDETTA “OMEOPATICA”: RISPONDERE AL MALE CON IL MALE. LINEA DURA, DURISSIMA, ALTRIMENTI, ALLE LEGNATE DI TRUMP, DOMANI, ALL’APERTURA DELLE BORSE, SI AGGIUNGERANNO I CALCI IN CULO DEI MERCATI. LA CINA HA DIMOSTRATO CHE, QUANDO RISPONDI CON LA FORZA, TRUMP FA MARCIA INDIETRO - SE LA “GIORGIA DEI DUE MONDI” ORMAI È RIMASTA L’UNICA A IMPLORARE, SCODINZOLANTE, “IL DIALOGO” COL DAZISTA IN CHIEF, NEMMENO LE CIFRE CATASTROFICHE SULLE RIPERCUSSIONI DELLE TARIFFE USA SULLE  AZIENDE ITALIANE, TANTO CARE ALLA LEGA, HA FERMATO I DEMENZIALI APPLAUSI ALLA LETTERA-RAPINA DA PARTE DI MATTEO SALVINI – ASCOLTATE JOSEPH STIGLITZ, PREMIO NOBEL PER L’ECONOMIA: “TRUMP NON AGISCE SECONDO ALCUN PRINCIPIO ECONOMICO, NON CONOSCE LO STATO DI DIRITTO, È SEMPLICEMENTE UN BULLO CHE USA IL POTERE ECONOMICO COME UNICA LEVA. SE POTESSE, USEREBBE QUELLO MILITARE’’

steve witkoff marco rubio sergei lavrov

RUBIO, IL TAJANI STARS AND STRIPES – IL SEGRETARIO DI STATO AMERICANO NON TOCCA PALLA E SOFFRE IL POTERE DI STEVE WITKOFF, INVIATO DI TRUMP IN MEDIO ORIENTE CHE SE LA COMANDA ANCHE IN UCRAINA. IL MINISTRO DEGLI ESTERI USA PROVA A USCIRE DALL’ANGOLO PARLANDO DI “NUOVA IDEA” DELLA RUSSIA SUI NEGOZIATI IN UCRAINA. MA IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI PUTIN, LAVROV, SUBITO VEDE IL BLUFF: “CONFERMIAMO LA NOSTRA POSIZIONE” – TRUMP AVEVA OFFERTO DI TUTTO A WITKOFF, MA L’IMMOBILIARISTA NON HA VOLUTO RUOLI UFFICIALI NELL’AMMINISTRAZIONE. E TE CREDO: HA UN CONFLITTO DI INTERESSE GRANDE QUANTO UN GRATTACIELO...

diletta leotta ilary blasi stefano sala pier silvio berlusconi

FLASH – IL BRUTALE AFFONDO DI PIER SILVIO BERLUSCONI SU ILARY BLASI E DILETTA LEOTTA (“I LORO REALITY TRA I PIÙ BRUTTI MAI VISTI”), COSÌ COME IL SILURAMENTO DI MYRTA MERLINO, NASCE DAI DATI HORROR SULLA PUBBLICITÀ MOSTRATI A “PIER DUDI” DA STEFANO SALA, AD DI PUBLITALIA (LA CONCESSIONARIA DI MEDIASET): UNA DISAMINA SPIETATA CHE HA PORTATO ALLA “DISBOSCATA” DI TRASMISSIONI DEBOLI. UN METODO DA TAGLIATORE DI TESTE BEN DIVERSO DA QUELLO DI BABBO SILVIO, PIÙ INDULGENTE VERSO I SUOI DIPENDENTI – A DARE UNA MANO A MEDIASET NON È LA SCURE DI BERLUSCONI JR, MA LA RAI: NON SI ERA MAI VISTA UNA CONTROPROGRAMMAZIONE PIÙ SCARSA DI QUELLA CHE VIALE MAZZINI, IN VERSIONE TELE-MELONI, HA OFFERTO IN QUESTI TRE ANNI…

giorgia meloni elly schlein luca zaia vincenzo de luca eugenio giani elly schlein elezioni regionali

PER UNA VOLTA, VA ASCOLTATA GIORGIA MELONI, CHE DA MESI RIPETE AI SUOI: LE REGIONALI NON VANNO PRESE SOTTOGAMBA PERCHÉ SARANNO UN TEST STRADECISIVO PER LA MAGGIORANZA – UNA SPIA CHE IL VENTO NON SPIRI A FAVORE DELLE MAGNIFICHE SORTI DELL’ARMATA BRANCA-MELONI È IL TENTATIVO DI ANTICIPARE AL 20 SETTEMBRE IL VOTO NELLE MARCHE, DOVE IL DESTRORSO ACQUAROLI RISCHIA DI TORNARE A PASCOLARE (IL PIDDINO MATTEO RICCI È IN LEGGERO VANTAGGIO) – IL FANTASMA DI LUCA ZAIA IN VENETO E LE ROGNE DI ELLY SCHLEIN: JE RODE AMMETTERE CHE I CANDIDATI DEL PD VINCENTI SIANO TUTTI DOTATI DI UN SANO PEDIGREE RIFORMISTA E CATTO-DEM. E IN CAMPANIA RISCHIA LO SCHIAFFONE: SI È IMPUNTATA SU ROBERTO FICO, IMPIPANDOSENE DI VINCENZO DE LUCA, E SOLO UNA CHIAMATA DEL SAGGIO GAETANO MANFREDI LE HA FATTO CAPIRE CHE SENZA LO “SCERIFFO” DI SALERNO NON SI VINCE…

marina pier silvio berlusconi giorgia meloni

NULLA SARÀ COME PRIMA: PIER SILVIO BERLUSCONI, VESTITO DI NUOVO, CASSA IL SUO PASSATO DI RAMPOLLO BALBETTANTE E LANCIA IL SUO PREDELLINO – IN UN COLPO SOLO, CON IL COMIZIO DURANTE LA PRESENTAZIONE DEI PALINSESTI, HA DEMOLITO LA TIMIDA SORELLA MARINA, E MANDATO IN TILT GLI OTOLITI DI GIORGIA MELONI, MINACCIANDO LA DISCESA IN CAMPO. SE SCENDE IN CAMPO LUI, ALTRO CHE 8%: FORZA ITALIA POTREBBE RISALIRE (E MOLTO) NEI SONDAGGI (IL BRAND BERLUSCONI TIRA SEMPRE) – NELLA MILANO CHE CONTA IN MOLTI ORA SCOMMETTONO SUL PASSO INDIETRO DI MARINA DALLA GESTIONE “IN REMOTO” DI FORZA ITALIA: D'ALTRONDE, LA PRIMOGENITA SI È MOSTRATA SEMPRE PIÙ SPESSO INDECISA SULLE DECISIONI DA PRENDERE: DA QUANTO TEMPO STA COGITANDO SUL NOME DI UN SOSTITUTO DI TAJANI?