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“IO TI CREDO, MA C’È IL TUO DNA, DEVI SPIEGARE” - 2 ORE DI INCONTRO TRA BOSSETTI E LA MOGLIE, CHE È CONVINTA DELLA SUA INNOCENZA: “NON È UN PEDOFILO NÉ UN ASSASSINO”

1. BOSSETTI IN CELLA CONVINCE LA MOGLIE

Stefano Filippi per il "Giornale"

 

Un dribbling secco ai giornalisti accalcati all'ingresso, e di buon mattino Marita Comi ha varcato i cancelli del carcere di Bergamo forse nascosta in un furgone degli approvvigionamenti. Non vedeva il marito Massimo Bossetti dalla mattina di lunedì 16 giugno, quando si sono salutati sulla porta di casa di Mapello prima che lui andasse al lavoro in un cantiere di Seriate dove è stato fermato poco dopo le 17.

Marita comiMarita comi

 

Il muratore accusato dell'omicidio di Yara Gambirasio aveva espresso il desiderio di incontrare la moglie. L'incontro è durato un paio d'ore, tante le cose da dirsi dopo lo tsunami che ha squassato la loro famiglia. Marita Comi ha chiesto il rispetto della riservatezza sua e dei figli, tutti minorenni (il maggiore ha 13 anni). Nemmeno ieri ha cercato il contatto con giornali e tv ma soltanto quello personale con il marito.

 

Agli inquirenti ha detto che gli crede, si fida, lo difende, «Massimo non è un assassino né un pedofilo». Non aveva notato nulla di strano in lui, nessun cambiamento, sempre la solita vita tra la famiglia e il lavoro, pochissimi svaghi. Non gli ha fornito un alibi per la sera del 26 novembre 2010, ma agli investigatori ha chiarito che non significa nulla: «Massimo faceva sempre le stesse cose, ma se tardava non ci facevo caso, perché se aveva dei lavoretti extra rincasava anche alle 9 di sera».

 

giovanni bossetti marito di ester arzuffi madre del presunto killer di yara gambirasiogiovanni bossetti marito di ester arzuffi madre del presunto killer di yara gambirasio

Massimo Bossetti è «molto provato»: così, dopo la moglie, l'hanno trovato i suoi legali, Claudio Salvagni e Silvia Gazzetti, che in tarda mattinata l'hanno incontrato fino al primo pomeriggio. «È provato, consapevole delle gravissime accuse che gli vengono rivolte - dice l'avvocato Salvagni - e dei rischi che corre. Ma è pronto ad affrontare questa durissima battaglia. Si dichiara innocente e ci ha convinto, come ho già detto. Siamo al lavoro per ribattere all'accusa».

 

La difesa di Bossetti non ha ancora deciso se ricorrere lunedì al Riesame per ottenere la scarcerazione dell'artigiano («utilizzeremo tutto il tempo a nostra disposizione», ribadisce l'avvocato Salvagni) e sta vagliando la nomina del consulente per i prossimi accertamenti, mentre vengono esaminati tutti gli elementi forniti dall'indagato durante i colloqui di questi giorni in carcere. Ogni passo va valutato con grande attenzione anche se i tempi sono stretti perché la procura di Bergamo potrebbe chiedere il giudizio immediato.

 

massimo giuseppe bossettimassimo giuseppe bossetti

L'accusa ha tre anni e mezzo di indagini alle spalle, un centinaio di persone a disposizione (agenti, carabinieri, esperti), fondi pressoché illimitati. E Bossetti ha già assaggiato, al momento dell'arresto, la rabbia della gente contro di lui. Gli investigatori continuano a scavare nel passato del presunto omicida e nei suoi legami personali. I parenti più stretti l'hanno difeso al pari della moglie.

 

Si esaminano computer e telefonini, una decina, sequestrati a casa sua mentre martedì nel laboratorio dei Ris di Parma cominceranno le analisi sull'auto e il furgone, anche se sembra che i mezzi non abbiano subito trattamenti particolari negli ultimi quattro anni per eliminare eventuali tracce della presenza di Yara.

 

Un'ipotesi sta riprendendo quota, secondo indiscrezioni raccolte dal TgCom24: che l'omicida della tredicenne avesse un complice. Un secondo uomo ancora sconosciuto quella sera avrebbe aiutato il killer a sequestrare Yara fuori dalla palestra di Brembate Sopra e trasportarla nel campo di Chignolo d'Isola dove è morta.

 

Lo lascerebbero intendere alcune delle intercettazioni disposte dopo l'individuazione di Ester Arzuffi come la madre di «Ignoto 1». Gli investigatori sono convinti che Bossetti (ammesso che sia lui l'omicida) sia troppo esile per aver resistito da solo alla reazione disperata di Yara. Si riapre anche la polemica politica perché il M5S ha depositato una mozione di sfiducia individuale contro il ministro dell'Interno Angelino Alfano che aveva twittato il fermo di Bossetti prima dell'annuncio della Procura.

 

 

2. LA MOGLIE DI BOSSETTI: "C’È IL TUO DNA SU YARA IO TI CREDO INNOCENTE MA ORA DEVI SPIEGARE"

Giuliana Ubbiali e Armando Di Landro per il "Corriere della Sera"

 

La madre di Yara al premio di Pesaro Maura GambirasioLa madre di Yara al premio di Pesaro Maura Gambirasio

«C’è il Dna…»: Marita Comi l’aveva già detto al telefono alla suocera Ester Arzuffi, la donna del segreto lungo 43 anni, la mamma di Massimo Giuseppe Bossetti, il presunto assassino di Yara Gambirasio. Ieri, nel carcere di Bergamo, ha ripetuto quelle parole, di fronte al marito: «C’è il Dna, cerca di spiegare, di ricordare…».

 

A dieci giorni esatti dal fermo del 16 giugno — la data che ha stravolto la sua vita e quella della famiglia dei suoceri — Marita Comi è entrata nel carcere di Bergamo. L’ha fatto di nascosto dalle telecamere e dalle antenne televisive accampate fuori dalla casa circondariale, accompagnata probabilmente da un cellulare della polizia penitenziaria, anche se l’accorgimento potrebbe essere stato un altro: semplicemente l’ingresso nell’area del carcere su un’auto con i vetri oscurati, forse di un amico.

 

yara gambirasio2yara gambirasio2

Marito e moglie hanno potuto riabbracciarsi, osservati da due guardie tramite il vetro ricavato nella porta blindata. Un incontro con tanto di registrazione audio-video, durato due ore, concesse dal pubblico ministero Letizia Ruggeri: di norma non si superano i 60 minuti dal momento in cui il parente si siede di fronte al detenuto. Gli occhi lucidi, fissi su quelli azzurri del marito, Marita Comi l’ha ripetuto più volte: «C’è il Dna, tenta di spiegare. Io ti credo, ma tenta di spiegare…».

 

Per entrambi il ricordo è vago: né Bossetti né la moglie, hanno detto dove erano e cosa stavano facendo, di preciso, la sera del 26 novembre 2010, tre anni e sette mesi esatti prima del loro incontro in carcere di ieri. Un periodo lungo, che può offuscare la memoria di chiunque, ma la Procura di Bergamo non può che avere un altro punto di vista: non c’è un alibi.

 

Da qui l’appello quasi disperato di Marita, che chiede uno sforzo di memoria a quell’uomo che fino a 10 giorni fa non aveva un nome per gli investigatori, ma che lei ha sposato e al quale ha dato tre figli. Lo chiede anche per loro, che hanno 13, 10 e 8 anni. Ieri in carcere ha detto al marito che il più grande «sta capendo tutto», che lei fa fatica, perché deve portare sulle spalle un macigno.

 

yara gambirasioyara gambirasio

Ma ha anche riconosciuto che lui, Massimo Giuseppe Bossetti, sta vivendo un doppio dramma: c’è l’accusa di essere l’assassino di una ragazzina, ma anche la scoperta di non essere figlio di Giovanni Bossetti, l’anziano gravemente malato che per 43 anni ha chiamato papà. «So che stai soffrendo — ha detto Marita —. Io con tua madre non parlo più».

 

Ma c’è chi più di altri vuole sapere e capire. Sono mamma Maura e papà Fulvio Gambirasio. Fermato, gravi indizi, ordinanza, match del Dna. In questi tre anni e mezzo in cui hanno atteso di sapere chi ha tolto la vita alla loro bambina, hanno dovuto fare i conti con il dolore ma anche con procedure, termini giudiziari e scientifici. E ora che la Procura ha dato un nome a quel fantasma inseguito a lungo, vogliono capire bene che cosa succederà.

 

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Per questo motivo, nel pomeriggio di ieri sono andati nello studio del loro avvocato Enrico Pelillo, dove c’era anche il loro consulente, il genetista forense Giorgio Portera. Hanno fatto domande e ascoltato risposte sui passaggi giuridici e sui meccanismi genetici. Martedì, Portera parteciperà alle analisi sulla Volvo V40 e sul furgone Iveco di Bossetti. Accertamenti irripetibili notificati alle parti, quindi non solo all’indagato ma anche alla famiglia della vittima. I genitori di Yara sono le persone discrete di sempre.

 

«Non nutrono acredine, sono consapevoli che c’è un’altra famiglia nella tragedia — parla per loro Pelillo —. Il Dna è una fonte di prova, sappiamo che l’indagato nega, vedremo come andrà il processo. Per ora, nel massimo spirito di collaborazione, parteciperemo alla consulenza tecnica».

 

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