
DOPO GARLASCO QUALE ALTRO CASO VERRÀ RIAPERTO? - "LA STAMPA": "NON CREDIAMO PIÙ ALLE SENTENZE. MA COSA SUCCEDE QUANDO NON È LA LEGGE A IMPORSI, MA LA VOLONTÀ POPOLARE? SUCCEDE CHE LE OPINIONI VALGONO PIÙ DEI FATTI E IN QUESTO CLIMA CORROSIVO, QUELLO CHE MUOVE LA CRITICA NON È UNA ESIGENZA GARANTISTA, MA UNA VOLONTÀ FORCAIOLA - UNO DEGLI EFFETTI DELLA GIUSTIZIA SOSPESA È LA DELEGITTIMAZIONE DELL'AUTORITÀ - LA LUNGA STAGIONE DEI 'VAFFA' HA RESO QUESTO SENTIMENTO DISTRUTTIVO QUASI ISTITUZIONALE" - PECCATO CHE GLI ERRORI E "ORRORI" INVESTIGATIVI ABBIANO CREATO SOSPETTI E DUBBI SUI GRANDI CASI DI CRONACA NERA...
Estratto dell'articolo di Pierangelo Sapegno per “La Stampa”
A chi toccherà dopo Garlasco? In questa atmosfera decadente da vecchio impero, la giustizia sospesa è il primo effetto della sua crisi. Ma quando la giustizia è sospesa perdono valore anche i concetti su cui fonda la sua essenza, e tutto viene meno. Qualsiasi sentenza non è più giusta e inappellabile.
Prima di Garlasco, persino la strage di Erba è stata messa in discussione, e non importava che le condanne si basassero anche su fatti oggettivi e sulla testimonianza di una vittima. Il faldone sull'omicidio di Chiara Poggi viene riaperto nonostante non sia emersa nessuna «nuova prova concreta», come richiede la legge, ma solo un labile indizio. Non importa. Se la Giustizia è espressione della volontà collettiva e delle esigenze di una comunità, questo è quello che chiede la maggioranza di noi.
Non crediamo più alle sentenze, a tutte le sentenze. Qualche volta possiamo pure avere ragione, e quello che ha fatto la magistratura su tutta la vicenda di Enzo Tortora resta una ferita incancellabile nella memoria di un Paese. E oggi, i processi sulla morte di Serena Mollicone, chiusi con sentenze di assoluzione nonostante indizi convergenti molto pesanti, lasciano davvero il senso di una giustizia incompiuta.
Questa volta è la Cassazione che ha chiesto la riapertura. Ma cosa succede quando non è la legge a imporsi, ma la volontà popolare? Succede che le opinioni valgono più dei fatti. E allora non sarebbe meglio chiedersi pure che fine fa la verità quando la platea degli spettatori diventa il palcoscenico di un tribunale? Porsi semplicemente il problema di quanto tutto ciò sia giusto o pericoloso?
STRISCIONI A PERUGIA CONTRO LA SERIE SULL'OMICIDIO DI MEREDITH KERCHER
Per questo non è un esercizio inutile chiedersi a chi toccherà dopo Garlasco. Dalla sentenza sull'omicidio di Yara Gambirasio arrivano già i primi segnali, con una docufiction nettamente a favore dell'imputato, a chiusura di un decennio speso tra accuse varie, opposizioni e ricorsi sui reperti del caso, e la denuncia degli avvocati di Massimo Bossetti addirittura ai Ris di Parma che condussero le indagini scientifiche. Non conta che in questo processo risulti la prova certa del suo dna – non una traccia labile riconducibile a frequentazioni passate –, avvalorata da tutta una serie di altri indizi.
yara gambirasio il caso yara oltre ogni ragionevole dubbio
Il fatto è che uno degli effetti della giustizia sospesa è la delegittimazione dell'autorità, di qualsiasi autorità, che da noi trova terreno fertile, visto che per ragioni storiche nel nostro Paese si tende a vedere lo Stato come un invasore, un occupante, e non come una comunità che ci appartiene, da salvaguardare e rispettare. La lunga stagione dei «vaffa» ha reso questo sentimento distruttivo quasi istituzionale.
Così tutto e tutti devono essere processati e dopo Yara, magari c'è l'intricatissima vicenda di Avetrana, con il ricorso dei legali di Sabrina Misseri, condannata all'ergastolo assieme alla madre Cosima Serrano, ritenuto ammissibile dalla corte di Strasburgo. Anche qui si sono sprecati libri e una docuserie di seguito per mettere in dubbio quella sentenza, arrivata al termine di un processo fortemente divisivo, con schieramenti contrapposti di tifosi da stadio.
raffaele sollecito amanda knox meredith kirchner
Altra pressione popolare è quella per l'omicidio di Meredith a Perugia, con una sentenza definitiva, in pratica non riconosciuta dal sentimento pubblico che continua a ritenere colpevoli Amanda e Sollecito sulla base di racconti ampiamente smentiti dai fatti. L'importante è non credere a niente. Pure per la strage di Bologna, i colpevoli non sarebbero Fioravanti e Mambro. E poi c'è l'eterno caso irrisolto, quello di via Poma, con il fidanzato della vittima, Raniero Busco, finito a processo solo 17 anni dopo la morte di Simonetta Cesaroni, prima condannato e poi assolto definitivamente.
In questo clima corrosivo, quello che muove la critica non è una esigenza garantista, ma l'esatto opposto, una volontà forcaiola che Travaglio ha ben definito «il metodo Iene», che ha trovato la sua espressione nel delitto di Erba e in quello di Garlasco, «dove si danno in pasto alla televisione, ai social e alla stampa dei privati cittadini che fanno la loro vita e che avrebbero diritto alla loro riservatezza. Li si accusa in base alla testimonianza di mio cugino che l'ha saputo dalla zia che ha parlato con una dal parrucchiere che forse c'entrano con l'omicidio. È una cosa vergognosa».
Non che non ci possa essere un lato positivo in tutto questo. Come insegna Tortora, abbiamo avuto inchieste ingiuste e sentenze sbagliate che hanno segnato l'immaginario collettivo. Così come le nuove tecniche d'indagine possono correggere errori compiuti in passato.
Ma se vengono riaperti faldoni dimenticati nella polvere, come quello di Manuela Murgia, una ragazza cagliaritana di 16 anni, la cui morte avvenuta 30 anni fa era stata archiviata come suicidio, forse sarebbe meglio attendere i risultati degli esami scientifici prima di consegnare ai media il nome dell'unico indagato. Se lui è il colpevole, meno male che gli inquirenti hanno riaperto il caso e vanno solo elogiati per questo.
Le modalità di comunicazione però sono un po' lo specchio di questo clima strano, in cui il sentimento popolare sta assurgendo al ruolo di giudice supremo. Non è più giusto quello che fanno i magistrati, la polizia, i carabinieri. È solo giusto quello che pensiamo noi.