
"SI PUÒ NELL'ITALIA DELLA ‘BRAVA GENTE’ MANDARE IN GALERA, E NON AI DOMICILIARI, UN UOMO DI 94 ANNI?” – FRANCESCO MERLO SUL CASO DI RENATO CACCIAPUOTI, CONDANNATO A 4 ANNI E 8 MESI PER BANCAROTTA, DI 15 ANNI FA, DELLA CASA EDITRICE "OLIMPIA", SPECIALIZZATA IN CACCIA E PESCA: “SI PUÒ RINCHIUDERE IN UNA CELLA CON ALTRI QUATTRO DETENUTI UN VECCHISSIMO SIGNORE CON IL SUO TREPPIEDI E I SUOI BASTONI, LE EMORROIDI E GLI SPAESAMENTI? SI PUÒ, SE L'AVVOCATO NON SI È OPPOSTO IN TEMPO, E CIOÈ SUBITO PRIMA CHE LA CONDANNA DIVENTASSE ESECUTIVA. SI PUÒ, SE IL SOSTITUTO PROCURATORE GENERALE HA EMESSO L'ORDINE DI ARRESTO SENZA FARSI E FARE DOMANDE SUL NUMERO 94. SI PUÒ, SE LA MISERICORDIA NON ILLUMINA LA LEGGE…”
Estratto dell’articolo di Francesco Merlo per “la Repubblica”
«In galera ti mando» prometteva Totò in una famosissima scena che, meglio del Processo di Kafka, spiega l'ingranaggio giudiziario italiano, che - come vedremo - si tinge, comunque e sempre, di commedia. Domanda: si può nell'Italia della "brava gente" mandare in galera, e non ai domiciliari, un uomo di 94 anni, Renato Cacciapuoti, condannato a 4 anni e 8 mesi non per un delitto di sangue, ma per la bancarotta, 15 anni prima, della casa editrice "Olimpia", specializzata in caccia e pesca (da non confondere con l'Olympia Press, specializzata in erotismo)?
Si può rinchiudere in una cella con altri quattro detenuti un vecchissimo signore con il suo treppiedi e i suoi bastoni, le emorroidi e gli spaesamenti? Si può trascinare in uno dei peggiori penitenziari, il Sollicciano dei brutti ceffi, dei topi e delle cimici nei letti, un uomo che «non è più - diceva Scalfari a 93 anni – nell'età dei vecchi né dei molto vecchi, ma dei vegliardi che spesso sono rimbambiti, ma talvolta sono più lucidi degli altri, perché vedono di più e meglio»? Si può, si può.
Si può, se l'avvocato non si è opposto in tempo, e cioè subito prima che la condanna diventasse esecutiva. Si può, se il sostituto procuratore generale ha emesso l'ordine di arresto senza farsi e fare domande sul numero 94. Si può, se i medici del carcere hanno scritto che le condizioni appaiono buone, «anche se», «malgrado» e «nonostante». Si può, se il magistrato di sorveglianza non ha esercitato il potere-dovere della compassione e non ha scelto la detenzione in casa […]
Si può, se […] la misericordia non illumina la legge. […] Cacciapuoti in cella è diventato saggio, beniamino di carcerieri e detenuti, e invece di perdersi si è ritrovato, più forte dell'insulto che il suo corpo esausto subiva, al punto da spiazzare persino l'avvocato che, per averlo fuori, lo raccontava a Radio24 malandato come l'abate Faria, ma poi gli scappava un meravigliato: «È un leone».
E si è svegliata l'Italia, si sono indignati i giornali, il cappellano e l'intera chiesa di Firenze, il garante dei detenuti e, mi dicono - Ssst!- che dal Quirinale qualcuno ha telefonato a qualcuno: provate a sconfiggere il regolamento con il regolamento. Si può? Si può, con un trasferimento sprint in un carcere "più adatto", il Gozzini, dove Cacciapuoti non è nemmeno entrato perché il magistrato di sorveglianza, che lì è diverso, è una gran donna che, nel tempo di un Padrenostro, lo ha mandato ai domiciliari. E Cacciapuoti, in sei giorni di galera, ha scoperto che nei posti peggiori ci sono le persone migliori.