“NEW YORK TIMES” DEMOLISCE IL MITO APPLE: “STEVE JOBS VIOLAVA L’ANTITRUST, SE FOSSE VIVO ANDREBBE ARRESTATO” - I GRANDI DELLA RETE SI RIBELLANO AI CONTROLLI DELLA CASA BIANCA

1. "STEVE JOBS VIOLAVA L'ANTITRUST, SE FOSSE VIVO ANDREBBE ARRESTATO"
Corriere.it

Se Steve Jobs fosse vivo Steve dovrebbe essere arrestato: era una «violazione ambulante delle norme Antitrust». Lo afferma sulle colonne del "New York Times" Herbert Hovenkamp, professore al College of Law dell'Università dell'Iowa, riferendosi al patto promosso dal guru di Apple con gli altri big della Silicon Valley per non strapparsi dipendenti e alle azioni legali per gli e-book, con molte case editrici che hanno patteggiato a fronte dell'appello presentato da Apple.

Altrettanto duro il biografo del fondatore dell'azienda della Mela Walter Isaacson: «Steve ha sempre ritenuto che le regole che si applicano alla gente comune non avrebbero dovuto applicarsi a lui. Questo era la sua genialità ma anche la sua originalità. Riteneva di poter sfidare le regole della fisica e distorcere la realtà e questo gli ha consentito di fare cose fantastiche ma anche di spingersi oltre».

2. I GRANDI DELLA RETE SI RIBELLANO AI CONTROLLI DELLA CASA BIANCA
Massimo Gaggi per Corriere della Sera

Scintille tra Obama e i grandi protagonisti della Internet economy, le aziende che con più determinazione avevano a suo tempo sostenuto la candidatura del presidente democratico. Un idillio entrato in crisi quasi un anno fa, quando è iniziata, col caso Snowden, la pubblicazione di informazioni sulla loro collaborazione con le autorità investigative federali.

Ora le maggiori imprese tecnologiche americane hanno deciso di non rispettare più l'impegno alla riservatezza al quale erano state vincolate dagli inquirenti. Google, Apple, Facebook, Microsoft e altre società del settore stanno simultaneamente cambiando le loro regole interne: a differenza di quanto avvenuto fin qui, gli utenti i cui dati vengono trasferiti ad autorità di pubblica sicurezza sulla base di un ordine vincolante, adesso vengono informati della cosa. Sempre che non ci sia un ordine specifico di un giudice o di un'altra autorità abilitata che impone esplicitamente, e caso per caso, il segreto.

Intanto la Casa Bianca pubblica un rapporto sull'impatto sulla società delle tecnologie di «big data» a suo tempo ordinato da Barack Obama. E le conclusioni sicuramente non piaceranno all'industria: servono più regole a difesa della «privacy» e anche degli altri diritti dei cittadini perché l'enorme mole di dati raccolta dai grandi gruppi protagonisti su Internet può essere usata in modo molto pericoloso.

La ribellione delle industrie tecnologiche (che qualcuno comincia a chiamare «big tech» con allusione alla loro tendenza a muoversi come una lobby compatta come quella petrolifera, «big oil») fa infuriare il governo.

Ma gli avvocati dei gruppi della Silicon Valley sostengono che , pur non rispettando più alla lettera le indicazioni del «subpoena» (la citazione), che chiede segretezza, queste aziende non commettono alcun reato. Semplicemente smettono di raccogliere segretamente dati da fornire poi, gratuitamente, allo Stato.

Del resto Twitter quelle direttive non le ha mai seguite e Yahoo! ha preso le distanze fin dal luglio scorso. Ma il ministero della Giustizia reagisce con durezza: le nuove linee-guida di queste aziende, si legge in un comunicato, «rappresentano una minaccia per l'attività investigativa e mettono potenzialmente le vittime di crimini in una situazione di pericolo ancora maggiore». Le conseguenze, aggiungono al ministero, saranno quelle di dare agli indagati la possibilità di fuggire, di occultare le prove a loro carico o di intimidire un testimone.

Il rapporto della Casa Bianca sull'uso dell'enorme volume di informazioni ormai disponibile in Rete non è, certo, una replica alla mossa delle imprese di Internet: l'indagine era in corso da tempo. Il rapporto, curato dal consigliere speciale di Obama, John Podesta, si occupa anche degli eccessi in materia di raccolta di dati commessi dalla Nsa nell'esercizio delle sue attività spionistiche, ma, poi, va molto al di là concentrandosi sulle informazioni accumulate dai grandi gruppi del web.

Che, coi dati raccolti a tappeto per prevedere il comportamento dei consumatori, possono creare un vero e proprio identikit digitale dei singoli individui che può essere usato da una banca per decidere se concedere un prestito a un cliente o da un datore di lavoro per scartare qualche candidato all'assunzione.

I numeri dovrebbero essere neutrali, ma il loro uso non lo è, avverte il rapporto. Podesta racconta che Obama è rimasto sorpreso nello scoprire come le aziende private abbiano una capacità di collezionare dati individuali non molto diversa da quella delle agenzie di «intelligence».

E aggiunge che l'uso cumulativo di queste informazioni, anziché creare nuove opportunità, può esacerbare le diseguaglianze e favorire anche violazioni di diritti civili, ad esempio in materia di discriminazione razziale.

 

 

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