GENITORE A CHI? VOGLIO MAMMA E PAPA’! - L’INUTILE BARUFFA SULLE PAROLE CHE DIVIDE BOLOGNA
Michele Smargiassi per "La Repubblica"
Genitore a chi? Genitore sarà lei! A Bologna un cortocircuito tra burocrazia e politica degno di una novella di Gogol sta trasformando il nome dell'esperienza umana più bella e faticosa in un epiteto irricevibile. «Ecco la pervicace ideologia comunista dei post-compagni!» tuona nei corridoi della Regione il capogruppo Pdl Gianguido Bazzoni. Come dire, una volta i comunisti mangiavano i bambini in nome di Stalin, oggi divorano i papà e le mamme per fare un favore ai gay.
Le modifiche a un modulo per le iscrizioni scolastiche dovrebbero eccitare solo un
travet maniaco. Ma se si tratta di unificare le qualifiche di genere "padre" e "madre" in quella asessuata e comprensiva di "genitore", come stavano meditando di fare gli uffici comunali bolognesi, allora sembrano assurgere a golpe del politically correct contro la famiglia.
«Violazione del diritto naturale » (Maurizio Gasparri, Pdl), «stupida provocazione» (Gian Luca Galletti, Udc), «delirante stravolgimento» (Carlo Giovanardi, Pdl), il più buono è il leghista Manes Bernardini: «Cavolata improduttiva». Il clima si scalda, la consigliera di Sel Cathy La Torre, sostenitrice del cambio, denuncia minacce anonime. Ma i politici del centro-destra furenti invocano l'intervento censorio del ministro dell'Interno Alfano, e additano la «mandante» del grave attentato modulistico nella sua collega Kyenge: si rischia perfino un incidente nel governissimo.
Ma è da via Altabella, il vaticano bolognese, che si solleva di nuovo lo spettro della guerra tra Curia e Municipio, un evergeen della città rosso-papalina. «à solo il primo passo di un progetto coerente e lucido», profetizza il vicario Giovanni Silvagni su Famiglia Cristiana,
e aggiunge sarcastico: «Per non offendere gli orfani finiranno per sgridare i bambini che in classe dicono papà e mamma». Il cardinale Carlo Caffarra aveva già aperto il fuoco contro il «sisma» che minaccia la «diversificazione espressiva tra mascolinità e femminilità », linguaggio criptico, messaggio chiaro: vade retro laici, mamma e papà sono territorio nostro.
Si alza fitto il fumo dell'incendio, e chi sta al volante sterza: «Solita bagarre alla bolognese» sbuffa quasi annoiato Raffaele Donini, segretario bolognese del Pd, «ci sarà pure un modo di evitare discriminazioni senza togliere "padre" e "madre"». Il suo capogruppo Francesco Critelli accorre subito con l'estintore: «C'è ancora spazio per una riflessione». Il suo collega Benedetto Zacchiroli derubrica la querelle a «mera decisione burocratica, ci sono altre priorità ». I cattolici del Pd fremono e frenano. Indietro tutta.
Il sindaco Virginio Merola evita le domande, l'assessore di riferimento Marilena Pillati si rifugia dietro uno «stiamo valutando». Insomma, dopo il molto rumore si rischia il solito nulla.
Ne sembra certo Rossano Rossi, presidente della Fism, l'associazione delle scuole cattoliche convenzionate alle quali il comune di Bologna versa quasi un milione di euro all'anno a dispetto del referendum vinto dai laici: qualunque cosa decidano a palazzo, «sui nostri moduli mamma e papà restano». E dire che ci vuole un po' di fatica per individuare l'oggetto del contendere. Ecco il modulo d'iscrizione attualmente in vigore a Bologna. Riga uno: «Il sottoscritto, in qualità di genitore dell'alunno...».
Ma come, è già così da anni e nessuno se n'era mai accorto? Dov'è il problema allora? à al punto 9, dove il Comune chiede, per le graduatorie, qualche dato personale ai singoli genitori, e qui compaiono le due colonne, "padre" e "madre". à questa la parte che dovrebbe essere rinominata. Per fare un favore ai gay?
L'entusiasmo delle Famiglie Arcobaleno, associazione di coppie omosessuali, è un po' sopra le righe. Per loro sarà anche «un bel segnale », ma sul piano pratico non cambierà nulla. In Italia un genitore gay, anche se vive in coppia, per la legge è un single, e come tale adesso deve compilare il modulo da solo, definendosi senza problemi come padre o come madre.
Chi può avere difficoltà a scegliere fra le due definizioni semmai è il tutore legale di un bambino senza genitori: la zia, l'affidatario, quale casella devono riempire? E il convivente di una madre divorziata con figli avuti da un altro uomo?
Forse non è un gran problema. Ma le battaglie simboliche coprono spesso fratture sociali profonde. Mariagrazia Contini, pedagogista: «La parola genitore su un modulo non discrimina nessuno, il vero problema è se la società accetta la diversità delle famiglie esistenti». La sfida tra visioni della famiglia non si può certo giocare su un modello qualcosa/bis.
Un teologo che non ama le barricate contro i laici, Vito Mancuso, usa il buon senso: «Per evitare che tutelando le minoranze si discrimini la maggioranza basta aggiungere una voce, anziché unificarne due». à la soluzione adottata da molte città straniere, anche se a forza di moltiplicare le opzioni si sfiora il caos, come a Lione, dove le caselle a disposizione del genitore per autodefinirsi sono una decina, da "divorziato" a "convivente" e perfino a "pacsato" (da Pacs, il registro delle unioni civili).
Altrove prevale l'altra strada: Bruxelles prevede solo la voce «Persona/e responsabile/i per lo studente», New York lascia libero il compilatore di indicare «la relazione di parentela con lo studente». Ma qualsiasi soluzione si scelga, una cosa è chiara: non sarà un modulario burocratico a imporre, o a impedire, che i bambini chiamino mamma la mamma (o magari le mamme).





