alessandro benetton giovanni castellucci

“IL PONTE MORANDI? QUEL GIORNO, ERO IN CALIFORNIA A FARE SURF CON MIO FIGLIO. APRO I SOCIAL E LEGGO ‘SPERO CHE TUO FIGLIO SE LO MANGINO GLI SQUALI’...” - ALESSANDRO BENETTON, PRESIDENTE DELLA CASSAFORTE DI FAMIGLIA (HOLDING EDIZIONE) FA 60 ANNI E SI RACCONTA: "QUELLA TRAGEDIA NON POTRA’ ESSERE MAI CANCELLATA O DIMENTICATA" - MA INTANTO NON ARRIVARONO NÉ LE SCUSE DELL’AZIENDA NÉ DELLA FAMIGLIA: “IN QUESTI CASI, SUBENTRANO CATTIVI CONSIGLI DEGLI AVVOCATI E DELLE AGENZIE DI COMUNICAZIONE. IO, A TITOLO PERSONALE, LE SCUSE LE HO FATTE” - LA RISPOSTA ALL’AD GIOVANNI CASTELLUCCI CHE AVREBBE DETTO: “I BENETTON VOLEVANO SOLO DIVIDENDI, DIVIDENDI...”

Candida Morvillo per corriere.it - Estratti

ALESSANDRO BENETTON 33

 

Alessandro Benetton la butta lì - una frase fra tante - in una conversazione lunghissima. Dice: «Ognuno di noi è quello che fa quando gli capitano le cose che non si aspetta». Alessandro Benetton ha il talento delle frasi perfette, perché a lui, negli ultimi anni, di cose inaspettate ne sono capitate almeno due di vasta portata. La prima: è diventato presidente della cassaforte di famiglia, lui che per anni si era considerato «all’opposizione».

 

Ed Edizione non è solo una bazzecola arrivata al valore patrimoniale netto di 13 miliardi di euro, con partecipazioni nei settori delle infrastrutture di trasporti e digitali, nel travel retail e food & beverage, nell’immobiliare, nel settore agricolo, in Mediobanca, in Generali e naturalmente nell’abbigliamento, ma era anche nel mezzo della crisi reputazionale seguita alla tragedia del Ponte Morandi.

 

ALESSANDRO BENETTON E I 3 FIGLI

La seconda cosa inaspettata sono i tre figli adolescenti che decidono di vivere con lui quando finisce il suo matrimonio. Ieri, Alessandro ha compiuto 60 anni. Se gli chiedi il bilancio nel giorno di un compleanno così significativo, risponde: «Più che in termini di traguardi, mi piace pensare che si tratti di una tappa. Sono stato sempre troppo orientato verso il futuro per guardare troppo al passato e, crescendo, ho imparato a non perdere di vista neanche la bellezza di quello che vivo nel frattempo».

 

A 28 anni, dopo una laurea a Boston, un master a Harvard, un’esperienza in Goldman Sachs, Alessandro era stato il primo a portare in Italia il private equity, fondando la 21 Invest che ha, a oggi, 22 società in portafoglio e un fatturato aggregato da quasi due miliardi di euro («un’impresa», sintetizza lui, «che mi ha dato credibilità e che mi fatto anche conquistare la libertà di dissentire nell’azienda di famiglia»).

 

SHARON STONE ALESSANDRO BENETTON

Dalla Benetton fondata dal papà Luciano, si era per lo più tenuto alla larga, fatte salve un paio di incursioni finite anzitempo (lui: «Diciamo che quando avevo la sensazione che ci fossero troppe mani sul volante, sono tornato a fare il mio lavoro»). Quando aveva 24 anni, ha presieduto la Benetton Formula vincendo con Michael Schumacher, Nelson Piquet, Jean Alesi, collezionando due trionfi nel mondiale piloti, uno in quello costruttori e aprendo piste nuove per la famiglia e quello «era l’ingresso di un’azienda che faceva le maglie in un settore tecnologico, meccanico, fatto di millesimi di secondo e che ha contribuito a darci credibilità per fare poi tante altre diversificazioni».

 

A capo della holding di famiglia è arrivato a quasi 60 anni. Meglio tardi che mai?

«Qualcuno ha detto che ci vogliono trent’anni per avere successo in una notte. Scherzo… Diventare presidente di Edizione era un obiettivo che non mi ero posto. Assieme all’orgoglio di far parte di una famiglia importante, ho sempre vissuto l’esigenza di avere una strada indipendente e di stabilire la mia identità in maniera libera. E ho sempre separato i rapporti umani e di relazione coi miei familiari, che sono sempre stati ottimi, dai miei punti di vista sulle attività aziendali che sono stati spesso dissenzienti. Poi, in un momento critico, le cose che avevo detto e pensato sono state ritenute corrette anche dagli altri azionisti e mi sono ritrovato nel posto in cui mai avevo cercato di essere».

ALESSANDRO BENETTON MICHAEL SCHUMACHER

 

Nell’autobiografia La Traiettoria, uscita per Mondadori nel 2022, racconta di quando era vicepresidente di Benetton Group e suo padre viene a trovarla, ascolta i suoi progetti, ma alla fine, in azienda, resta tutto com’è.

«Mio padre è stato un grande innovatore, con i suoi fratelli ha creato una grandissima storia imprenditoriale. Ma l’azienda poi diventa molto brava a replicare se stessa. Quel passaggio del libro mostra il mio stato d’animo quando realizzi che il nemico del successo è il successo: è comprensibile confondere la tradizione con l’abitudine. Io già allora, parlo di vent’anni fa, avevo superato lo scalino più difficile di chi nasce privilegiato: quello di sentirmi sufficientemente qualificato per avere voce in capitolo e dicevo che un’azienda è come il corpo umano: se smette di fare cellule nuove, muore».

 

Che ricorda del giorno del crollo del Ponte Morandi?

alessandro benetton

«Sono sempre stato fuori dall’attività di famiglia a parte la parentesi in Benetton abbigliamento. Quel giorno, ero in California a fare surf con mio figlio. Esco dall’acqua, apro i social e, senza sapere cos’era successo, trovo messaggi con tanti like che dicevano cose come: spero che tuo figlio se lo mangino gli squali».

 

La sua prima reazione?

«Oltre all’immenso dolore umano per la perdita di tante vite e per tante famiglie rimaste senza casa, quella di consigliare di chiedere immediatamente scusa».

Invece non arrivarono né le scuse dell’azienda né della famiglia.

«In questi casi, subentrano cattivi consigli degli avvocati e delle agenzie di comunicazione. Io, a titolo personale, le scuse le ho fatte e le rinnovo. Su Atlantia, che controllava Autostrade, non posso dire nulla perché Edizione deteneva solo il 30 per cento e nel Cda sedeva un solo Benetton, mio zio Gilberto. In Edizione, da tempo, Gilberto, in buonissima fede, aveva delegato tutto ai manager: aveva l’idea di una famiglia che si teneva fuori dalla gestione, forse anche per evitare conflitti nel passaggio generazionale. Ma di solito, una delega simile avviene dopo che è stata costruita un’adeguata cultura aziendale, altrimenti, il rischio è l’autoreferenzialità e il management si sente titolato a prendere decisioni come se fosse la proprietà».

 

È la tragedia del Morandi che la induce a prendere le redini della situazione?

 

LA GALASSIA DI EDIZIONE

«Alla fine sì o forse è stato un fattore di accelerazione. Io ho vissuto da osservatore terzo quella tragedia che non potrà essere mai cancellata nè dimenticata. Capisco l’obiezione di chi può dirmi “ma come? Eri un Benetton”. Però, sono sempre stato quello che guardava le vetrine e vedeva com’erano piegate le maglie, non che ci fosse scritto sopra il mio nome. Questo sguardo terzo mi aveva portato più volte a far notare che delegare così tanto era una strada presa troppo in fretta. La tragedia ha reso palese quello che pensavo. Nello stesso anno sono scomparsi due dei miei zii fondatori, Carlo e Gilberto, e ai miei occhi era chiaro che non si potesse continuare su quella strada. A quel punto, confrontandoci in famiglia, ho scoperto che anche gli altri cugini la pensavano allo stesso modo. E insieme abbiamo deciso di tornare ai valori dei padri fondatori».

 

Quanto ci ha pensato prima di accettare la leadership?

«Ho accettato perché penso che ognuno debba prendersi le proprie responsabilità. Detto questo, ho sempre creduto che il confronto e condividere le decisioni tra soci è un processo che crea valore».

In un’intercettazione che non ha giovato all’immagine della sua famiglia, si legge che l’Ad Giovanni Castellucci avrebbe detto «i Benetton volevano solo dividendi, dividendi, dividendi». Che ha pensato leggendola?

ALESSANDRO E LUCIANO BENETTON

«Non posso parlare di un procedimento in corso, ma soprattutto non posso parlare perché non c’ero. Però posso dire che il mio pensiero emergeva forte e chiaro dalle mie intercettazioni di quei giorni. E posso dire che in famiglia ci hanno cresciuto con valori opposti: mio padre è stato il primo imprenditore italiano a mettere in fabbrica l’aria condizionata per gli operai; da sempre, sosteniamo l’arte, la bellezza, lo sport, i giovani e il nostro territorio. Da studente di economia ad Harvard, ho fatto mie le lezioni del professor Michael Porter sulla teoria del valore condiviso: per me, un’impresa funziona se, oltre ai profitti, fa cose per la comunità».

 

alessandro benetton

(...)

A quel premio a New York, c’era Sharon Stone, che ha appena detto di essere in cerca di un amore, vi siete conosciuti?

«È una donna straordinaria… Ma erano i miei figli che ho cercato con gli occhi prima di prendere la parola dal podio».

 

Com’è stato occuparsi di loro quando si è separato?

«Siamo stati tutti insieme durante il Covid e io dico sempre che ognuno di noi è quello che fa quando gli capitano le cose che non si aspetta: io mi sono trovato a occuparmi dei loro amori adolescenziali, dei dottori, del test d’ammissione alle scuole o delle loro prime esperienze lavorative.

PONTE MORANDI

 

Questo mi ha insegnato a rispettare ancora di più le donne che lavorano e crescono i figli e mi ha migliorato: per esempio, sono diventato più paziente. Ora, i ragazzi sono negli Stati Uniti, anche se, a rotazione, li ho sempre a casa e, nella routine quotidiana, passo mezz’ora al telefono con loro. La cosa più importante per me è che siano felici e, oggi, li vedo sereni. Mi cercano, vogliono stare con me, fare le vacanze con me. Se c’è un’unità di misura per il rapporto tra padre e figli, questa mi piace molto».

Lei che rapporto ha con suo padre?

PONTE MORANDI

«Siamo due personalità forti, quindi, c’è voluto tempo per costruire il nostro rapporto, fatto di stima e di grande affetto. Oggi, la relazione fra genitori e figli è molto più orizzontale che verticale. Prima, l’autorevolezza del genitore veniva anche dall’autorità».

E la sua educazione quanto è stata verticale? Nella sua autobiografia vediamo volare anche un ceffone.

«Ne ho raccontato uno ricevuto da mia madre perché a scuola avevo chiesto la merenda ai compagni, facendo fare brutta figura alla famiglia. L’educazione verticale è: io genitore ho da fare, il tuo dovere è questo e ti devi arrangiare. È meno affettiva rispetto a oggi e meno presente nella crescita, ma ora che il mondo è più complesso, serve un livello di dedizione più alto da parte dei genitori, un dialogo in cui devi dedicare tempo a spiegare, convincere».

 

il primo video di alessandro benetton da presidente di edizione 5

(...)

 

Da ragazzo, ha avuto fama di rubacuori. Tra le sue ex, Carolyn Besset prima che sposasse John Kennedy Jr. Che ricorda di lei, a 25 anni dalla sua scomparsa?

«È un amore che risale agli anni di Harvard, un periodo bellissimo della mia vita. Di Carolyn mi piaceva il suo essere originale, determinata. Non era il tipo di persona a cui potevi dire come doveva vivere. Gli amori giovanili hanno la caratteristica di restare indelebili forse anche perché non li hai poi vissuti, ma per noi due, il timing non era quello giusto».

GIOVANNI CASTELLUCCI

E oggi l’amore? Lo ha messo in stand by?

«Ho tante ragioni per essere ottimista».

 

alessandro e luciano benettonalessandro benetton

giovanni castellucci 1

 

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